E’ nata una Como più cattiva, più divisa, più rancorosa negli ultimi anni? Si è rotto qualcosa nel tessuto sociale del capoluogo tanto da far esplodere una tendenza – forse prima sotterranea o sopita – alle urla, alla volgarità, alle accuse anche brutali su qualsiasi questione, tanto più quelle politico-sociali?
Potete scriverci e inviarci le vostre opinioni: qui, tramite la pagina Facebook ufficiale, via mail (redazionecomozero@gmail.com). Intanto il dubbio, magari leggendo i resoconti dei dibattiti politici, a qualcuno è già venuto. Di sicuro ora è alimentato anche dalle affermazioni forti fatte nel consiglio comunale di mercoledì 9 settembre da due esponenti con storie, appartenenze, ruoli e visioni molto diversi: l’esponente del Pd, Patrizia Lissi, e il sindaco Mario Landriscina.
La discussione generale in cui le affermazioni si sono incastonate era quella sull’ormai celebre coperta tolta a un senzatetto e poi gettata nel prato dall’assessore ai Servizi Sociali, Angela Corengia. Ma le frasi di Lissi e Landriscina sono andate molto oltre il recinto del tema specifico.
“E’ il momento di fermarci, di smetterla di incitare all’odio e alla cattiveria, non ne posso più, sono arrivata a un livello di intolleranza totale” è sbottata per prima Lissi.
“Dobbiamo fermarci tutti – ha dunque aggiunto la consigliera Pd, parlando di Como – Ognuno è responsabile di ciò che dice e scrive, vero. Però noi che sediamo in un’istituzione abbiamo una fortissima responsabilità, dobbiamo parlare di politiche educative, dobbiamo confrontarci e incontrarci nelle Consulte, con le associazioni. Quando è accaduto è stato bellissimo, è questa la bellezza della città. Ma cosa c’è di bello in questa città, oggi, per i bambini che vogliono andare in bicicletta, per i ragazzi che vogliono correre o fare una partita? Non c’è nulla”.
E infine, rivolta al sindaco: “Come si possono fare cose assieme, come dice lei? Come si fa? Il clima che c’è in questa città oggi non è di partecipazione, di voglia, ma dell’uno contro l’altro. Perché ogni volta, qui, c’è qualcuno che protesta per qualcosa? Poniamoci la domanda, pensiamo alla bellezza, educhiamo alla bellezza, ma facciamo qualcosa per la città. Altrimenti la bellezza dov’è?”.
Dopo una serie di altri interventi, Landriscina non ha evitato “l’urto” con le parole e le domande di Lissi su questa Como arrabbiata e imbruttita.
“E’ vero, è la ricerca di un equilibrio che ci deve contraddistinguere – ha affermato – e non urlare continuamente la rabbia verso l’altro, fenomeno che poi alimenta altra rabbia. Consigliera Lissi, mi ha colpito con le sue parole sulla situazione: una città divisa, che si scontra, che si insulta, che urla continuamente. D’altronde, un conto sono gli stimoli e l’attacco politico, che ci stanno, un altro è cercare continuamente di speculare sulle cose”.
“E allora – ha concluso – io chiedo a tutti di riflettere collegialmente su questo tipo di gestione delle relazioni, che non devono diventare un minestrone dove ci vogliamo tutti bene. Il contraddittorio serve, ma queste situazioni (riferimento doppio al caso dei senzatetto in generale e alla questione Corengia, Ndr), quelle che consentono di speculare politicamente sempre su questa o quella questione, spaccheranno ancora di più il tessuto sociale. E allora questa città diventerà ancora più divisa”.
Due voci diverse, come si diceva in avvio. Ma che sono parse viaggiare in parallelo verso un unico concetto finale. Una sorta di ombra che si staglia sui cieli azzurri, sul lago placido, sui fiorellini colorati di metà settembre: l’ombra di una città che stenta a guardarsi pacificamente negli occhi, fatica a tendersi la mano oltre lo steccato, sembra alzare sempre più il livello dello scontro su tutto e a ogni costo, senza trovare una conciliazione.
E infatti, casualità o no, mai come di questi tempi Como è teatro continuo di manifestazioni, proteste, cortei, pubbliche rivendicazioni. Pezzetti di mondi che inveiscono a turno. Un terremoto continuo di cui Palazzo Cernezzi è epicentro e punto terminale nello stesso tempo. Il che apre alla domanda finale: è la politica che sta facendo la città “cattiva” o viceversa?
3 Commenti
Mi era sfuggito questo pezzo ben fatto, su un argomento assolutamente interessante e corredato da commenti interessantissimi.
Tra gli aforismi di Mussolini ce n’è uno sui comaschi. Sembra che Mussolini dicesse “….tetro come il cuore di un comasco”. Senza riferimenti bibliografici non so se sia vero e non so se è possibile che un romagnolo trapiantato a Milano potesse aver fatto propria l’espressione di qualche nostro rivale di campanile. Faccio finta di crederci.
Noi comaschi non siamo mai stati “buonisti” e tanto meno “inclusivi”. Non lo siamo per natura e non lo siamo stati per necessità. Fino alla fine dell’800 l’economia non era florida. La terra era buona solo per il mais e gli allevamenti spopolavano rispetto alle culture intensive. Si dava da mangiare alle bestie e per gli uomini ce ne era meno. Esisteva un’industria fondata sulla manifattura leggera di trasformazione agricola (seta): polenta in cambio di tessuti per ricchi. La “pellagra” era atavica. Di quel periodo c’è rimasto poco anche perché il ‘900 è stato un secolo per noi fortunato. Tuttavia, la cultura di una popolazione non si trasforma rapidamente. Quando si è cresciuti nel timore di “non averne abbastanza”, si finisce per guardare con diffidenza i forestieri che sono qui per accaparrarsi il nostro surplus. Lo è stato con i terroni, lo è con gli extracomunitari, lo sarà con i robot e i marziani.
Rispetto a qualche anno fa le cose però sono peggiorate. La diffidenza verso i forestieri si è trasformata in aggressività, verbale fortunatamente, ma assolutamente presente in qualsiasi discussione anche la più banale. Probabilmente la crisi economica ci ha fatto tornare alla paura di “non averne abbastanza”.
L’aggressività verbale dei “non inclusivi” si contrappone a quella degli altri che si comportano da “esclusivi”. L’atteggiamento degli “esclusivi” è quello di chi non si pone il problema di non “averne abbastanza” e giudica il disagio degli altri con l’atteggiamento di superiorità di chi vive al di sopra delle meschinità della vita. Non sono simpatici neppure loro. Durante il lockdown ho fatto una lunga chiacchierata telefonica con un’amica, veramente in gamba, che mi diceva che non regge più i discorsi della vecchia sinistra cittadina. Ci ho pensato. Ha ragione. Non è facile reggerli perché non è più la sinistra operaia, non è più la sinistra rivoluzionaria e neppure quella cristiano sociale. È la sinistra dei ricchi che “ne hanno più che abbastanza” che si contrappone alla destra dei poveri che “non ne hanno mai abbastanza”.
L’aggressività è data, a mio parere, da questa schizofrenia. Io che non ne ho abbastanza vedo chi ne ha più che abbastanza correre in soccorso di altri che sono appena arrivati. Bisogna cominciare a riprendere i contatti tra questi due mondi evitando di mandarci continuamente a quel paese. Ascoltarci e superare non tanto le divisioni culturali e politiche (mission impossible) ma la diffidenza tra due modi di vedere la vita.
È tutto vero, verissimo.
La nostra è una città divisa perché assolutamente appiattita su una lettura polarizzata dei problemi.
In quest’ottica, si potrebbe avanzare l’ipotesi che Como sia una sorta di laboratorio politico dei tempi che stiamo vivendo. Tempi caratterizzati dalla riduzione di problemi complessi a categorie elementari.
E la gestione dei fenomeni migratori è il caso-scuola più rappresentativo.
Da una parte la retorica dell’immigrato come “risorsa a prescindere”, dall’altro la contro-retorica dell’invasione.
Da una parte l’universalismo cattolico dell’accoglienza come valore imprescindibile, di fronte la macchina sovranista del “prima gli italiani”.
Tenere ben divisi gli schieramenti serve a rafforzare l’identità del proprio schieramento, a rinvigorirne i valori e a riconoscersi “per differenza”.
Peccato che qualsiasi persona dotata di un minimo di libertà intellettuale sappia benissimo che problemi complessi pretendano soluzioni complesse, lucidità di pensiero, un confronto pragmatico con la realtà.
Confronto con la realtà che si compone di iniziative concrete, attraverso le quali la politica può dimostrarsi amministrazione della città e risoluzione di problemi.
Prendiamo lo strazio di San Francesco. Come non vedere nel braccio di ferro tra comune e associazionismo la volontà di rafforzare la contrapposizione?
Come non vedere nella realizzazione del dormitorio la cartina di tornasole che obbligherebbe la propaganda – di destra e di sinistra – a confrontare la propria narrazione con la realtà dei fatti?
Bastasse il dormitorio, si dimostrerebbe che avevano ragione tutti quelli che il dormitorio lo chiedono da mesi.
Non bastasse, per la Lega sarebbe la “prova provata” che il racconto della città presa d’assedio ha una fondatezza che va oltre il cattivismo.
E se la politica questo confronto tra retorica e gesti concreti continua a evitarlo – per paura o per mero opportunismo – forse sarebbe il caso che fossimo noi cittadini a pretenderlo.
Anche solo per dimostrare di essere diventati grandi.
Ma che bella faccia tosta che hanno sti straccioni… Se le cose stanno così devono solo ringraziare se stessi e i loro illuminati leader LOCATELLI e SALVINI che per mero calcolo politico hanno seminato vento a destra e a manca, e come si dice chi semina vento raccoglie tempesta!