A Ponte Tresa gli hanno appena dedicato una piazza e a Santiago del Estero, in Argentina, la Casa della Cultura porta il suo nome.
A Como invece, dove è cresciuto, padre Giorgio Quaglia è poco noto ai più. Eppure la sua è stata una vita luminosa come solo poche sanno essere, capace di mantenere la propria identità e un cuore accogliente anche in luoghi apparentemente diversi tra loro.
Per raccontare chi era davvero, abbiamo chiesto a suo nipote, il regista e attore comasco Davide Marranchelli, di raccontarci questo suo zio capace di trasformare in missione ogni incontro.
“Giorgio era il fratello maggiore di mia mamma ed era nato a Clivio nel 1943 – racconta – poi la sua famiglia si trasferì a Como dove suo padre morì quando lui aveva solo otto anni”.
Una volta cresciuto, Giorgio andò a lavorare in un negozio di stoffe in città finché un giorno decise di entrare in seminario per diventare missionario. “Nel 1979 partì per la poverissima parrocchia di Santiago del Estero in Argentina – ricorda il nipote – una zona grande come la Diocesi di Como e lui trascorreva le giornate percorrendola in lungo e in largo”.
E qui Davide imparò chi fosse questo zio tanto speciale: “Un’estate siamo andati a trovarlo – racconta – ogni giorno ci portava su e giù con lui fermandosi di continuo a dare passaggi a chiunque. E a casa sua era la stessa cosa: a tavola c’era gente di tutti i tipi, senzatetto, tossicodipendenti, persone sconosciute che si fermavano a mangiare”.
Perché don Giorgio era uno che non si girava dall’altra parte e in un territorio che, in quegli anni, era sotto il governo militare con la ferita aperta dei desaparecidos, ha costituito una cooperativa di tessitrici, una scuola materna, “per prendere le difese di alcuni bambini costretti a lavorare pare si sia preso persino le botte – racconta Davide – e alla morte di un governatore locale fu ritrovato un dossier che ricostruiva ora per ora, e per moltissimi anni, ogni suo spostamento”.
Richiamato in Italia nel 2000, don Giorgio raggiunse l’aeroporto tra due ali di folla accorsa a salutarlo e da lì iniziò la seconda parte della sua missione: “Fu nominato parroco di Ponte Tresa, all’apparenza quanto di più lontano dal suo impegno in Argentina – spiega – in realtà anche lì trovò un luogo di confine privo di una vera identità”.
Lì sistemò la chiesa coinvolgendo gli abitanti, creò uno spirito di comunità e non smise mai di aiutare chiunque avesse bisogno.
Nel 2019 Fino Mornasco ha intitolato il centro sportivo di Andrate a padre Giorgio. Il capoluogo, viceversa, ha la memoria molto corta.
“Perché l’amore semina altro amore, perché quando le parole svaniscono l’amore resta, perché era amore quello di cui questa terra di confine aveva bisogno – sono le parole con cui Cristiano Parafioriti, maresciallo di Ponte Tresa, lo ha ricordato nel giorno della dedica della piazza, a 10 anni dalla sua scomparsa – don Giorgio era un semplice uomo di Dio. Senza bisaccia, senza sandali ma con la pipa e la bicicletta visitava gli ammalati, confortava i carcerati, dava da mangiare agli affamati e da bere agli assetati. Convertiva con l’esempio, con la carità ma soprattutto con l’umanità. E tutte queste cose le ha fatte in silenzio e con il sorriso sulle labbra”.
Un commento
Desde Argentina …desde el Pueblo donde el padre George vivio gran parte de su Vida …atestiguamos y damos Fe …De todo lo que aporto al crecimiento al desarrollo y al fortalecimiento espiritual que nos supo brindar…abrazos a su Hermosa flia