“Polizia Penitenziaria di Como: sotto organico, sopra le soglie di stress. I protocolli politici non bastano più”. E’ quanto fanno sapere il Segretario Generale Territoriale Uilpa Penitenziaria di Como, Fabiano Ferro e il coordinatore della Uil, Dario Esposito in una nota. La pubblichiamo integralmente:
Il 20 maggio Regione Lombardia e Ministero della Giustizia hanno firmato un protocollo d’intesa per il benessere del personale penitenziario. Formazione, sportelli di ascolto, iniziative culturali: tutto giusto, tutto condivisibile. È un segnale importante, che testimonia attenzione istituzionale. Ma il punto è un altro: può davvero bastare?
I numeri del carcere di Como parlano da soli. Gli agenti in servizio sono 189, contro un organico previsto di 216: un deficit del 12,5%. I detenuti sono 434, a fronte di una capienza regolamentare di 226: quasi il doppio. Altro che benessere: qui si lavora in apnea.
Servono rinforzi, non rassicurazioni. Turni sostenibili, riposi garantiti, ferie non più da conquistare a fatica. Non sono privilegi: sono diritti fondamentali, che oggi non si riescono a esercitare. È da qui che bisogna cominciare: con provvedimenti urgenti di missione in ingresso nel ruolo agenti/assistenti per coprire almeno in parte le carenze, riportando il lavoro entro limiti accettabili.
Nel frattempo è stato rinnovato il contratto nazionale del comparto sicurezza. Dopo mesi di trattativa, l’aumento è del 6%, a fronte di un’inflazione che dal 2021 ha superato il 18%. E una tantum che somiglia più a un contentino che a un riconoscimento. Così si chiama la dignità?
Lo diciamo senza giri di parole: è un contratto ingiusto, inefficace, inadeguato. E mentre gli stipendi arrancano, Como diventa sempre più cara: affitti in crescita, servizi in calo, vita quotidiana sempre più difficile. È questa la prospettiva per chi regge lo Stato nei contesti più critici?
Come se non bastasse, arriva ora la bozza del nuovo Regolamento di Servizio. Se confermato, sarà ricordato come uno degli attacchi più gravi alla libertà sindacale degli ultimi decenni. L’articolo 17, sull’uso dei social, potrebbe colpire chi racconta la realtà senza filtri. Si rischia di colpire chi documenta i problemi più di chi li genera. Questo testo va fermato: non si può approvare un regolamento che mette in discussione diritti costituzionali senza un confronto serio con le rappresentanze del personale.
Eppure, sullo sfondo, il protocollo lombardo continua a proporre una melodia rassicurante: progetti integrati, sportelli anti-stress, potenziamento dei servizi sanitari. Sono misure utili, e se rese operative anche nelle carceri più in difficoltà, possono avere un valore. Ma non possono bastare da sole, e soprattutto non possono diventare la foglia di fico che nasconde ciò che manca davvero: organici adeguati, stipendi dignitosi, regole giuste.
La UIL dice una cosa semplice: si cominci dal lavoro, non dall’arredo. Il personale penitenziario non chiede panchine nei cortili. Chiede colleghi in più, contratti all’altezza, condizioni di vita compatibili con la dignità del servizio. Chiede che venga riconosciuta la fatica di chi tiene insieme un sistema fragile con la sola forza dell’onestà quotidiana.
Il carcere di Como è lo specchio della crisi penitenziaria italiana. Ma è anche la prova che, nonostante tutto, la Polizia Penitenziaria continua a fare la sua parte, con serietà e dedizione.
È ora che lo Stato faccia la sua: si parta dal Bassone, il più sovraffollato della Lombardia, con misure concrete. Servono agenti, risorse, diritti. Non altre parole.