La mostra Arte contro le guerre curata da Luigi Cavadini con The Art Company ha fruttato 2.650 euro “per sostenere un progetto di accoglienza – spiegano gli artisti – che abbiamo individuato nella Parrocchia di Rebbio Como per l’importante lavoro che svolge per le persone più deboli grazie alla spinta determinante del loro parroco Don Giusto Della Valle”.
E ancora: “Dopo l’esposizione delle opere presso la nostra sede (in viale Cavallotti 7), la mostra poi è stata richiesta a Milano dall’ Associazione Amici di Padre Turoldo per celebrare degnamente il 30° anniversario della morte. La mostra si è svolta presso la basilica di San Carlo al Corso in San Babila”. Così “Sono giunte richieste di acquisto relativamente ad alcune opere esposte” e il ricavato ieri è stato devoluto direttamente a don Giusto dal presidente dell’associazione Pierluigi Ratti e dal vice, Carlo Pozzoni.
Gli artisti che hanno partecipato sono:
ORIETTA BERNASCONI, FILIPPO BORELLA, ELENA BORGHI, PIERO CAMPANINI, ADRIANO CAVERZASIO, ALESSIO CENTEMERI, JUDITH HOLSTEIN, MATTEO GALVANO, GIULIO MANTOVANI, ANGELO MARSIGLIO, MARZIA MAURI, GIOVANNI MENTA, CARMEN MOLTENI, LORENZA MORANDOTTI, GIOVANNI PADOVESE, STEFANO PAULON, CARLO POZZONI, PIERLUIGI RATTI, GIANNI RODENHAUSER, GIANFRANCO SERGIO, SERGIO TAGLIABUE, ANTONIO TERUZZI.
Ecco uno scritto con cui Luigi Cavadini ha presentato l’allestimento:
Contro le guerre una dichiarazione esplicita degli artisti di The Art Company Como con un messaggio che punta al cuore e alla mente attraverso lavori che nascono dalla sensibilità di ciascuno e che rappresentano l’intimo bisogno di ciascun uomo di liberare il mondo dalle violenze e dalle sopraffazioni.
Pensieri che si fanno immagine e che invitano tutti a riflettere e a contribuire con le proprie forze e i propri atteggiamenti a costruire un futuro di pace.
Ognuno di essi si è guardato dentro e ha dato immagine al suo pensiero, con negli occhi i segni di distruzione e di morte, ma, in alcune occasioni, anche la speranza del superamento della violenza e della sopraffazione.
Cito per prima la Cosmos’ Flag di Lorenza Morandotti, che fa parte di un ciclo di bandiere che mi piace considerare manifesto finale ed unico del raggiungimento di una pace universale. Accanto ad essa metterei il Guerriero di pace di Gianfranco Sergio che pur variamente composito si appresta a distribuire tra cielo e terra i colori della pace.
A segnare l’assurdità della guerre sono Adriano Caverzasio che dipinge su una lamiera aggredita dalla ruggine un missile su cui si proietta un grande NO, Carmen Molteni che nel suo vetro segnala il rischio di un’esplosione disastrosa per l’umanità, Elena Borghi che propone la trascrizione di una pagina del diario scritto da suo padre durante la seconda guerra mondiale invasa da macchie di sangue, Judith Holstein che interviene su un dipinto in cui un bimbo è rappresentato con due veri proiettili negli occhi a segnalare nei minori le vittime incolpevoli di ogni guerra che ha i suoi presupposti nella voglia di potere, Alessio Centemeri con quel suo bambino dagli occhi spenti che sembra coprire gli occhi della sua bambola perché non veda i disastri della guerra, Marzia Mauri con il gelido lenzuolo di morte in cui dal basso in alto si legge, nel simbolico succedersi di una azione di guerra, il disgregarsi del genere umano, Carlo Pozzoni con la fotografia di una teca emblematica contenente i frammenti di una macchina fotografica ricorda il sacrificio di tanti fotoreporter, Piero Campanini che proprio nel sangue versato, sangue elemento fondamentale della vita, individua Il seme del male, Giulio Mantovani che vede nella distruzione degli edifici civile la Imbecillità di chi vuole mettere anche visivamente le mani (rosse, di sangue) sulla città.
Orietta Bernasconi vede la guerra come tentativo di contaminazione di territorio con riferimento specifico alla Chernozem-Terra nera propria dei territori oggi in conflitto. Filippo Borella rappresenta il disgregarsi del mondo attraverso Parole mimetiche che nel loro variare sconvolgono luoghi e persone, mentre basta poco, sembra dire Giovanni Menta per sconvolgere un ordinario e regolare scorrere dell’esistenza.
Giovanni Padovese sintetizza la guerra come il confluire del sangue dei vinti e dei vincitori all’interno di un’unica sacca ad indicare un unico destino, ma anche la fine da una parte e dell’altra di innumerevoli vite.
Per una memoria che si fa celebrazione hanno operato Antonio Teruzzi con un cero avvolto da una striscia d’oro sulla quale è rappresentato un cammino di uomini, Gianni Rodenhauser con una scultura in legno bruciato, che è nel contempo libro, altare e terra di morti, da cui una intensa fiammella lancia al cielo un forte grido e Angelo Marsiglio con una stele che di fronte alla guerra inneggia alla natura come contraltare alle cattiverie umane.
Alla maniera di un manifesto è la composizione di Pierluigi Ratti, che per concentrare l’attenzione del fruitore, utilizza anche un rebus.
Infine con Matteo Galvano si guarda oltre mediante una Pacifica esplosione che una girandola di colori unisce gli uomini in un abbraccio attorno ad uno degli edifici della city londinese la cui forma è assimilabile a strumento di guerra. E similmente avviene nella scultura di Stefano Paulon dove un mondo ordinato viene disgregato da un evento imprevisto esemplificato dal colore del sangue per poi ritrovare alla fine la forza di riprendere l’ordine originario.
Una presenza speciale è riservata all’opera su carta dal titolo No alla guerra di Sergio Tagliabue, artista comasco scomparso nel 2013, che si è voluta inserire in questa mostra per la specificità del tema trattato: due corpi disfatti, abbandonati sotto un cielo che non promette nulla di buono, caratterizzano questo lavoro poco consono alla sua produzione ma dalla notevole valenza espressiva.
Luigi Cavadini