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Accordo fiscale frontalieri, i tantissimi dubbi del maxiblocco sindacale italo-svizzero. Il documento

Un autentico blocco sindacale italo-svizzero frena (e molto) gli entusiasimi sulle linee fondamentali del nuovo accordo fiscale per i frontalieri provenienti dall’Italia verso i Cantoni Grigioni, Vallese e Ticino.

Le organizzazioni italiane di Cgil, Cisl, Uil, Savt e Unica, assieme alla potentissima OCST svizzera e al SYNA esprimono forte preoccupazione per “una discussione così complessa sviluppata all’interno di un quadro sanitario che, lungi dal dare segnali incoraggianti, da un lato limita la possibilità di condividere le posizioni con le lavoratrici ed i lavoratori direttamente interessati e dall’altro, alla luce delle pessimistiche previsioni dell’onda lunga del lock down della primavera scorsa sul sistema delle imprese, ci pone di fronte ad un quadro economico e sociale non facilmente prevedibile, ci inducono ora come allora, a richiedere maggiore cautela ai Governi per tempi e modi attuazione dell’intesa, invitandoli a non porre limiti temporali stringenti in un quadro di grandissima incertezza”.

Poi, nel merito sulla base dell’ipotesi in discussione, i sindacati mettono nero su bianco quanto segue testualmente:

• Condividiamo ovviamente l’importanza di salvaguardare la situazione degli attuali frontalieri, entrati nel mercato del lavoro con regole fiscali ben precise e che, sulla base di queste, hanno impostato la tenuta finanziaria dell’economia familiare. Inoltre queste stesse lavoratrici e lavoratori si ritroveranno alle prese nei prossimi mesi con un’inevitabile crisi occupazionale determinata dagli effetti della pandemia.

• Al tempo stesso l’adozione del cosiddetto “doppio binario” che punta a salvaguardare le condizioni del trattamento attuale, rideterminando nuove regole per i “nuovi” a partire dall’adozione della nuova normativa, può introdurre alcune potenziali criticità: in ordine al principio Costituzionale di eguaglianza tra i lavoratori, ad ulteriori elementi di dumping in un mercato del lavoro, quello elvetico, che ne è già fortemente caratterizzato, anche in virtù di una relazione stretta tra crescita dei salari e riduzione delle tutele e delle protezioni sociali. Una condizione che, per evitare di porre in concorrenza vecchi e nuovi lavoratori, se confermata, può essere mitigata da strumenti di accompagnamento sindacali e fiscali (individuabili anche nell’ambito della riforma fiscale di prossima discussione, attraverso interventi quali: aliquote di vantaggio, rimodulazione della franchigia, misure di accompagnamento e tempi di transizione), in larga parte rese note dalle OO.SS. alle Autorità dei due Stati, che riducano la forbice del reddito che inevitabilmente l’adozione del nuovo sistema determinerà.

• Ci pare inoltre necessario superare ogni ambiguità sul concetto di “vecchi” frontalieri che, lungi da una definizione puramente anagrafica, rispondono a nostro avviso a coloro i quali sono già in possesso di una propria posizione AVS, anche se pregressa rispetto all’attuale condizione lavorativa.

• La scelta di superare l’accordo del 1974, oltre che alle ragioni economiche, dovrebbe registrare il cambio oggettivo delle condizioni del lavoro frontaliero a seguito dell’evoluzione dei trasporti, della tecnologia, delle infrastrutture e delle reti viarie, per provenienza geografica, professionalità, organizzazione del lavoro. In tal senso la conferma della fascia dei 20km (unica in Italia con i paesi confinanti), non è più attuale; mantenere una distinzione tra frontalieri cosiddetti fiscali e non fiscali rappresenta un’articolazione obsoleta e di diseguaglianze ingiustificate tra i lavoratori di una medesima impresa. Il suo superamento unito ad un principio di reciprocità dei movimenti contribuirebbe a nostro avviso anche ad aumentare quel livello di coesione sociale necessario, soprattutto dopo l’importante esito referendario del 27 settembre sulla libera circolazione.

• Il superamento del sistema dei ristorni ai Comuni ed alle Province rappresenta un’indiscutibile criticità per le comunità locali che, negli anni, hanno sostenuto il peso dei servizi aggiuntivi per effetto dell’incremento della migrazione di corto raggio. La tassazione indiretta di cui i Comuni hanno beneficiato ha contribuito tanto a sostenere la spesa per investimenti quanto quella corrente, nonché in misura minore, iniziative rivolte direttamente al lavoro frontaliero. Tuttavia riteniamo che, fermo restando la titolarità della discussione in capo agli Enti locali, sia utile individuare una soluzione che garantisca la disponibilità delle risorse in capo al trattato o ad una legge ordinaria contestuale all’accordo, evitando di rinviare a futuri interventi tenendo insieme le esigenze dei frontalieri con quella delle comunità di provenienza.

Riteniamo che il superamento di un trattato “storico” non possa essere risolto con provvedimento il cui obiettivo sembra rivolto solo a “fare cassa”, ma meriti un’impostazione più ambiziosa. In tal senso riteniamo che questa possa rappresentare un’occasione per definire il complesso degli aspetti legati al fenomeno del lavoro transfrontaliero, anche in piena attuazione del regolamento UE 883/04 sul coordinamento della sicurezza sociale, in particolare attraverso:

• La ridefinizione spaziale e temporale del lavoratore frontaliero, anche in virtù della normativa comunitariaove l’espressione “lavoratore frontaliero” designa qualsiasi lavoratore occupato sul territorio di uno Stato membro e residente sul territorio di un altro Stato membro, ovvero regolato da accordi bilaterali con l’Unione europea (criterio politico), dove torna in teoria ogni giorno o almeno una volta alla settimana (criterio temporale), anche in relazione ai limiti che la fase pandemica ha messo in evidenza come il massiccio ricorso allo smart working o a forme di telelavoro e che ha richiesto in questi mesi, accordi straordinari tra i due Paesi per la sua regolamentazione.

• Il superamento del limite mensile per il diritto alla NASPI

• La riapertura contestuale del tavolo sullo Statuto dei Lavoratori Frontalieri per il quale le OO.SS. italiane hanno predisposto ben tre proposte.

• La rivisitazione delle politiche di cooperazione Interreg (2021-2027) che pongano finalmente al centro la Governance transfrontaliera.

I consigli sindacali Interregionali tra Italia e Svizzera

di CGIL, CISL, UIL, SAVT, UNIA, OCST, SYNA.

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