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Messa del Giovedì Santo, il vescovo: “Prete sempre meno considerato, molti fedeli persi dopo il lockdown”

Oltre la solennità in sé dell’occasione, la Santa messa Crismale del Giovedì Santo, è stata tutt’altro che banale l’omelia del vescovo di Como Oscara Cantoni (con il quale hanno concelebrato il vescovo emerito, monsignor Diego Coletti, e circa 250 sacerdoti provenienti da tutta la Diocesi).

Il Giovedì Santo si fa memoria dell’istituzione del sacerdozio e i presbiteri presenti alla celebrazione hanno rinnovato pubblicamente le loro promesse di fedeltà a Cristo e alla Chiesa. Nella Santa Messa crismale sono stati benedetti gli Oli Santi.

Tornando all’omedia, il vescovo – riprendendo le sollecitazioni espresse da papa Francesco nel discorso tenuto al Simposio “Per una teologia fondamentale del sacerdozio” lo scorso 17 febbraio – nell’omelia intitolata “Le quattro vicinanze del presbitero diocesano”, dopo aver rivolto il suo saluto a tutti i fedeli presenti, si è rivolto in modo particolare a clero diocesano. E non sono mancati passaggi per così dire “crudi”, ad esempio rispetto al “clima stanco e depresso che può insorgere davanti a un’immagine del prete sempre meno considerato dalla società” ma anche al fatto che “è facile sentirci sfiduciati e pessimisti anche a causa delle quotidiane fatiche pastorali, amministrative e burocratiche, che ci sottraggono dagli incontri personali, che invece sono prioritari”.

Ancora più incisivo un ulteriore passaggio, piccolo bilanco di quanto abbia gravanto anche sulla Chiesa la pandemia: “Condivido il malessere che vivete nel constatare come molti fedeli non siano più tornati all’Eucaristia domenicale dopo il lockdown, o come certi battezzati esprimano la loro fede accontentandosi solo di “pratiche” religiose tradizionali, senza tuttavia considerarsi membri attivi nella Chiesa, discepoli missionari, in virtù del proprio Battesimo, quasi che ai soli presbiteri sia affidata esclusivamente la responsabilità della evangelizzazione. Comprendo la vostra preoccupazione quando, occupandovi con i catechisti della trasmissione generazionale della fede, constatate la fuga della maggior parte degli adolescenti e dei giovani dalle attività parrocchiali, a partire dalle celebrazioni liturgiche”.

Infine, ancora un passaggio delicato rivolta ai presbiteri: “La nostra condizione celibataria, infine, senza la preghiera, ma anche senza il supporto di amici leali, con relazioni libere e sane, può diventare un peso difficile da sopportare, sminuendo la bellezza del sacerdozio, ma in questo modo diventa improponibile ai giovani la proposta vocazionale alla vita sacerdotale o religiosa”.

Di seguito, l’omelia integrale del vescovo Oscar Cantoni.

LE QUATTRO VICINANZE DEL PRESBITERO DIOCESANO
Cari fratelli Presbiteri, mi rivolgo a voi cercando di attualizzare il discorso di papa Francesco rivolto ai partecipanti al recente simposio sul Sacerdozio, al quale anch’io ho presenziato. Intendo semplicemente riportare al nostro contesto ecclesiale i contenuti che il santo Padre ha riferito a tutta la Chiesa. Appena ho ascoltato dalla viva voce di Francesco queste sue parole, mi sono immedesimato nella esperienza ecclesiale che stiamo vivendo e ho cercato di riviverla pensando a voi.
Ecco allora “le quattro vicinanze” del presbitero, utili per una sapiente e coraggiosa revisione di vita. Possono farci bene, aiutarci a riflettere, trovare in esse qualche motivo di conversione per avanzare con coraggio e rinnovato impegno!

1. Vicinanza a Dio
La nostra vicinanza a Dio, in quanto presbiteri, è generata dallo stupore di essere stati scelti dal Signore Gesù, dalla felice consapevolezza di essere stati chiamati a lavorare con Lui nella sua vigna non per i nostri meriti, ma perché Egli si è degnato di renderci partecipi dei suoi doni

La nostra risposta al dono di Colui che ci ha amato per primo (1 Gv 4,19) ci impegna ad approfondire ogni giorno l’intimità con il Signore Gesù e insieme a ravvivare la grazia del ministero presbiterale, così da poter affrontare, con il suo aiuto, i diversi impegni pastorali a servizio del popolo di Dio (2Tim 1,6).

Il Battesimo è per tutti la prima, fondamentale chiamata, il sacramento dell’Ordine è la nostra vocazione specifica, compimento di quel potenziale d’amore che ci è stato donato. La vicinanza a Dio si esprime affermando il “primato della grazia” nella nostra vita, ciò quel continuo cammino personale di configurazione a Cristo pastore, che avviene per dono di Dio, insieme alla nostra libera e cosciente adesione a Lui e alla causa del Regno.

Iniziamo la nostra giornata con l’acclamazione: “Per Cristo, con Cristo e in Cristo, a te, Dio padre onnipotente, nell’unità dello Spirito santo, ogni onore e gloria per tutti i secoli dei secoli!”. In questa espressione liturgica è sintetizzato il senso del nostro essere e del nostro agire. Ogni giorno e ogni nostra opera non è che una opportunità per corrispondere al dono che Dio di nuovo ci offre.

Siamo sopraffatti da tante persone che ci interpellano con le loro richieste e riversano su di noi le loro fatiche e sollecitudini. Tuttavia, non dimentichiamo che il Salvatore del mondo è solo il Signore (e non noi!) e a Lui possiamo ricorrere innanzitutto con una preghiera supplice, che rimane il “primo ministero” che la Chiesa ci affida.

Dare spazio a Dio non significa sottrarci a quanti incontriamo, ma è necessario prendere coscienza che “senza di Lui non possiamo fare nulla” (Gv 15,5).

È un tranello di Satana “spingerci a fare di più di ciò che è possibile, in una dedizione senza sosta, per giungere poi a concludere nulla o quasi. Lo Spirito di Dio, invece, ci suggerisce san Vincenzo de Paoli, ci spinge delicatamente a fare il bene che realisticamente si può fare, così che venga compiuto con costanza e a lungo”.

La vicinanza a Dio, che ci fa credere e piegare le ginocchia davanti a Cristo Signore, crocifisso e risorto, ci obbliga a superare decisamente quel clima stanco e depresso che può insorgere davanti a un’immagine del prete sempre meno considerato dalla società. è facile sentirci sfiduciati e pessimisti anche a causa delle quotidiane fatiche pastorali, amministrative e burocratiche, che ci sottraggono dagli incontri personali, che invece sono prioritari. Cristo risorto, vivente tra noi, ci tenga desta la passione gioiosa e incessante, anche negli anni della maturità, per il dono del sacerdozio.

2. Vicinanza al vescovo
Qui sono chiamato in causa in prima persona, insieme però a ciascuno di voi in particolare. Ciò che ci lega non può essere fondato sulla sola reciproca umana empatia, ma innanzitutto su uno stretto vincolo di natura sacramentale, che porta ad andare oltre la condizione personale, nella nostra comune e fragile umanità.

Ciò che caratterizza i nostri rapporti è innanzitutto la fede, che si esprime attraverso le reciproche, benevole relazioni, dal momento che il vescovo è “principio visibile e fondamento di unità nella Chiesa particolare” (cfr Pastores gregis, 23).

Mi pare di respirare tra noi, in generale, un rapporto positivo, fondato su un dialogo franco, improntato alla mutua fiducia, dovuta a una conoscenza antica, così che ciascuno possa sentirsi a suo agio e riconoscermi come padre, fratello e amico. Questa speciale relazione costruisce un vincolo di quella comunione che rende affidabile la vita sacerdotale.

A ciascuno è data la possibilità, nel ricercare la volontà di Dio, di esprimere il proprio parere con coraggio e sincerità e nello stesso tempo ci è chiesta la capacità di ascolto, fino a lasciarci aiutare con umiltà e autocritica. Occorre però assumersi la responsabilità di andare oltre noi stessi, di fronte alla verità e alla realtà concreta, per il bene primario della Chiesa, che supera le sole prospettive o attese personali.

Sono note le difficoltà che tutti attraversiamo in questo periodo di pandemia e di paura per la guerra in corso in Ucraina, per il clima di inquietudine o di incertezza che si respira spesso nelle nostre Comunità, dal divario tra ciò che noi proponiamo e ciò che la gente si aspetta da noi.

Condivido il malessere che vivete nel constatare come molti fedeli non siano più tornati all’Eucaristia domenicale dopo il lockdown, o come certi battezzati esprimano la loro fede accontentandosi solo di “pratiche” religiose tradizionali, senza tuttavia considerarsi membri attivi nella Chiesa, discepoli missionari, in virtù del proprio Battesimo, quasi che ai soli presbiteri sia affidata esclusivamente la responsabilità della evangelizzazione. Comprendo la vostra preoccupazione quando, occupandovi con i catechisti della trasmissione generazionale della fede, constatate la fuga della maggior parte degli adolescenti e dei giovani dalle attività parrocchiali, a partire dalle celebrazioni liturgiche.

So che queste situazioni possono avere un effetto scoraggiante su alcuni di voi, che si domandano a che cosa servono e finiscono con il non credere più al loro ministero. Vi sono fraternamente vicino per incoraggiarvi, per invitarvi tuttavia a riconoscere i non pochi, reali frutti di maturazione ecclesiale, espressione viva di un cammino comune e di una sincera collaborazione con gli altri presbiteri, con i diaconi, con i numerosi laici e laiche, con i membri della vita consacrata.

A tutti noi il compito affascinante di ascoltare sempre di nuovo quello che lo Spirito dice alle Chiese (cfr Ap 2,7), scrutando gli avvenimenti della storia. I momenti di crisi sono spesso da considerarsi una occasione di opportunità, con la libertà di riconoscere anche quei “semi del Verbo”, sparsi ovunque.

3. Vicinanza tra presbiteri
Ed eccoci ora alla terza vicinanza, quella tra presbiteri. Nel corso degli ultimi nostri incontri di formazione e di aggiornamento teologico abbiamo sottolineato più volte l’importanza del Presbiterio quale prima famiglia dei presbiteri e abbiamo proposto questo tema quale motivo fondamentale per la nostra conversione quaresimale.

Da quello che riscontro, visitando i diversi vicariati, mi pare che tra i sacerdoti si respiri un generale clima di serenità, di reciproco rispetto e fiducia, di amicizia sincera e collaborativa. Tutti comprendiamo che vano sarebbe il nostro impegno pastorale se ci lasciassimo assorbire dai soli nostri interessi di parte, se lavorassimo da soli, piuttosto che vivere tra noi in una profonda unità come presbiterio, condividendo comuni progetti con le diverse categorie di persone.

Impegnarci continuamente nel maturare la qualità delle relazioni tra presbiteri è un segnale certamente positivo, che dice stima reciproca, attenzione ai più fragili, dialogo fraterno con tutti, prendendoci a cuore soprattutto dei sacerdoti anziani, ammalati e isolati, utilizzando ogni occasione per vivere una vera fraternità. Mi capita di ripetere spesso: “un prete senza amici è un prete in pericolo!”.
Quanta lotta, tuttavia, persiste ancora nel superare le rivalità, la gelosia, la fatica nel gioire del bene degli altri confratelli, evitando anche giudizi malevoli o pettegolezzi! Solo una testimonianza di comunione fraterna può rendere le nostre Comunità veramente attraenti e luminose. “Attenzione alla tentazione dell’invidia! Siamo sulla stessa barca e andiamo verso lo stesso porto! Chiediamo la grazia di rallegrarci dei frutti degli altri, che sono di tutti!” (EG, 99)

Non sono pochi i sacerdoti che, sperimentando la fatica della solitudine, auspicano sinceramente una vita comune, ma spesso riscontro una clamorosa “marcia indietro”, quando si creano le condizioni favorevoli per attuare questo proposito, anche da parte di chi si impegna nel sostenere questo progetto!
Non dimentichiamo che l’amore fraterno tra sacerdoti è ciò che il popolo di Dio sa immediatamente riconoscere, è “la prova del nove” per la veridicità del nostro impegno, il segno più incisivo di credibilità, la prima manifestazione della carità pastorale, a partire dalle nuove opportunità che ci vengono offerte con le “comunità pastorali”.

Impariamo sempre più a custodirci gli uni gli altri, anche mediante una semplice e diretta correzione fraterna, tenendo conto pazientemente anche dei lati oscuri delle diverse personalità, comprese le fragilità, di cui tutti siamo rivestiti.

La nostra condizione celibataria, infine, senza la preghiera, ma anche senza il supporto di amici leali, con relazioni libere e sane, può diventare un peso difficile da sopportare, sminuendo la bellezza del sacerdozio, ma in questo modo diventa improponibile ai giovani la proposta vocazionale alla vita sacerdotale o religiosa.

4. Vicinanza al popolo
Il popolo di Dio invoca ed esige dai suoi sacerdoti, oggi più che mai, una tenera vicinanza, ossia una immersione totale e profonda nella vita reale della gente, per condividere le sue ferite e i suoi drammi, le paure e le difficoltà che attraversa. Entrando in contatto con l’esistenza concreta il presbitero testimonia a tutti la compassione e la tenerezza di Dio.

È importante che anche voi presbiteri possiate incarnare lo stesso metodo pastorale che papa Francesco ha segnalato ai vescovi. A volte siete chiamati a porvi davanti alla vostra gente per indicare la strada e sostenerne la speranza.

In secondo luogo, siete invitati a stare semplicemente in mezzo a tutti, con una vicinanza umile e misericordiosa. L’Eucaristia domenicale sarà il luogo e il contesto ideale per celebrare la comunione con il Signore Gesù e tra le persone, il luogo per assicurare un legame tra le diverse Comunità.

Altre volte, invece, è opportuno che il presbitero cammini dietro al popolo perché nessuno si senta escluso, né giudicato, o per aiutare quanti sono rimasti indietro. Il gregge del Signore possiede un suo particolare olfatto per individuare nuove strade, nuovi apporti creativi e anche critici! (cfr EG 31).
Vicinanza al popolo di Dio significa accettare anche che tutti i battezzati siano, come noi, responsabili della gioia di evangelizzare, senza tuttavia sentirsi da parte nostra defraudati dei nostri compiti ministeriali (cfr EG 120).

Una Chiesa sinodale cresce nella misura in cui noi impariamo ad accogliere con gratitudine la diversità e la collaborazione di tutti i battezzati, liberi di manifestare il proprio pensiero e, a volte, anche il proprio dissenso.

Occorre riconoscere l’apporto dei laici nelle nostre Comunità con gratitudine, come un arricchimento reciproco, dentro una Chiesa vissuta come un mistero di comunione e valorizzando gli Organismi di partecipazione, di cui ogni parrocchia deve essere dotata, dentro i quali, insieme, apprenderemo, a poco a poco, un autentico stile sinodale permanente.

Impariamo a sostenere con serenità e franchezza il confronto con i laici senza prevenzioni, senza il tono di chi ha già tutte le risposte in tasca o solo verità da trasmettere. Umiltà esige che impariamo ad accogliere i consigli che premurosamente ci vengono offerti dai laici senza asprezza e ricevere le esortazioni senza sentirsi offesi. A volte il popolo di Dio soffre ed è turbato per quei sacerdoti che si ritengono proprietari esclusivi della vigna del Signore, dimenticando di essere semplici e umili lavoratori, più preoccupati delle opere da realizzare immediatamente che di una progressiva maturazione della coscienza nelle comuni responsabilità.

Cari fratelli, spero di essermi espresso, come era nelle mie intenzioni, “con cuore di padre”, per essere di stimolo in quei punti nei quali ciascuno si sente interpellato. Lì occorre maggiormente concentrarsi, sapendo che non tutto si può fare subito e non tutti possono ritenere ugualmente importante o prioritario ciò che ho offerto.

A ciascuno il compito di prendere in considerazione ciò da cui si sente maggiormente messo in discussione. è un impegno che mi prefiggo anch’io!

Nella gioia della Pasqua, vi benedico nel nome del Signore.
+ OSCAR, Vescovo

 

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