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Chi sparò a Mussolini sul Lago di Como, la rivelazione dell’ex brigatista Bellosi: “Così disse Michele Moretti”

Non finisce mai di far discutere l’esecuzione di Benito Mussolini, con l’amante Claretta Petacci, davanti al cancello di Villa Belmonte a Giulino di Mezzegra, sul Lago di Como, il 28 aprile 1945. Tra la versione ufficiale targata Pci, le ricostruzioni alternative e i dubbi su chi premette davvero il grilletto contro il duce quel giorno, saggi e memoriali sul tema si sono susseguiti senza sosta. Oggi, da un comasco doc, l’ex brigatista rosso e oggi coordinatore della comunità di recupero Il Gabbiano, Cecco Bellosi, 76 anni, arriva una nuova testimonianza proprio sul nome del partigiano che imbracciò l’arma fatale per l’ex dittatore. E quel ricordo torna a far pendere la bilancia sul nome di Michele Moretti, anch’egli comasco e ai tempi commissario politico della 52ª Brigata Garibaldi “Luigi Clerici”.

Moretti fece parte del nucleo di partigiani che portò Mussolini e Petacci a Bonzanigo, nella casa della famiglia De Maria, per la notte prima della fucilazione. Ma secondo la versione ufficiale dell’esecuzione data al Partito Comunista dopo i fatti, il partigiano comasco si limitò ad accompagnare i capi partigiani Walter Audisio “Valerio” e Aldo Lampredi “Guido”, giunti da Milano per uccidere Mussolini. A sparare i colpi mortali verso il dittatore fu poi Audisio.

Ora invece – in un’intervista per la rivista Sette del Corriere della Sera – Cecco Bellosi torna a indicare in Moretti il vero giustiziere del duce, ucciso con il mitra francese MAS, calibro 7,65 lungo di fabbricazione francese. Secondo il racconto dell’ex brigatista comasco, fu lo stesso Michele Moretti, a rivelare – benché con riferimenti indiretti e senza un’ammissione netta – di essere stato colui che sparò.

Accadde il 16 giugno 1974, durante un viaggio in auto di ritorno verso il Lago di Como da un evento sulla Liberazione svolto a Grosio, in Valtellina. A bordo di una Simca 1000 – ricorda Bellosi, che era al volante del mezzo – tre ex partigiani: “Tom”, “Bundi” e “Pietro Gatti”. Quest’ultimo, per l’appunto, Michele Moretti. Al quale, nel mezzo del viaggio, venne fatta da “Tom”, cioè da Nazareno Arrigoni, la fatidica domanda: “Dai Michele, siamo qui tra noi, te l’è cupà te il crapon?», l’hai ucciso tu il capoccione? E secondo Bellosi, Moretti rispose indirettamente di sì, con queste parole: “Ma secondo voi io davo il mio mitra in mano a uno che sino a due ore prima neanche sapevo chi fosse?”, cioè a Walter Audisio, passato alla storia ufficiale come il giustiziere del duce.

A corroborare la versione alternativa, il racconto cita anche un altro episodio: cioè il fatto che, secondo diversi testimoni, Michele Moretti,  tornando da Giulino poco dopo i fatti del 28 aprile 1945, posò personalmente il mitra MAS su un tavolo affermando “ecco l’arma che ha ucciso Mussolini” senza alcun riferimento ad Audisio.

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12 Commenti

  1. Buongiorno.
    Ritengo che sarebbe più utile se Bellosi fra i suoi “ricordi” ci saprebbe svelare chi ha materialmente operato nella tragica notte dei fuochi del luglio 1981…
    Forse “qualcuno” potrebbe avere svelato il mistero…

  2. Come sempre, da sempre, le solite balle sulla fine di Mussolini. I soliti giudizi di parte, le solite opinioni politiche. MAI la Storia con la esse maiuscola.

  3. Forse una Norimberga Italiana sarebbe stata una grande dimostrazione di democrazia e rispetto del diritto. Anche nei confronti di chi, per qualche decennio, aveva deciso per tutti, trascinando l’Italia, infine, in un conflitto disastroso. Se qualcuno commette un errore, seppur drammatico, non si corregge l’errore con un altro errore. Ho piuttosto il timore che Mussolini avrebbe potuto fare luce su quella “zona grigia” che esiste, spesso, nelle cose della vita. Avrebbe pagato lo stesso ma giudicato da un tribunale internazionale. Chissà.

  4. Esiste un lungo e dettagliatissimo documentario su Sky (non so se sia più reperibile) con la ricostruzione di tutta la storia: di come erano state bloccate tutte le strade di accesso alla zona, degli esecutori (un partigiano italiano e un agente inglese), del perché e del
    percome sia poi stata inscenata una esecuzione a duecento metri di distanza (quel cancello non c’entra nulla!), eccetera. Il tutto corredato da qualche testimonianza – di qualche decennio fa – raccolta da chi, barricato in casa, aveva visto tutto.
    Poi, per timore da una parte e per qualche opportunità dall’altra, si è sempre andati avanti con un paio di altre versioni, che vanno ancora per la maggiore.
    Nel frattempo chi aveva visto veramente morire il duce vicino ad un anonimo muretto con rete è morto, e paceamen.

    Personalmente quel documentario mi aveva convinto: le poche testimonianze concordavano, del resto Mussolini fino agli ultimi giorni aveva intrattenuto corrispondenza epistolare, drammatica e riservata, con Churchill, la versione della sparatoria al cancello andava quindi bene a tutti, inglesi, italiani, partigiani…
    Non so perché non si sia veramente approfondito, probabilmente anche oggi non ci si vuole distaccare dalla stantia questione se sia stato il partigiano tizio o il partigiano caio.

  5. Che fosse Michele Moretti, o Walter Audisio, o qualche Agente del MI6 o dell’OAS, poco importa. È importante che è stato ucciso. Se fosse stato processato, al pari degli altri gerarchi, come sono stati processati i leader del nazismo a Norimberga, adesso non vivremmo le mostruose farneticazioni dei negazionisti e dei benaltristi e ci vergogneremmo di un regime che ha svenduto, fin dal 1938, nel nome di ideologie perverse migliaia di italiani di religione ebraica alla Germania nazista. E soprattutto non saremmo qui a discutere con chi pensa che El Alamein, la ritirata in Russia, la battaglia di Capo Matapan e la resa di Augusta siano manifestazione dell’eroismo bellicista italico e non il naufragio di un regime di cialtroni.

    1. Dissento fermamente. Mi sarebbe piaciuto assistere ad un processo stile Norimberga, non ad un’esecuzione sommaria decisa da pochi partigiani altolocati. L’esito sarebbe stato probabilmente lo stesso ma avrebbe avuto la possibilità di spiegare le scelte sbagliate

      1. Non so perché dissente. Anche io avrei preferito una “Norimberga italiana”. Posso comprendere il suo dissenso sulle motivazioni del perché era meglio un processo che la fucilazione. Per lei il processo avrebbe concesso a Mussolini di spiegare le sue scelte, per me avrebbe dimostrato le responsabilità del regime sulla persecuzione degli ebrei, la subordinazione alla Germania nazista e gli omicidi di Matteotti e dei Fratelli Rosselli. Quello che è successo in Germania per intendersi.
        Quello su cui dissento io, è altro. I partigiani comunisti che spararono a Mussolini e, per errore a loro dire, alla Petacci, non erano “altolocati”. Tutt’altro, Moretti era un operaio; Lampredi, fiorentino, era un artigiano e, infine, Audisio un piccolo impiegato.

    2. Buona sera Sig. Gioele.
      Leggo sempre con attenzione le Sue analisi…
      Oggi mi permetto di segnalare un “possibile errore”…
      Dal luglio 1943 fino alla fine della guerra (maggio 1945) a Lugano, Locarno e a Campione d’Italia (dal gennaio 1944) hanno operato il SOE e MI6 britannico, l’OSS statunitense, e il SIM del Regno del Sud.
      L’ OAS francese è nato nel gennaio 1961 per combattere l’indipendenza algerina.

    3. dissento da questo commento. La verità è sempre importante e deve sempre essere trascritta sui libri di storia e in quelli della giustizia. Chi ha ucciso materialmente resta un assassino!. Di già un omicidio è una vergogna per l’umanità, cosi come la pena di morte. Un omicidio non avvallato da una corte di giustizia resta un assassinio. Chi proclama la democrazia in nome della libertà dovrebbe riflettere su questi argomenti.

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