Tra cartelli di protesta e vetrine vuote, i negozi costretti a chiudere a causa del lockdown che ha colpito la Lombardia (zona rossa da venerdì scorso) provano a far sentire la loro voce.
E in questi giorni alla voce dei singoli si è unita quella di Federmoda Como con una locandina, apparsa in molte vetrine del centro, con un fantasma in tacchi a spillo e la scritta “Non siamo fantasmi”.
Lockdown, sul negozio di scarpe a due passi dal Duomo il cartello: “Avete rotto i co….ni incapaci”
“E’ una campagna nazionale perché il problema riguarda tutte le regioni, a prescindere dal colore e dal livello di lockdown – spiega Marco Cassina, presidente di Federmoda Confcommercio Como – con l’ultimo decreto sono stati azzerati tutti i motivi che spingono le persone ad acquistare abbigliamento e accessori. Se non posso uscire a cena, vedere gli amici, partecipare a una cerimonia o a un evento e neppure andare al lavoro perché dovrei comprare un nuovo vestito? E anche i negozi che possono restare aperti non stanno vendendo nulla perché le città sono deserte. Persino per l’online la situazione è critica”
E anche a “crisi” superata le prospettive non sono delle più rosee: “Quello che non tutti comprendono è che i vestiti e gli accessori moda sono beni altamente deperibili finché sono nei negozi e quasi eterni negli armadi – aggiunge Cassina – se una persona non si fa problemi a indossare un maglione comprato due anni fa, nessuno la primavera prossima vorrà comprare una maglia della stagione precedente solo perché il negozio a marzo 2020 era chiuso. I negozi fanno acquisti anche otto mesi prima e quello che c’è nei magazzini oggi è stato comprato addirittura prima del primo lockdown, quando ancora non si poteva immaginare questa situazione”.
Da qui un elenco di richieste che vanno dalla detassazione o rottamazione dei magazzini fino a contributi a fondo perduto, al credito d’imposta per gli affitti, alla prosecuzione della cassa integrazione fino a tutto il 2021 e ad altri interventi, elencati dettagliatamente sulla locandina, che se non arriveranno rischiano di mettere in crisi un settore già in difficoltà.
“Arriviamo da un decennio di calo dei consumi e le conseguenze di questo momento saranno misurabili tra 12-18 mesi almeno – conclude Cassina – nessuno mette in dubbio la gravità della situazione sanitaria e l’inevitabilità delle chiusure ma ora serve che il Governo venga incontro in maniera concreta a chi ha chiuso ma anche a chi è ancora aperto, perché ai consumatori sono state tolte le ragioni per acquistare e il nostro settore rischia di non riprendersi”.