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Turismo, moda, ristorazione, il grido di Confcommercio: “Fateci lavorare o il prossimo virus sarà la povertà”

“Salute e lavoro possono convivere ma nessuno si salva da solo”. Questo il messaggio lanciato da Confcommercio Como nel corso di una conferenza stampa che stamattina ha dato voce, oltre ai vertici dell’associazione, anche ai rappresentanti di diverse categorie del territorio pesantemente penalizzate dalle decisioni prese per far fronte all’emergenza sanitaria ancora in corso.

Preoccupazione per il futuro, malcontento per le decisioni prese finora dal Governo per sostenere il settore e ferma volontà di rispettare le regole, anche rigide, mantenendo i toni bassi ma con la garanzia di ricevere aiuti adeguati per un settore che non è solo shopping, spritz e cene con gli amici ma è famiglie e un’intera filiera che vedono il loro futuro vacillare: questi i temi comuni a tutti coloro che hanno preso la parola durante l’incontro.

“Noi siamo stati i primi a redigere un protocollo di autoregolazione, abbiamo speso soldi per mettere a norma i nostri locali e lavorare in sicurezza, poi è arrivata la seconda ondata e i colpevoli siamo diventati noi. Per risolvere il problema hanno chiuso bar e ristoranti ma gli assembramenti ci sono stati ugualmente e la gente a Natale si è riunita nelle case – ha detto Giovanni Ciceri, presidente di Confcommercio Como – dobbiamo trovare una formula che permetta a salute e lavoro di convivere. Fateci aprire anche con regole ferree, se ci sono assembramenti disperdeteli, se qualcuno di noi sgarra che venga sanzionato ma fate lavorare i pubblici esercizi o, se non fosse possibile, riconosceteci dei ristori seri”.

“La situazione è drammatica, quasi da periodo post bellico con la differenza che questi continui cambiamenti normativi rendono impossibile l’attività di impresa e la vita delle persone – ha detto Graziano Monetti, direttore di Confcommercio Como – siamo anche disposti alle chiusure nonostante i cali di fatturato ma ci si aspetta indennizzi adeguati oltre che interventi da parte delle amministrazioni locali e un piano vaccini rapido”.

E proprio per sollecitare le amministrazioni locali a prevedere interventi in aiuto delle attività commerciali, a partire dalla cancellazione della tassa di occupazione del suolo pubblico, lunedì 18 gennaio alle 11 verrà consegnato simultaneamente a mano un documento ufficiale che spiega le difficoltà delle categorie. Destinatari il Prefetto di Como, il Presidente della Camera di Commercio Como-Lecco, il Presidente dell’Amministrazione Provinciale, il rappresentante della Regione Lombardia e diversi sindaci del territorio.

Delusione e un appello alla riapertura o a un aiuto economico adeguato condivisa anche dagli altri rappresentanti presenti all’incontro, come Roberto Cassani presidente dell’associazione albergatori di Confcommercio: “Dove è dimostrato che in un albergo, negozio o ristorante c’è la possibilità di contagio? Scaricare su di noi la responsabilità probabilmente serve a distrare da quelle di altri – ha detto – inoltre noi albergatori siamo virtualmente aperti quindi non riceviamo ristori ma in realtà siamo chiusi al 90% per mancanza di prenotazioni e parliamo di fatturati ridotti anche del 100% mentre abbiamo visto miliardi sprecati in banchi a rotelle, cashback, bonus monopattini. Se non si riparte o non saremo aiutati, il danno ricadrà sullo Stato in termini di mancati introiti fiscali e disoccupazione”.

“Il turismo rappresenta il 12% del PIL del Paese ma in un anno non è stata attuata nessuna iniziativa seria per sostenerlo e oggi è chiaro il disegno cancellare un settore che forse porterà a strategie diverse con la fine della micro impresa a favore di grandi gruppi – gli ha fatto eco Andrea Camesasca, vicepresidente degli albergatori – esprimiamo la massima vicinanza agli operatori sanitari e alle vittime di questo virus ma questa malattia potrebbe generare la più grave delle malattie, la povertà. Ristoranti e alberghi non sono luoghi dove si gozzoviglia a dispetto delle regole ma fanno parte di un processo di filiera che parte dal pescatore e passa attraverso chi studia scienze del turismo fino a famiglie che lavorano e hanno creato un pezzo di bello di questo Paese. Come possiamo dire ai nostri ragazzi di investire il loro futuro nel turismo a queste condizioni?”.

Famiglie e imprenditori che ce la mettono tutta per resistere ma che da soli non ce la possono fare, come ha sottolineato Mauro Elli, vicepresidente di Fipe-Confcommercio e chef stellato del Cantuccio di Albavilla: “Quelli che resistono sono tutti stellati ma non possiamo andare avanti a lungo così – ha detto – abbiamo bisogno di programmazione, di tempo per adeguarci alle norme previste, noi vogliamo essere in regola ma vogliamo anche essere rispettati”.

“Da cittadino penso che queste persone non abbiano la cognizione del mondo lavorativo – sono state le parole di Biagio Carfagna, segretario UILTuCS – ma come può una piccola impresa anticipare la cassa integrazione? Rasentiamo la povertà”.

Difficoltà e preoccupazione espressa anche dai rappresentanti di altre categorie collegati online all’incontro che non hanno risparmiato anche toni molto duri pur chiarendo l’assoluta disponibilità degli imprenditori ad accettare restrizioni anche più rigide pur di riuscire a riaprire in tempi ragionevoli.

“Noi ambulanti del settore mercerie, soprattutto nelle zone turistiche e di confine come la nostra, contiamo una riduzione del 90% del fatturato – ha dichiarato Roberto Benelli, presidente degli ambulanti – noi finora ci siamo fidati di chi ci governa e abbiamo fatto anche da tappo a movimenti che fomentano la protesta ma se non ci verranno date ragionevoli certezze sulla ripresa, anche attraverso restrizioni più rigide se necessario, potrebbero verificarsi disordini. Si ricordino che gliel’avevamo detto”.

“Anche categorie definite beni di prima necessità come la nostra sono in difficoltà – ha detto Giacomo Cerutti, consigliere di Confcommercio e imprenditore del settore ottico – i cambi improvvisi di regole e colori confondono la clientela e non riusciamo a lavorare anche se siamo aperti. Dateci regole più rigide ma fateci tornare alla normalità il più presto possibile”.

“L’abbigliamento non è considerato un bene primario e nell’ultimo anno siamo stati chiusi circa 120 giorni, circa il 40% i fatturati sono crollati del 70% soprattutto nelle zone turistiche e di confine per le quali sono arrivati contributi pari a 1/8 del fatturato di aprile, briciole. E in magazzino abbiamo merci invendute acquistate ancor prima che si sapesse dell’esistenza del Covid che nessuno vorrà acquistare l’anno prossimo – ha sottolineato Marco Cassina, presidente Federmoda Como – finora abbiamo fatto di tutto per tenere i toni bassi e vogliamo continuare a farlo ma se si va avanti così verrà il momento di alzare la voce”.

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