“Caro Ministro Franceschini, forse ha ragione lei e noi non abbiamo capito. Quindi ci spieghi: perché i teatri chiusi e le chiese aperte? Qual è la differenza tra uno spettacolo e una messa a livello di assembramento e di pericolo di contagio?”.
Parte così la lettera che un attore comasco ben conosciuto, Stefano Dragone, invia direttamente al ministro per i Beni e le Attività Culturali, Dario Franceschini.
Solo ieri l’intervento della direttrice del Teatro Sociale di Como, Fedora Sorrentino.
E pochi giorni prima, dalla scuola, altro fronte gravemente colpito da Ordinanze e Dpcm anti Covid, la lettera di Valentina Romano, notissima docente del liceo Giovio, indirizzata al ministro dell’Istruzione, Lucia Azzolina.
Ecco il testo integrale della missiva.
Caro Ministro Franceschini, forse ha ragione lei e noi non abbiamo capito. Quindi ci spieghi: perché i teatri chiusi e le chiese aperte? Qual è la differenza tra uno spettacolo e una messa a livello di assembramento e di pericolo di contagio?
Lo sa che il teatro è un rito ed è nato dalle celebrazioni e dai sacrifici per questa o quella divinità?Lo sa che dalla ripresa c’è stato un solo contagiato tra gli spettatori degli eventi dal vivo?
Lo sa che in un paese ci possono essere dieci chiese ma nessun teatro?
Noi non siamo rivoluzionari ma vorremmo essere trattati con rispetto e con equità. Siamo pronti a fare la nostra parte e a dare il buon esempio, ma non possiamo accettare di essere derisi o di passare da stupidi che non hanno capito la gravità delle situazione.
La nostra unica colpa? Non avere un organo univoco (come la CEI, giusto per citare un esempio) in grado di parlare con una sola voce e fare pressioni politiche sul governo.
Ma non tema ministro; utilizzeremo il tempo a disposizione per colmare questa nostra lacuna.
Questo non è un attacco contro la chiesa ma contro la gestione disparitaria delle nuove misure. Anzi; forse proprio i nostri “colleghi” religiosi potrebbero darci una mano e aprire i luoghi di culto per ospitare spettacoli e concerti, visto che sono posti più sicuri di un teatro (sarà per i contatti ai piani alti).
Non chiediamo la carità (quella la lasciamo si nelle chiese) ma esigiamo di essere messi nelle condizioni di poter fare il nostro lavoro.
Non vogliamo essere conosciuti; vogliamo essere riconosciuti.
Non vogliamo la fama; vogliamo non fare la fame.
Vogliamo essere visti e sentiti; proprio come un sacerdote sull’altare o un attore sul palcoscenico.
Un commento
Semplice. Perché nei teatri si sviluppa il senso critico e il pensiero libero. Nelle chiese si sviluppa la fedeltà.
La fedeltà o fede è quella che interessa ai nostri CONDUCATOR.