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Long Covid e vaccino: dopo il virus l’infiammazione resta, ma aiuta gli anticorpi. Lo studio dell’Insubria

Long Covid, infiammazione e vaccino sono i temi di uno studio condotto dal Centro di ricerca in Epidemiologia e medicina preventiva (Epimed) dell’Università dell’Insubria e pubblicato sulla rivista internazionale Scientific Report. Sono stati analizzati i dati di 175 operatori sanitari dell’Asst Sette Laghi di Varese vaccinati con Comirnaty-Pfizer BioNTech: tutti hanno avuto una buona risposta anticorpale, che è risultata più precoce e più elevata in presenza di alcuni fattori.

Lo studio è stato coordinato da Marco Ferrario, professore senior di Medicina del lavoro. L’obiettivo era l’identificazione dei fattori che determinano i livelli di anticorpi prima e dopo il vaccino contro il virus Sars-CoV-2, responsabile del Covid-19. All’inizio dello studio sono stati misurati i livelli degli anticorpi, eventualmente presenti per una pregressa infezione da Sars-CoV-2, e alcuni altri biomarcatori, per l’identificazione di fattori potenzialmente coinvolti. Dopo la somministrazione del vaccino Comirnaty-Pfizer BioNTech, i livelli di anticorpi sono stati misurati a vari intervalli per monitorare l’andamento della risposta anticorpale e identificare i soggetti che rispondevano di più e più velocemente.

I risultati sono stati incoraggianti. Tutti i soggetti hanno risposto bene al vaccino. Ma è sui dati dei biomarcatori che si è focalizzata maggiormente la ricerca: è stato osservato innanzitutto che molti operatori sanitari che avevano avuto una precedente infezione da Sars-CoV-2, anche asintomatica, presentavano ancora livelli di biomarcatori infiammatori molto alti.

«Questi dati – spiega Francesco Gianfagna, professore associato di Igiene e medicina preventiva dell’Università dell’Insubria e primo autore del lavoro – possono essere utili per comprendere meglio i meccanismi alla base delle conseguenze dell’infezione. Le nostre analisi mostrano che dopo la risoluzione dell’infezione virale possono restare in atto dei processi infiammatori, anche in assenza dei sintomi da Long Covid. Questa infiammazione non risolta però sembra allo stesso tempo aiutare la risposta anticorpale».

Ulteriori spunti di interesse vengono dall’analisi dei fattori che condizionano la risposta al vaccino. Analizzando le traiettorie degli anticorpi con sofisticate tecniche statistiche, coordinate da Giovanni Veronesi, professore associato di Biostatistica all’Insubria, è stato identificato un cluster di operatori sanitari che avevano riportato una risposta al vaccino più importante: questi erano coloro che avevano avuto una pregressa infezione e soprattutto avevano ancora livelli infiammatori più alti dopo la negativizzazione.

Aggiunge Licia Iacoviello, direttrice del Centro Epimed e professore ordinario di Igiene e Medicina preventiva dell’Università dell’Insubria: «Il vaccino è ad oggi la migliore arma per ridurre la morbilità e la mortalità connessa al virus. Un’arma che funziona molto bene, soprattutto in coloro con infiammazione residua dopo la precedente infezione».

È in corso la seconda parte della ricerca, sul rischio di trasmissione dell’infezione, alla quale stanno partecipando 1500 residenti della città di Varese. Lo studio, condotto in collaborazione con la Microbiologia e l’Hub Covid dell’Asst Sette Laghi (professori Fabrizio Maggi, Andreina Baj, Daniela Dalla Gasperina) e con l’Ircss Neuromed di Pozzilli, è stato finanziato dalla Fondazione Umberto Veronesi, nell’ambito dell’iniziativa «Insieme per la ricerca Covid-19». Un sentito ringraziamento – aggiunge Ferrario – al personale della Asst Sette Laghi che ha collaborato e che ha aderito all’indagine.

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