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Don Giusto: “Nei nostri oratori comunità multietniche e Chiese diverse. All’amministrazione interessa una relazione fraterna con loro?”

“[…] A chi amministra la città di Como interessa costruire relazioni fraterne? […]”. E ancora: “[…] I consigli di quartiere per pigrizia dal basso e per un chiaro intento di cancellare la partecipazione dall’alto nella nostra città sono morti. Ci va bene così ? […]”.

Una nuova, ampia e intensa, riflessione quella che don Giusto della Valle, parroco di Rebbio e Camerlata, ha affidato alle pagine dell’ultimo numero del periodico della comunità “Il Focolare”.

Sullo sfondo, pur non nominata, appare la figura di don Roberto Malgesini, architrave, al pari di don Giusto, dell’accoglienza e dell’idea di fraternità e partecipazione in città.

Il titolo dell’editoriale è “Como: città di fratelli?”. Ancora una volta il sacerdote, infilando in una sequenza di domande seguite da domande, invita a fermarsi un istante per riflettere e cercare risposte che non solo siano “giuste” (se mai vi sia un unico giusto) ma che possano incardinare un senso alla vita di comunità. Non solo a Rebbio e Camerlata, ovvio.

Lo riportiamo:

Carissimi, vi invito a leggere il discorso che il nostro Vescovo Oscar ha fatto alla città di Como durante la solennità di Sant’Abbondio 2021. Si pone, in linea con il Papa, la domanda: Como è una città di fratelli? Voi, tu cosa risponderesti? Quali sono i segni di fraternità nei nostri quartieri di Rebbio e Camerlata e quali, invece, sono i contrari?

La fraternità non nasce spontanea, è un progetto di vita, un progetto politico: chi è garante di questo progetto nella nostra città? Nessuno?

Fraternità è partecipazione

Partecipare è prendere parte, decidersi, esserci. I consigli di quartiere per pigrizia dal basso e per un chiaro intento di cancellare la partecipazione dall’alto nella nostra città sono morti. Ci va bene così? Le assemblee condominiali, le assemblee di fabbrica. I comitati genitori e insegnanti nelle scuole sono luoghi di fraternità? Di progettualità fraterna? Cosa si sta muovendo per le prossime elezioni comunali a Como? 

Chi sta aggregando persone che hanno un progetto politico fraterno sulla città? I giovani stanno a guardare? Fraternità significa “mi interesso” che è il contrario di “me ne frego”.

Pandemia e fraternità

Dalle esperienze tragiche della storia possono nascere fiori di fraternità. Penso al Movimento dei Focolari nato sulle macerie della Seconda Guerra Mondiale. Quando si tocca il fondo della vita può nascere qualcosa di nuovo. E’ anche vero tuttavia quello che dice la Bibbia: “L’uomo nella prosperità non comprende, è come gli animali che periscono”. Più si vive nella prosperità meno si è fratelli, è nella povertà condivisa, nella fragilità condivisa, che nasce qualcosa di nuovo.

Nuove aggregazioni e fraternità

In questo decennio a Como sono nate o si sono consolidate nuove aggregazioni a carattere etnico-religioso. Nei nostri quartieri di Rebbio e Camerlata esistono tre centri islamici, una decina di Chiese Pentecostali, Ghanesi e Nigeriane. Nei nostri oratori si riuniscono regolarmente le comunità nigeriane, senegalesi, filippine, salvadoregne, biafrane, marocchine, insieme a un gruppo di giovani multietnico e capitanato da giovani gambiani. Dovrebbero partire a brevei per i piccoli la scuola di cinese e quella della lingua ucraina organizzate dalle rispettive comunità.

Faccio due domande:

Interessa costruire un mondo fraterno a queste aggregazioni?

A chi amministra la città di Como interessa costruire relazioni fraterne con queste aggregazioni?

Vedo del nuovo che sta nascendo anche se in modo confuso.

Saluti cari

Giusto della Valle

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Un commento

  1. Como è una città di fratelli? È una domanda assolutamente legittima. Ma è altrettanto lecito chiedersi se lo sia mai stata e se lo sarà mai. Dopo gli orrori degli anni ’60 e ’70 quando per intendersi fuori da molte case campeggiava la scritta “Non si affitta ai terroni”, ancora oggi c’è chi non capisce che gli immigrati non sono tutti delinquenti, che è la voglia di lavorare che li spinge da noi, che chi cerca il suo angolo di Paradiso in terra non fa peccato e che la forza di scappare dalla miseria è la stessa che avevano i nostri nonni e che oggi ci fa vivere nel benessere, figli e nipoti dei terroni a cui non si voleva affittare la casa compresi.
    Ed è assolutamente lecito chiedersi come sia possibile, oggi come allora, che la spaventosa sfida dell’integrazione sia lasciata agli oratori, alla Caritas, alle associazioni benefiche, nelle provvidenziali mani di alcuni sacerdoti come Don Giusto e Don Roberto. Ma è soprattutto lecito chiedersi perché ci sono partiti che sanno solo andare a caccia dei voti di chi allora non affittava la casa ai terroni e che oggi vuole lasciare a morire sui barconi i negher. Ma questa è un’altra storia: dei voti, come del resto dei partiti, non si sentiva l’odore allora come non lo si sente oggi!

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