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Lo stadio del futuro nato dalla grande storia di Como: così lo immaginava il genio di Terragni (con 20mila posti)

Il progetto di uno stadio coperto da 20 mila posti che potrebbe collocarsi in perfetta armonia con il contesto razionalista che lo ospita? C’è già, da quasi 90 anni e porta la firma, prestigiosissima, di quello che è universalmente considerato uno dei padri del Razionalismo, Giuseppe Terragni. Al quale, dettaglio tutt’altro che secondario, si devono i principali edifici che circondano il Sinigaglia e con i quali, che si voglia o no, anche il futuro stadio deve necessariamente dialogare per non rischiare di essere un’astronave atterrata in una cristalleria: il Novocomum, Casa Giuliani-Frigerio e il Monumento ai Caduti.

Era il 1940 circa, infatti, quando l’architetto comasco, che in quegli anni si trovava al fronte tra Jugoslavia e Russia, realizzò alcuni schizzi su carta per un grande stadio.

Piccola annotazione storica: quando Terragni realizzò questi disegni, lo stadio Sinigaglia era già stato inaugurato da circa 13 anni. Immaginare che questo fosse un progetto per realizzare un nuovo stadio in quell’area è un’ipotesi certamente suggestiva, ma assolutamente non comprovata. Sicuramente, però, si tratta di un’idea capace di unire solidità e leggerezza, oltre a soluzioni architettoniche e tecniche ancora oggi avveniristiche, come scrive Ada Francesca Marcianò nel suo catalogo ‘Giuseppe Terragni. Opera completa 1925-1943’: “Il 29 dicembre 1941 (Terragni) scrive dal fronte bellico […]: ‘Sto preparando materiale e forgiando energie per riprendere la lotta che abbiamo lasciata aperta sulla questione Architettura’. Tra il materiale, uno splendido studio per uno stadio, in parte protetto da un’eterea vela mobile di tendoni inclinati. Una struttura talmente profetica da anticipare di almeno un ventennio le acquisizioni in questo settore. Asimmetria totale, non di superficie, ma incalzante in profondità gli energici volumi che, scansata la perimetrazione ellittica, si confrontano come due morse pronte a scattare senza incastrarsi. Il verde e le gradinate intermedie fungono da raccordo. Un bisogno di movimento delle masse agitate da accelerazioni impreviste si precisa nella disparità dei piani di posa, nella frequenza degli sviluppi inclinati e sghembi, negli scarti altimetrici tra i due corpi principali. Un’acme di azioni d’artista per un tema prettamente ingegneristico”.

I dettagli e le misure di questo progetto, forse anche a causa della morte improvvisa di Terragni avvenuta solo pochi anni dopo, nel 1943, sono purtroppo rimasti solo allo stadio di bozza, ma questo non ha impedito agli studiosi che hanno visto e catalogato questi fogli di ipotizzarli realisticamente, come nel caso dell’architetto e storico dell’architettura Giorgio Ciucci: “L’impianto, geometricamente costruito, è basato su settori circolari che convergono verso il centro del campo sportivo […] Dal rapporto fra le dimensioni del campo sportivo e quelle delle gradinate si potrebbe ipotizzare la capienza dello stadio non inferiore alle quindicimila o ventimila persone (Mussolini, ai tempi di Terragni, auspicava appunto la costruzione di ‘teatri di masse’ con questa capienza Ndr) – scrive infatti nella scheda dedicata a questi disegni nel suo volume “Giuseppe Terragni. Opera completa” – in ogni caso da un paio di disegni, tenendo conto delle misure, anche minime, di un campo sportivo (50×90 metri), si può presumere che l’ellissi che disegna lo stadio e le gradinate avrebbe dovuto avere un asse maggiore di circa 650 metri e uno minore di circa 360 metri”.

E come risolveva, Terragni, il problema delle altezze, oggi vero zoccolo duro del confronto tra proprietà del Como e Soprintendenza? “Fra le varie soluzioni proposte c’è anche quella di interrare leggermente le gradinate”, spiega Ciucci.

Quanto alla copertura, invece “Particolare attenzione è rivolta alla posizione dello stadio rispetto al percorso del sole. Lo stadio è pensato coperto solo parzialmente – si legge nella scheda – il sistema adottato prevede, come annotato sui disegni, ‘telai mobili tipo scala porta oppure tende tipo vela latina inclinate a shed’ e ‘antenne paraboliche alternate concave e convesse contro il vento”.

Una suggestione preziosa, frutto di una delle menti più geniali della nostra città e dell’architettura mondiale che, chissà, forse in un mondo ideale avrebbe potuto essere uno spunto di cui fare tesoro nel progettare il futuro stadio. Un po’ come era stato fatto in passato, con il luminoso esempio dello schizzo realizzato dall’architetto comasco – e caposcuola del Futurismo – Antonio Sant’Elia per una centrale elettrica trasformato addirittura nel Monumento ai Caduti (e in un omaggio della città allo stesso Sant’Elia morto al fronte), su proposta illuminata del fondatore del movimento futurista Filippo Tommaso Marinetti, con l’aiuto del pittore Enrico Prampolini e proprio grazie all’intervento di Terragni, che aveva però inizialmente presentato un progetto diverso.

E allora, sognare il nuovo stadio di Como – di cui nessuno nega la necessità (ma abbiamo bisogno di uno stadio nuovo o di un nuovo centro commerciale?) – ispirandosi, per svilupparlo, a un progetto come quello di Terragni, non sarebbe un modo per rifugiarsi dietro il paravento di un passato glorioso, evitando la paura di dare spazio al nuovo.

Sarebbe, piuttosto, un omaggio a chi ha reso Como (e a maggior ragione questo quartiere), famosa in tutto il mondo per qualcosa che non è solo il lago. Certo, ci vorrebbe coraggio. Perché qui non c’è spazio per alberghi, negozi o ristoranti: c’è solo il calcio. E dunque, niente investitori da copertina, ma solo la città.

Ma per farlo servirebbe una città capace di proporre visioni, un Marinetti capace di dare lo slancio iniziale, un Prampolini che trasformi gli schizzi in un progetto architettonico e un Terragni disposto a rinunciare a qualcosa di proprio per firmare un’opera collettiva, perfettamente in equilibrio tra memoria avveniristica e nuove progettualità, capace di soddisfare tifosi, cittadini, amanti dell’architettura e semplici passeggiatori della domenica in cerca, si spera, di armonia e non dell’ennesimo negozio o ristorante. Ci potevano pensare “quelli di prima”? Probabilmente si. Ma non è una buona scusa per non pensarci ora.

Un sentito grazie all’architetto Paolo Brambilla che, oltre ad averci raccontato la sua idea di stadio (la trovate qui), ci ha segnalato questi schizzi di Giuseppe Terragni contribuendo – come sempre fa – ad alimentare un dibattito “alto” sui temi della città.

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