Una folla di oltre 800 fedeli ha gremito la Cattedrale di Como sabato 15 marzo per il Giubileo delle Ministerialità, un evento che ha messo al centro il ruolo dei laici nella Chiesa. La celebrazione, presieduta dal Cardinale Oscar Cantoni, Vescovo di Como, ha visto la partecipazione di fedeli provenienti da tutta la diocesi, dall’Alta Valtellina alle Valli Varesine, passando per il Lago, il Lecchese e il Comasco.
Un evento di grande partecipazione
La giornata, organizzata dagli Uffici diocesani per la Liturgia, la Catechesi e la Caritas, è iniziata alle 10:00 con la Santa Messa, trasmessa in diretta streaming. Oltre 50 sacerdoti e una decina di diaconi permanenti hanno concelebrato con il Cardinale Cantoni. Monsignor Alberto Pini, Vicario episcopale per la Pastorale, ha aperto la celebrazione, sottolineando l’importanza di un cammino di Chiesa e di un impegno condiviso.
Riflessioni sulla ministerialità
Il Cardinale Cantoni, nelle sue “Indicazioni per un Anno di Grazia”, ha evidenziato la necessità di cristiani, uomini e donne, disposti a condividere la cura della Comunità. Don Rolando Covi, sacerdote della diocesi di Trento e docente di teologia pastorale, ha tenuto una relazione intitolata “Verso una Chiesa della Speranza: passi da compiere”, approfondendo il tema della ministerialità.
Il ruolo dei laici
La ministerialità si articola in tre dimensioni: il ministero ordinato (vescovi, sacerdoti, diaconi), il ministero istituito (lettori, catechisti) e i ministeri di fatto, svolti da tanti uomini e donne che, nelle comunità, contribuiscono alla loro crescita con diversi servizi. Un focus particolare è stato posto sul ruolo del laicato, coinvolto in vari ambiti: animazione liturgica, catechesi e carità.
Di seguito l’omelia del Vescovo, cardinale Oscar Cantoni.
Giubileo delle Ministerialità
Cattedrale di como, 15 marzo 2025
Cari amici, ho davanti a me un bellissimo sguardo di insieme, una immagine della nostra Chiesa, da voi rappresentata nella varietà della sua composizione, tutta orientata ad essere al servizio dell’unità della Chiesa e della sua missione nel mondo. È un motivo di gioia ritrovarci insieme per ringraziare il Signore che ci rende degni di servirlo attraverso le membra del suo corpo, all’interno e all’esterno della nostra Chiesa, ma con lo stesso sguardo di misericordia con cui il Signore Gesù si è rapportato con le persone, cioè, avvicinandole con tenerezza, amandole e servendole con umile generosità.
L’Eucaristia che celebriamo è il motore che armonizza la pluralità della composizione di questa assemblea e che trasforma la nostra diversità in una ricchezza di doni che si compongono in piena e perfetta unità.
Vorrei innanzitutto ringraziarvi per il servizio d’amore che svolgete nelle vostre Comunità e nei vostri vicariati, un dono che è generato dalla grazia vivificante del Battesimo e della Cresima, che vi rende annunciatori della misericordia di Dio, proprio attraverso il ministero che svolgete. Così vi presentate agli occhi di tutti testimoni di una Chiesa serva, nella quale tutti ci sentiamo umili servitori gli uni degli altri, nella varietà e nella bellezza dei doni ricevuti.
La vostra è una presenza che mediante il vostro ministero arricchisce la Chiesa e la rende bella, mentre voi partecipate all’interno di essa non solo come collaboratori, ma come corresponsabili, capaci di un dialogo costruttivo con quanti si impegnano con voi attraverso i mandati ricevuti.
Altri fratelli, dopo di me, a conclusione della Eucaristia, ci nutriranno di nuove consapevolezze a riguardo dei ministeri che ciascuno di noi svolge. Io vorrei sottolineare unicamente il modo con cui servire nella Chiesa, per tenerci in guardia dall’utilizzare la nostra posizione e il nostro servizio come una occasione di auto referenzialità o di privilegio. Un facile tranello sarebbe il credersi migliori o superiori agli altri, a volte insostituibili, e così contribuire con più facilità a edificare il monumento di noi stessi, cadendo nella mondanità, pericolo per il quale papa Francesco ci richiama sovente.
Vorrei quindi richiamare questa regola d’oro, frutto della spiritualità cristiana classica, che ciascuno di noi dovrebbe… imparare a memoria e custodirla come tesoro prezioso, per poterla richiamare al momento giusto, in momenti difficili, quando siamo tentati di lasciar emergere il nostro proprio io, che pretende di avere sempre ragione, di credere che la propria soluzione sia la migliore e unica, quindi inappellabile, quando si pensa di bastare a se stessi e di fare le cose senza consultare o coinvolgere gli altri. Ecco, dunque, questa “regola d’oro”.
Nella Chiesa del Figlio di Dio, il Verbo incarnato, il salire è uno scendere sempre più al servizio degli altri e lo scendere è un salire, perché Dio, quanto più si è piccoli, più eleva nei cieli. Imitiamo quindi sempre più il Figlio di Dio, il Verbo incarnato, in questo suo agire.
C’è della sapienza in queste frasi così essenziali e limpide, che non hanno bisogno di troppi commenti, ma che ci danno la misura del nostro impegno per costruire non una nuova Chiesa, ma una Chiesa nuova.
Oscar card. CANTONI