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“Se la dignità non ha più dimora”. Senzatetto, devastante lettera di Bogani che non salva (quasi) nessuno: consiglieri tutti, Ats e Prefettura

Di Flavio Bogani, scriviamo ogni tanto.

Riprendiamo parole di qualche tempo fa, in cui abbiamo azzardato un ritratto dell’uomo:

Duro, senza perdere la tenerezza. La cifra di Flavio Bogani è sempre stata in scia con scelte di vita, civili e religiose precise e coerenti. Il cattorivoluzionario comasco è in prima linea da anni per gli ultimi, i senzatetto e i migranti. Uomo di strada, con le mani profondamente affondate nella miseria e nella malattia, dal pensiero mai banale – comunque la si pensi è quanto doverosamente gli va riconosciuto – attento all’altro con tale profondità e rigore da rispettare, sempre e comunque, anche il più violento degli avversari. Timido ma capace di animare le piazze è stato il primo fondatore della mensa di Sant’Eusebio nell’estate del 2016, quando esplose l’emergenza migranti che portò all’apertura del Centro di Via Regina”.

Ph: Congregalli

Ebbene, dopo un periodo di silenzio, ecco Bogani che invia a ComoZero una lunga e articolata missiva.

Tema? Ancora una volta la questione, tornata caldissima in questi giorni, dei senzatetto con tutti i temi organicamente legati: il dormitorio mai realizzato nonostante il voto del Consiglio comunale, l’ex chiesa di San Francesco, giaciglio improvvisato indegno per la vita umana che crea anche comprensibilissime richieste di decoro da parte dei residenti, la Lega che chiede di ergere un’inferriata tra i colonnati per impedire l’accesso ai senzatetto, le opposizioni accusate da Bogani di ipocrisia e di attacchi inutili al sindaco Landriscina, dopo aver fatto nulla.

Ma ci sono parole durissime anche per Ats e Prefettura, per l’ex amministrazione Lucini e pure un’analisi articolata (e non sempre conciliante) sulla posizione di Caritas.

Ecco la lettera integrale:

Se la dignità non ha più dimora.

In questi mesi, sul tema dei senza fissa dimora e il relativo dormitorio si sono spese polemiche a non finire, per quanto il voto espresso l’anno scorso dal Consiglio Comunale abbia conferito alla Giunta il mandato per la costituzione di una nuova struttura di accoglienza. Ad oggi questo indirizzo consiliare è disatteso a svariato titolo e le posizioni sono diversificate ma la sostanza è sempre la stessa.

In Comune ci si arena tra una apparente mancanza di strutture (quando a Santa Teresa il posto è disponibile e tra l’altro sarebbe operativo senza particolari impedimenti, in questo caso a sostegno della politica “no dormitorio” l’assist è arrivato dall’Insubria, che nel frattempo dispone di una struttura pagata dai contribuente e per nulla utilizzata, roba da Corte dei Conti).

Non mancano aperte ostilità all’argomento da parte della Lega e da Rapinese, che hanno il merito di essere talmente chiare da non aver bisogno di soffermarsi più di tanto.

Ph: Pozzoni

Pure Caritas, nella meritoria posizione di essere il vero dominus operativo, concreto e generoso, insomma quella che si sporca veramente le mani, ha una posizione che da un lato auspica l’accoglienza diffusa (autentica prospettiva, ma attuabile con un dormitorio allargato in quanto quello di via Napoleona è insufficiente), ma nel contempo fa accedere nel vecchio Ozanam solo esclusivamente aventi diritto, regolari e italiani, accettando che chi non è in regola non possa entrarvi, tema di profonda e lacerante divisione di fronte al Vangelo.

Non manca a questo balletto l’opposizione, che quando era al Governo della Città non ha provveduto ad un nuovo dormitorio, benché nel referendum precedente alla sua Amministrazione il parere favorevole dei cittadini votanti fosse schiacciante (nonostante il quorum non avesse validato l’esito, l’opinione era già di per sé indicativa).

Un bel tacer non fu mai scritto: oggi sparare sul Sindaco dopo non aver fatto nulla è ipocrita, per assurdo è più coerente la Lega, che professa sicurezza (?) l’esclusione sistematica a qualsiasi pratica di accoglienza, quando questa modera le frustrazioni e la rabbia dei soggetti più fragili.

Non possono mancare anche gli accorati appelli alla Luce, alla solidarietà; il Vescovo si appella alla Luce che non dovrebbe mancare nella nostra classe dirigente, a risposta l’assessora di turno fa un appello alla Chiesa che faccia la sua parte, come se nulla invero si facesse. Un fosco ping pong, altro che Luce, su queste bonarie schermaglie inverni su inverni si susseguono senza che nulla cambi. Non è dignitoso.

Presente anche la voce del volontariato, schiacciato dall’essere prossimo agli Ultimi e al tempo stesso frustrato più dai Quadri, dai dirigenti e dai Pastori, che dal silenzioso e disperato bisogno di Accoglienza e Ascolto dei più deboli. Tutto quanto è nato negli ultimi anni in Como è nato per iniziativa popolare, ciò dovrebbe interrogare sulla qualità dei nostri quadri dirigenti degli ultimi lustri.

Si riesce anche nell’assoluto silenzio a marcare con la sua assenza l’Azienda Sanitaria locale, che con orecchi da mercante dimentica che la Salute Pubblica non la esime dal dovere della cura della Persona, curioso in questo caso come il Sindaco, responsabile della salute del suo Comune, sia pure medico apprezzato, ma del tutto afono con i suoi ex colleghi dirigenti.

Non può mancare la Prefettura, che dall’alto della sua posizione potrebbe allargare l’attenzione alla marginalità anche alle Comunità satelliti al capoluogo di Provincia, ma evidentemente dopo San Giovanni del 2016 i poveri sono usciti dal suo radar, per rientrare solo se rubricati come emergenza.

Per ultimo, ma non da ultimo, il Consiglio Comunale che a più voci parteggia per l’una o l’altra tenzone, accettando di fatto che le reali politiche lo abbiano bypassato completamente, in quanto evidentemente le scelte si compiono non partendo dall’Aula Consiliare che dispone, ma con l’arbitrio che Giunta e Privato Sociale, per inciso soprattutto Caritas, decidono in sedi separate, in nome di una operatività disgiunta dal controllo e dalla promozione dei nostri eletti, i quali alle ovvie polemiche di parte non sempre entrano nel merito di numeri, di persone, di denaro stanziato.

L’offesa di ignorare il Consiglio Comunale dovrebbe richiedere le dimissioni in blocco di tutte quelle parti (maggioritarie come di minoranza) che non vengono nemmeno considerate. Si preferisce invece vivere in un continuo stallo politico, spacciandolo per equilibrio, dove aperture ed apparentamenti, rimpasti o rimandi sono l’eloquente impotenza della politica locale di fronte ai grandi temi contemporanei. Paralizzati o impotenti diventa più che altro un esercizio accademico da svolgere, a te valutare, credo che i risultati di queste politiche vedano concordi moltissime persone diverse per tradizione e appartenenza. C’è da riflettere.

Eppure in questo balletto ipocrita che ogni anno improvvisamente scopre che è arrivato l’inverno, non è vero che non ci sono spazi per la buona politica.

Dopo venti anni dalla costituzione del primo dormitorio, Caritas rifletta se non è il caso che sia maturo rimettere la gestione di via Napoleona al Comune, perché oggi l’Amministrazione (anche quella precedente, va detto molto chiaramente) distingue le persone per censo giuridico in regolari ed irregolari. In questo non c’è destra o sinistra che si sia distinta nella gestione della grave marginalità ed ora colpire il colore di turno al governo della Città è quantomeno ipocrita.

Gestire il Dormitorio in questi anni, osservando giudiziosamente questa politica è stare dalla parte di Cesare, non del Padre; allora collaborare con il Comune è divenirne di fatto mero soggetto appaltante al pari di qualsiasi altro Privato. Pagati per fare quello che dovrebbe fare il Comune o che potrebbe fare una Cooperativa che fa profitti è un cammino snaturante, non libero. Spiace, ma la forma è sostanza.

Dalla vendita del Cardinal Ferrari, per esempio, si potrebbero utilizzarne i frutti per adibire ad accoglienza ristrutturando una delle tante strutture presenti in Città e lasciate da decenni vuote, (altro che Luce e Audacia, questo è a tutti gli effetti un peccato sociale).

Mi viene in mente l’oratorio di Sant’Orsola, lasciato da alcuni anni dai ragazzi che vanno a sant’Agata. Qui si potrebbe fare quella opera-segno figlia dello spirito sinodale, accogliendo la Persona liberi dal cappio legalista che esclude gli irregolari, i clandestini, anch’essi Fratelli. Rendere sant’Orsola, oggi inglobata come comunità pastorale, lo spazio dove la Città accoglie e condivide percorsi di integrazione, il vecchio Ozanam la prima soglia gestita dal Comune, Santa Teresa accoglienza di secondo livello per percorsi verso l’autonomia; io credo che questa sia sussidiarietà, in ossequio ai principi della Costituzione all’articolo 118.

Gli spazi vuoti a Como sono importanti, vedi il ristrutturando oratorio di Sant’Eusebio, quando in Parrocchia i giovani si contano nell’ordine della ventina, potremmo parlare di Sant’Agostino, ma il punto è che i poveri nessuno li vuole e sono sempre altri che devono accollarsi peso e limite dell’accoglierli (don Giusto docet). Occorre avere una visione aderente e lucida della realtà civile, sociale ed ecclesiale, che sappia riconvertire spazi alla Vita, con modelli che non possono essere tradizionali, antiquati.

Certo, occorrerebbe rinunciare anche a tante cose; alla popolarità perché aiutare anche gli ultimissimi non è facile nell’era del politicamente corretto ma non è per niente dignitoso adibire tende e spacciarle come il meglio possibile oggi. Occorrerebbe essere veri, non drastici, nel restituire la realtà alla nostra Comunità civile di Como, ovvero quanto si sta facendo (tanto, ma quanto costa? Quante persone lavorano per il bene dei poveri? Perché non condividere pubblicamente tutti questi sforzi, i bilanci economici?)

In una prospettiva di restituzione allora responsabilizzare il Comune, non attaccarlo, essere trasparenti (quanti soldi nel corso degli anni sono lievitati alla voce dormitorio? Quanti vanno a coprire professionalità che dopo i migranti non sarebbero più sostenibili?) e liberi diviene la dimensione primaria per essere a servizio della Persona, con dignità verso se stessi e verso le Fragilità.

Caritas e quelle Associazioni che sono finanziate per operare al posto del Pubblico dicano quanto denaro necessitano per l’Accoglienza e quanto gliene viene accordato, se sufficiente o insufficiente; per quanto triste argomentazione, almeno avremo basi vere e non un ipocrita balbettare un vorrei ma non posso.

In questo anche la comunicazione può discernere tra il dovere della cronaca e il libero contribuire alla riflessione di tutti, pubblicare laicamente le convenzioni tra i soggetti protagonisti (che per un cittadino sono pressochè inaccessibili) diventa un esercizio di responsabilità e discussione su quanto giusto e vero debba essere amministrare il Bene a suffragio anche degli Ultimi, dei senza voce. Non serve polemizzare, occorre misurarsi sui fatti concreti, senza ideologie, senza equilibrismi e appelli. Laicamente.

Fatti: scelte, indirizzi, fondi stanziati, risultati ottenuti.

Non è più tempo di equilibri fatti da slogan ideologici, cerchiamo noi di essere degni dei poveri.

Ad oggi, in un ginepraio polemico di eccezioni il nulla di fatto ci pesa come persone, e questa è una Dignità soffocata dove a perdere è tutta la Città.

Dormi(torio) Como, un anno e un mese dopo. E’ il primo settembre 2020: esattamente, quanto vale un voto in questa città?

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