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Como, rabbia e angoscia di Marinella nel quartiere semi isolato: “Non posso rifare tutta la montagna a spese mie”

È passato ormai un anno dalla frana che, scesa da un terreno privato su via dei Patrioti a Civiglio, ha portato alla chiusura del principale collegamento del quartiere al centro di Como (qui le cronache). Da allora nulla è stato risolto. La proprietaria del terreno da cui è partita la frana, Marinella Noseda di 69 anni, racconta oggi la sua versione dei fatti: un lungo anno di spese, burocrazia, accuse, angoscia personale e solitudine.

Cos’è successo il giorno della frana? Facciamo un piccolo riepilogo della situazione.
Mi sono spaventata. Quando il Comune mi ha chiamata e mi ha detto: “Devi fare tutto tu”, ho capito che ero sola. E allora mi sono rimboccata le maniche. Nei quindici giorni successivi non mi sono fermata un attimo: ho contattato ingegneri, geologi, ho fatto bonifici su bonifici, ho pagato delle ditte per pulire la strada e tagliare le piante, ho messo in sicurezza il terreno con un telo, proprio quello consigliato dal Comune. Quei giorni sono stati un incubo. Correvo da una parte all’altra per organizzare, pagare, capire. Tutti i contatti delle imprese me li forniva l’amministrazione, ma a pagare ero sempre io. E loro decidevano cosa dovevo fare. Mi hanno detto che lo sgombero della strada e il taglio degli alberi spettavano a me. Io avrei voluto sistemare per bene tutta la strada, ma la ditta mi ha risposto che non poteva, per via di un’ordinanza comunale. Mi hanno chiesto 780 euro per fare i rilievi col drone, e l’ho fatto. Mi è stato indicato di mettere un telone, scelto direttamente dal Comune, per mettere in sicurezza il terreno. Solo quello è costato circa 8 mila euro. Fortunatamente, almeno, ha funzionato: da allora non si è più mosso nulla. Poi mi hanno detto che dovevo pagare anche il ragazzo che si era infortunato, e l’ho fatto. Inoltre, i residenti di Civiglio giustamente avevano chiesto una navetta per collegare la piazza al capolinea del bus numero 5 ma il Comune ha risposto che avrei dovuto pagarla io. Mi sono rifiutata. Ad oggi, tra rilievi, lavori, materiali, tecnici e imprevisti, ho speso circa 32 mila euro. Tutto di tasca mia. E mi chiedo: è davvero giusto che tutto questo peso ricada su una sola persona?

A quel punto pensava fosse tutto finito?
Ma certo, pensavo che fosse tutto a posto, e invece no. Due settimane dopo la frana, ho scoperto su internet che c’era un’ordinanza con il mio nome. Lunghissima, piena di cose di cui non sapevo nulla. Dovevo chiedere il permesso alla forestale, ma nessuno me l’aveva detto. Ho deciso di rivolgermi ad un avvocato che mi ha parlato di altri 300 mila euro chiesti dal comune per mettere in sicurezza la zona. Io non ho tutti quei soldi. Non so quanto valga il terreno, ma sicuramente non così tanto.

La zona non è nuova alle frane, il suo terreno non è mai stato interessato?
Nel 2005, a destra del mio terreno, ne è caduta una e il Comune ha sistemato tutto a spese sue. Nel 2015 un’altra ancora, e anche lì ha sistemato tutto l’amministrazione. E ora, per questa, devo rifare tutta la montagna a spese mie? Quello che mi sconvolge è che il comune già nel 2015 sapeva che il terreno rientrava nella categoria 4 B2, ovvero soggetto a smottamenti, ma loro non me l’hanno mai detto. Ora frana e la colpa è solo mia? Per tutta questa situazione il mio avvocato ha fatto ricorso al prefetto, ma è stato dichiarato inammissibile. Ha anche recentemente mandato una diffida al Comune. Abbiamo chiesto dei periti di parte, perché nel frattempo ho chiamato un altro geologo. La questione è complicata, sopra la mia frana c’è una strada comunale non asfaltata, e ora quando ci sono forti piogge l’acqua va sul mio terreno. L’esperto ha escluso che siano state solamente le mie acque a innescare la frana. Ho mandato la perizia dell’esperto al Comune e sono andata subito a parlarne col sindaco Rapinese, ma non mi ha lasciato aprire bocca, ha detto: “Il terreno è tuo, il Comune non c’entra una mazza. Ti consiglio di fare tutto, se no diventa un casino”.

Ad oggi qual è la situazione?
Il 18 aprile mi è arrivata dal comune una comunicazione di avvio di procedimento per la messa in sicurezza. E ora sono in attesa. Il sindaco dice che è colpa mia perché non ho curato il terreno ma non è vero. Quando il Comune ha chiesto di tagliare le piante, io sono stata la prima ad andare. Ho anche l’email dove comunico l’avvenuto taglio, io ho sempre fatto il mio dovere. Mi si ritiene colpevole di una cosa che non mi sento di aver causato. Se avessi sfruttato il terreno in modo pericoloso, allora sì, ma io non ho fatto nulla, anzi, mi sono subito attivata. in quindici giorni ho fatto la spola tra ingegnere, geologo e telefonate continue. È passato un anno e stanno ancora valutando la situazione, io sono sono esaurita, non ce la faccio più fisicamente, emotivamente ma anche economicamente.

Quando è successo il crollo, si aspettava un evento del genere?
All’inizio ero tranquilla, credevo che ci pensasse il Comune, come le volte precedenti. Invece mi sono sentita investita di una responsabilità enorme. Non finisce più. E il modo in cui il sindaco si comporta è inaccettabile, mi tratta come se avessi fatto chissà cosa, ha anche detto che dovrei vergognarmi, che dovrei pagare tutto io, con un atteggiamento arrogante, come se volesse presentarmi il conto. Un sindaco non può rovinare la vita a una persona in questo modo. Io vorrei che qualcuno si mettesse nei miei panni, voglio solo tornare a vivere bene. A volte provo a dirlo a me stessa: “Chi se ne frega, andrà tutto a posto”, ma poi l’ansia mi prende. Dopo un anno sono sola, questa storia mi ha cambiato la vita.

Come sta?
Sto male, molto male. Vivo alti e bassi continui, con momenti di crisi che mi colpiscono all’improvviso. La notte non dormo più: ho dovuto ricominciare a prendere le gocce per calmarmi. Gli attacchi d’ansia sono frequenti. Sono seguita da uno psicologo che mi sta aiutando, ma lo stress ha iniziato a colpirmi anche fisicamente: soffro di reflusso, di dermatite. I medici mi dicono di stare tranquilla, ma come si fa, con tutto quello che sto vivendo? Per fortuna ho vicino mia sorella, mia nipote e alcune amiche che cercano di starmi accanto. Ma la notte sono sola, e in quei momenti riaffiorano tutti i pensieri peggiori. L’ansia diventa insopportabile. Nel 2019 ho perso il mio compagno per un tumore, l’anno dopo mio figlio per un infarto, aveva solo 36 anni e ora questa frana, questa montagna sulle spalle che non riesco più a sostenere. Quello per mio figlio è stato un dolore vero, che ti lacera dentro, ti spezza in due. Dopo aver affrontato due lutti importanti, questa frana la sto vivendo con un’altra consapevolezza, ma resta comunque un peso enorme. Anche dal punto di vista economico la situazione è devastante. Mi hanno detto che, se non riuscirò a pagare, potrebbero portarmi via la casa. È la casa dove sono nata, che ho ereditato dai miei genitori. Dove è nato e vissuto mio figlio e ora rischio che me la portino via, sarebbe come perderlo una seconda volta. Ma che cosa ho fatto di male per meritarmi tutto questo?

Ha avuto modo di confrontarsi con i residenti di Civiglio? Come hanno reagito nei suoi confronti?
Non ho ricevuto una sola parola fuori posto da parte di chi vive qui. Nessun civigliese mi ha giudicata, anzi. Tutti, davvero tutti, mi hanno mostrato comprensione e affetto. In tanti mi hanno detto che sono stati felici che Striscia la notizia abbia raccontato la mia storia: finalmente qualcuno ha fatto luce su quello che è successo davvero. Sono stati gentili, accoglienti, mi hanno sostenuta e io li ringrazio di cuore, uno per uno. Mi fermano per strada, mi stringono la mano, mi dicono: “Dai, coraggio, non mollare”. Mi sento meno sola grazie a loro. Purtroppo, è sui social che si scatena l’odio. Leggo commenti cattivi, giudizi affrettati, accuse ingiuste. È un dolore che si aggiunge a tutto il resto. Non capiscono la situazione, non sanno cosa ho passato. Eppure si sentono in diritto di attaccare. È un odio che mi ferisce, che non riesco a spiegarmi. Eppure, qui, nel mio paese, tanti mi hanno detto: “Se fosse successo a me, non ce l’avrei fatta”. Quelle parole, dette con sincerità, mi danno forza. Perché vuol dire che, nonostante tutto, sono ancora in piedi. Anche se a volte mi sembra di crollare.

Se potesse parlare direttamente al sindaco oggi, cosa gli direbbe?
Gli auguro di passare quello che ho passato io. Se iniziasse, solo per un attimo, a capire cosa vuol dire tutto questo, forse cambierebbe atteggiamento.

Un anno dopo la frana, la ferita più profonda non è quella sul versante, ma quella nella vita di una cittadina che si è trovata improvvisamente sola, sommersa da spese, ansie e paure. La strada resta chiusa ma la ferita rimane aperta.

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