A Como, mentre si discute di fiori e piante per abbellire aiuole e vie, in pieno centro c’è un rigogliosissimo giardino verticale. E nessuno lo sa.
Un posto in cui “potrei andare a fare la spesa per cucinare i miei piatti”, dice Giò Ratti (chef, flower designer dell’antica tradizione Ratti) che mi ha accompagnata, novello Virgilio, in questa “selva oscura”. E in effetti tra fichi, caprifoglio, malva e avena, gli spunti per inventare un nuovo piatto ci sono tutti.
Ma dove si trova questa chicca? Possibile visitarla? Facilissimo. Basta incamminarsi lungo viale Varese, poi girare a sinistra su viale Cattaneo e infine in via Nazario Sauro et voilà, l’avete appena percorso tutto.
Già, perché il giardino verticale di Como, il misterioso orto a Km zero che da oggi popolerà i sogni culinari del mio accompagnatore, non è nient’altro che le mura medievali della città.
Sono sotto gli occhi di tutti. Forse in realtà non lo sono più, romanticamente ricoperte dalle piante che ricadono dai sovrastanti giardini pensili, ma anche da quelle che potremmo definire banalmente “erbacce”, ma che Giò Ratti, chiarisce essere “Parietaria Judaica, meglio conosciuta come erba muraiola. Insieme con rovi e alle avene, che qui abbondano, da proprio un tipico senso di incuria”.
Ne sono tappezzate le mura, l’interno di Porta Torre è praticamente un prato, mentre dalle finestre spuntano malve in fiore che sembrano pronte per il concorso “balconi fioriti”. E poi i rampicanti, alcuni talmente vecchi che, anche se una mano misteriosa ha provato a tagliarli alla base: “Hanno radici che si sono talmente attaccate alle pietre e alla malta da riuscire a ricavare da lì il nutrimento senza aver bisogno del terreno – rivela Ratti – in pratica continueranno a vivere e crescere nonostante siano state tagliate”.
Highlander, insomma.
Infine, ultimi ma non ultimi, gli alberi. Crescono indisturbati da anni, a giudicare dalle dimensioni, tra le pietre delle mura, in cima alle torri, lungo i camminamenti, tanto per dire.
“Sono per lo più fichi. Parliamo di una pianta quasi infestante capace di radicare senza difficoltà tra le pietre dei muri con radici capaci di spingere molto. Quello poi è un frassino, lì c’è un carpino e quelli sulla Torre San Vitale sono tigli americani. Ce n’è per tutti i gusti”.
Bene. Tengo per me (circa) le considerazioni personali sul rispetto dell’identità di un monumento e sull’opportunità o meno di far ricoprire dalla vegetazione mura nate per scopi difensivi su cui, quindi, non doveva crescere niente che potesse fungere da appiglio per i nemici (sono una fondamentalista, lo so).
E capisco benissimo che lo scopo delle mura ora è, se va bene, quello di tenere fuori le auto e capisco anche che altri possano apprezzarne il sapore romantico un po’ decadente che tanto sarebbe piaciuto a Piranesi.
Quindi tralasciamo l’aspetto estetico e veniamo al dunque: la presenza di queste piante può rappresentare un rischio concreto per le mura?
“Le ricadenti provenienti dai giardini come il caprifoglio, il glicine o le rose non provocano alcun danno perché non hanno radici aeree e, tutto sommato, sono molto decorative – spiega Ratti – ma alberi con una chioma di queste dimensioni (siamo in via Nazario Sauro Ndr) possono sicuramente agire sulla muratura, sia a causa delle radici che del loro stesso peso, o per la tensione dovuta ai movimenti della pianta in caso di vento. Occorrerebbe capire quanto sono resistenti le mura ma qui, in alcuni punti, si vedono già delle pietre mosse in corrispondenza delle radici che andrebbero tenute d’occhio, a mio parere. L’ombra delle piante poi crea umidità su cui nascono nuove piante e le mura poi spariscono, come sta avvenendo in questo tratto”.
Ringraziato Giò Ratti (che, per inciso, chiede, anzi, invoca un’eradicazione almeno del caprifoglio che, dalle mura di via Sauro, si è lanciato a invadere la chioma di uno splendido faggio pendulo), per avermi dato il punto di vista “botanico”. Potevo non andare alla ricerca anche del parere di qualcuno esperto in analisi dei materiali lapidei? E così ho chiesto a Laura Rampazzi, docente e ricercatrice dell’Università dell’Insubria, il suo parere su questo argomento.
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“Al di là del danno estetico evidente – spiega – l’entità di eventuali danni meccanici dipende dalla specie delle piante e dalla lunghezza e spessore delle radici. Queste creano una pressione a volte di per sé non grave ma che, nel tempo, può instaurare un concatenarsi di eventi, una tipica azione sinergica che è alla base del degrado dei beni culturali”.
Cioè?
In pratica, una volta esaurito lo spazio tra la malta e i conci, le radici sono in grado di insinuarsi nella porosità della pietra. Alla lunga questo può provocare frammentazioni e distacchi anche minimi da cui, però può infiltrarsi acqua che, al di là del danno meccanico dovuto alle gelate, può trasportare sali e anche gas disciolti provenienti dall’atmosfera creando acidi dannosi.
Ma è un problema causato solo dalle piante ad alto fusto o riguarda tutte le piante?
In realtà tutte le piante sono potenzialmente in grado di provocare danni a una muratura. Ad esempio le minuscole radici di muschi e licheni, che crescono facilmente nelle zone d’ombra e di umido create dalle piante, secernono delle sostanze acide in grado di danneggiare la pietra
E’ il caso delle mura di Como?
L’anno scorso ho consegnato all’Amministrazione una relazione sull’analisi chimica mineralogica delle malte delle torri e di alcuni tratti delle mura. Da quel punto di vista posso dire di aver trovato le malte in buono stato, senza evidenti marker di forte degrado, ma non mi sono occupata degli aspetti relativi alla presenza di vegetazione e non so se sia stato commissionato uno studio di questo tipo. Di certo avrebbe un senso farlo per avere un quadro più completo nell’ottica di un eventuale restauro.
Ecco il nocciolo della questione: è stata commissionata una relazione anche su questo aspetto? Si ha un quadro completo dello stato delle mura e delle torri su cui basare, eventualmente, gli interventi necessari? E cosa dice?
Troppe domande? Probabilmente si, ma sarebbe sicuramente utile sapere come ci si sta occupando delle mura, al di là di progetti di illuminazione e cura del verde sottostante. Qualcuno avrà voglia di rispondere? Nell’attesa, godetevi la fioritura del caprifoglio e della malva e, così a occhio, preparatevi a un raccolto di fichi a km zero. Niente male
Bioinfo dei nostri specialisti
Giò Ratti. Figlio d’arte viene influenzato dalla presenza carismatica del padre Alfredo Ratti, noto esperto botanico e con una passione verso la cucina, la stessa tramandata al figlio. Inizia la sua passione per la cucina sin da piccolo fondendola con l’arte floreale in un’unione romantica e allo stesso tempo contemporanea. Diplomato in orto-floro-frutticultura presso Fondazione Minoprio dove prende parte attivamente come docente di arte floreale. Si perfeziona in Olanda da uno dei migliori fioristi europei dove partecipa a molti corsi e
concorsi con vere e proprie opere d’arte. La passione per la cucina lo accompagna in tutto questo tempo per poi essere affiancata con l’uso dei fiori ed erbe nei suoi piatti.
Inizia un percorso culinario al fianco dello Chef Giancarlo Morelli, mentore e amico, insegna alcuni dei segreti della cucina tradizionale italiana, dove gestisce la parte dei catering e negli stessi anni viene conferita una stella Michelin allo Chef Morelli. Durante questa unione la conoscenza floreale e arborea si mischia alla straordinaria conoscenza dello Chef Morelli creando un connubio perfetto tra fiori eduli e cibo. L’accademia culinaria di Stresa, promossa dallo chef Antonino Cannavacciuolo è il luogo dove perfeziona le tecniche e segreti della cucina italiana.
La sua cucina è una cucina semplice, curata e sempre in evoluzione, i materiali sono scelti e curati dello stesso per garantire freschezza e genuinità ai suoi piatti. La sua continua curiosità nel mondo degli alimenti, delle spezie e delle cucine di tutto il mondo lo appassiona fino seguire, duranti i viaggi, corsi di cucina internazionale da quella thailandese, cinese, giapponese, indiana, marocchina, libanese, greca cogliendone la storia e l’essenza per un possibile utilizzo con la nostra cucina. La sua esperienza in continua evoluzione permette di arricchire il suo bagaglio culturale cosi come il suo orto, in continua evoluzione con Antiche varietà di erbe aromatiche, fiori e ortaggi vengono coltivati e curati direttamente da lui cosi il sapiente utilizzo delle stesse si fonde con tutti gli altri ingredienti armoniosamente creando un’esperienza sensoriale al
palato.
Laura Rampazzi è ricercatrice di Chimica Analitica all’Università dell’Insubria (Dipartimento di Scienza e Alta tecnologia). E’ anche docente di Chimica Analitica dei Beni Culturali e si dedica allo studio di protocolli di analisi di materiali lapidei (malte, stucchi, pietre naturali, pitture murali). A Como, tra le altre cose, ha analizzando le malte delle torri e delle mura cittadine e degli scavi della torre del Baradello. Ha inoltre collaborato alle indagini diagnostiche della fontana di Camerlata, di Villa Olmo e delle pitture della cupola e della volta della basilica di San Fedele. È autrice di numerosi articoli pubblicati su riviste scientifiche internazionali e nazionali ed è Direttore Scientifico del Centro Speciale di Scienze e Simbolica dei Beni Culturali che riunisce professori, ricercatori ed esperti allo scopo di promuovere e svolgere ricerche.