Tra i “dimenticati” di questa pandemia un posto d’onore spetta sicuramente ai bambini e ragazzi che da quasi un anno fanno didattica a distanza, piccoli eroi silenziosi e solitari che ogni giorno nelle loro camerette combattono contro la connessione che salta e la noia che avanza.
Per provare a raccontarli abbiamo raccolto tre storie di tre famiglie diverse tra loro accomunate però da un’unica cosa: un figlio (o più) in Dad.
Federico e la socialità perduta
Da sola e con tre figli in Dad di cui uno con bisogni speciali. S.C. è praticamente un’eroina. Ma ancora di più lo è suo figlio Federico (nome di fantasia) che frequenta le superiori ma ha bisogno di attenzioni e di relazioni che nessuna didattica a distanza può dargli.
“Mio figlio comunica attraverso i segni, deve sperimentare e spesso va guidato fisicamente a svolgere un esercizio – racconta la mamma – nonostante l’impegno dei docenti e dell’educatrice, in Dad non è in grado di imparare cose nuove, deve limitarsi a un ripasso”.
E anche la didattica in presenza, per lui garantita, non porta a grandi benefici: “E’ saltata ogni forma di inclusione perché è in classe da solo”, spiega. Unico lato positivo? Una maggior dimestichezza con il computer ma con la mamma sempre accanto, a scapito del lavoro: “Non può essere lasciato da solo davanti al pc – racconta – per fortuna le sorelle sono autonome altrimenti non saprei come fare”.
Ma anche per loro l’elenco dei sintomi da “Dad prolungata” è lungo: fatica a concentrarsi, zero socialità, impigrimento, studio più superficiale e chi più ne ha più ne metta. “Sono diventati animali da salotto”, conclude la mamma. E anche se è un’immagine che fa sorridere, c’è ben poco da ridere.
Asilo a distanza
Se prima, tra distanziamento e maestra con la mascherina, l’asilo tutto sommato c’era, da qualche settimana anche i più piccoli sono a casa.
“Le mie figlie frequentano il primo e l’ultimo anno di scuola materna e, nonostante l’impegno delle loro maestre, i collegamenti settimanali su Zoom per loro sono faticosi tanto che spesso mi chiedono di non partecipare – racconta Anna – l’anno scorso la più grande piangeva per lo stress di vedere gli amici attraverso un video e, anche se ora capisce meglio la situazione, è molto arrabbiata. L’altra sera, vedendo una partita di calcio in tv, ci ha detto ‘Ma perché gli adulti posso uscire a giocare e noi no?’. Non è facile spiegarglielo”.
E così Anna, insegnante alle scuole medie, si è organizzata tra marito e nonni per far trascorrere alle figlie un po’ di tempo in ambienti diversi mentre lei lavora.
“Così mantengono un minimo di varietà e socialità – spiega – io vedo i miei alunni in Dad e mi spaventano: non solo hanno lacune nei programmi ma sono arrabbiati e spesso i genitori devono lasciarli a casa da soli per andare a lavorare. A uno ho suggerito di andare da un vicino perché aveva paura a stare a casa da solo e scattava a ogni rumore. E un altro mi ha scritto dicendomi di aver perso la motivazione per alzarsi dal letto, una frase che a 11 anni gela il sangue”.
La solitudine dei figli unici
“Mamma, mi manca avere un amico”. Una frase che è un macigno sul cuore di Antonella. A pronunciarla suo figlio, prima liceo affrontata chiuso in camera sua da solo, tutto il giorno. Troppo per un ragazzo che dovrebbe pensare solo a uscire con gli amici, giocare a calcio e vedere la fidanzatina.
“Voglio rivederlo prepararsi per uscire, non mi importa che faccia lezione per cinque ore anche con la didattica a distanza – dice Antonella – la scuola non è solo un posto dove imparare o un parcheggio in cui mandare i figli ma è un luogo dove i ragazzi crescono come persone all’interno della società e questo manca da più di un anno”.
E se a tutto ciò si aggiunge anche l’essere figlio unico, il danno è totale: “E’ a casa da solo perché io devo andare a lavorare, non ha neppure un fratello con cui scambiare una parola – racconta – lo chiamo ogni ora per sapere se va tutto bene ma il pensiero che non ci sia nessuno con lui mi angoscia. Oltretutto lavoro nella grande distribuzione e vedere adulti che, anche in piena zona rossa, si accalcano a fare acquisti mentre i ragazzi non possono andare a scuola fa ancora più rabbia”.
“Pandemia psicologica”: allarme adolescenti
Dad e studenti, scuola e Covid, isolamento e conseguenze sulle famiglie: tutto questo è al centro della petizione lanciata da un nutrito gruppo di psicologi, psicoterapeuti ed educatori italiani su Change.org, dal titolo “Riconosciamo alla Scuola il suo ruolo di tutela della Salute biopsicosociale”.
Tra le promotrici Valentina Liuzzi, psicologa e psicoterapeuta comasca. “Abbiamo messo la nostra identità professionale al servizio delle famiglie, essendo anche noi mamme – spiega – Per noi è importante avere una risposta sul perché le scuole siano ferme, rispetto alla fatica e al sacrificio che stiamo facendo. La salute psichica di bambini e ragazzi, inoltre, è in pericolo: gli adolescenti in particolare stanno soffrendo molto, è stato fatto poco per la loro dimensione umana. La paura più grande è che si abituino a questa condizione, spegnendosi e avendo un vissuto depressivo collettivo. La vita non sarà più quella di prima e lo sappiamo tutti, ma non ci si deve abituare a questa condizione”.
Anche la collega comasca Elena Tigli è tra le firmatarie della petizione. “La Dad può essere un ottimo strumento in emergenza – afferma – ma non è stato utilizzato nel modo giusto. Il sistema scolastico non si è adeguato, concepire la formazione a distanza come se fosse in presenza è stato un errore. La stessa ottica nozionistica non funziona, gli studenti in Dad si distraggono più facilmente facendo sì che la concentrazione, l’interesse e l’apprendimento calino. Non si è nemmeno investito nella formazione degli insegnanti, sarebbe stato necessario pensarci tempo fa”.
Per quanto riguarda la fascia degli adolescenti, aggiunge: “C’è stato un aumento esponenziale dei casi di isolamento sociale, disturbi dell’umore e di ansia. Per i più fragili l’isolamento forzato ha portato a episodi di autolesionismo, l’esposizione più marcata sul web può aumentare il rischio di entrare in contatto con adulti malintenzionati e prendere parte a forme di aggregazione spesso deviate”.
E, di conseguenza, gli equilibri della famiglia vengono turbati. “Dad e isolamento sfasano i normali ritmi di lavoro e di vita – conclude Elena – i genitori sono affaticati, inoltre hanno un certo carico emotivo nel vedere i figli in difficoltà. Ci sono studi che dimostrano la mancanza di correlazione diretta tra frequenza scolastica e casi di contagio, quindi si sarebbe potuta evitare tutta questa situazione. Oltre alla pandemia del virus, c’è anche una pandemia a livello psicologico”.
Chiara Taiana e Tania Gandola