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Como, la Cina nella tazzina. Nei bar con gli occhi a mandorla: “Si vive bene. E si guadagna”

Le leggende metropolitane sulla diaspora cinese in Italia sono tanto numerose quanto pressoché sempre prive di fondamento. Nonostante tutto, alcuni interrogativi rimangono senza risposta. Uno di questi riguarda il perché un numero crescente di bar un tempo gestiti da Italiani viene rilevato da proprietari cinesi.

A Milano il fenomeno è già diffusissimo. A Como, con ritmo più lento ma tutt’altro che incerto, i gestori di bar e ricevitorie originari dell’estremo oriente sono sempre di più.

Tra i pioneri sul Lario, impossibile non citare il bar della Stazione San Giovanni.

Un luogo/non luogo che oggi – crocevia di arrivi e partenze – è un vero e proprio “feudo mandarino” a gestire l’incessante clientela italiana, europea e transcontinentale.

In via Mentana, invece, c’è il Bar Simpaty che poco dopo l’orario di pranzo accomoda i clienti affezionati che si attardano attorno al bancone per un caffè. Ogni tanto qualcuno entra per comprare le sigarette, qualcuno per un gratta e vinci.

“Un pacchetto di Winston Rosse e il solito?” chiede la gentilissima 22enne orientale, dal bancone, rivolgendosi al comaschissimo signor Colombo, un aficionado del bar.

“Come vedi c’è sempre chi fuma, beve caffè e gioca al lotto – spiega la ragazza raccontando che fino a poco tempo fa il bar era in mano alla famiglia Marelli che l’ha gestito per diciotto anni – Poi si sono stancati e non avendo figli che prendessero la gestione hanno preferito vendere”.

Laura – della quale non ci siamo dimenticati l’immagine, non gradisce le foto – è nata in Italia da un padre e una madre che in Cina, anni fa, facevano rispettivamente il cuoco e la sarta. Come la quasi totalità della diaspora cinese in Italia, la famiglia di Laura viene dalla provincia dello Zhejiang la cui economia, negli anni ’60, è stata travolta dalle politiche Maoiste che hanno causato una migrazione di massa verso l’Europa e, nello specifico, l’Italia.

“Il 90% dei bar è gestito da famiglie – continua – Noi abbiamo avuto un locale per diversi anni in un piccolo paesino in provincia di Cremona che contava appena tremila abitanti. Con il tempo la concorrenza si è fatta pesantissima e quando ce ne siamo andati. E su 9 bar, 4 erano gestiti da altri cinesi”.

Cambiando zona, le storie rimangono simili. “Qui è molto più tranquillo. La vita è bella e il cibo è buono”, racconta sorridendo Angela (nome di fantasia concordato, ovviamente: non c’è modo di strappare l’originale cinese ndr) 33 anni, che con il marito gestisce il bar della stazione di Como Borghi.
La sua famiglia è arrivata in Italia nel 2001. Fino a due anni fa gestiva un business di import-export tra Italia e Cina, a Napoli: “Il made in China andava bene. A Napoli le persone hanno meno soldi e comprano più facilmente cose fatte in cina. Ma è un business difficile perché ci sono tanti controlli sulla merce in arrivo e poi c’è troppa mafia. Qui al nord, invece, le persone hanno più soldi e vogliono le cose fatte bene. Quindi il bar è più redditizio”.

La coppia ha un figlio nato in Italia cinque anni fa e che conosce solo il nostro Paese, viste le poche visite in quello di origine dei genitori. “La Cina è un posto troppo veloce – aggiunge la titolare mentre allunga biglietti e pacchetti di sigarette a qualche viaggiatore in attesa del treno – Non c’è calma per la testa. Non torno neanche per le feste. Se voglio andare in vacanza rimango qui”.

Il perché del lento ma progressivo espandersi dell’imprenditoria cinese nel settore delle ricevitorie-bar arriva in via Garibaldi, da Marco (questa è volta “marchio” originale, ndr) un nome datogli dalle suore appena arrivato dalla Cina in Italia da bambino.

“Il motivo sta nella stabilità data dai vizi della gente. Nei primi anni 2000 i Cinesi aprivano bar con sale slot che ora sono meno redditizie a causa delle nuove leggi. Il bar tabacchi ha costi molto alti ma un margine di guadagno molto superiore”.

Insieme alla sorella, 23 anni, Marco gestisce il Bar Rezzonico, storico locale del centro di Como, la cui cessione a gestori stranieri fece piuttosto scalpore un paio d’anni fa.

“Per molti aprire un bar si tratta di un’ambizione che si realizza dopo quindici anni in Italia,” spiega il ragazzo la cui famiglia ha iniziato con un ristorante e oggi, tra genitori e parenti, possiede diversi bar in tutta la Lombardia”.

Ma per quanta ferrea possa essere la determinazione, rilevare un bar ricevitoria non è una faccenda così semplice, a detta del barista. “A Milano rilevare un bar arriva a costare fino a trecentomila euro. Molti comprano ma, nonostante sia un lavoro piuttosto intuitivo, tanti non sono in grado di portare avanti gli affari. Altri vedono i frutti del proprio investimento dopo sei o sette anni”.

Oltre i luoghi comuni, dietro alle facciate di bar e ricevitorie dalle insegne a volte un po’ sbiadite si nascondono storie di ambizione personale e riscatto, racconti di famiglie che hanno abbandonato la propria terra decenni fa per trovare fortuna in Italia.

“Ma se per le vecchie generazioni un bar è per sempre”, echeggia ancora la voce orientale – con tanto di “erre” giuste – del Bar Simpaty, “il futuro, per noi giovani, è imprevedibile”.

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2 Commenti

  1. Il motivo del perchè ci sia questa “invasione” di cinesi nella gestione dei bar in realtà dall’articolo non esce. Io penso sia la maggior disponibilità di contante da parte loro (e relativi allettanti guadagni in nero da parte di chi vende) a fronte di maggiori difficoltà nell’erogazione di mutui per acquirenti italiani.. Inoltre si tratta di un lavoro molto duro (considerato che loro lo fanno fruttare anche nei giorni festivi) che gli italiani non sono disposti a fare. Ma per confermarlo ci vorrebbe un inchiesta giornalistica un pelo più approfondita…

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