“Le grandi città del Nord scalano la classifica della qualità della vita 2021. Non a caso al primo posto si posiziona Parma, che guadagna ben 39 posizioni rispetto allo scorso anno. Un importante balzo in avanti lo fanno anche Torino, Milano, Trieste, Bologna e Firenze. Al contrario le realtà più piccole, e non solo quelle del Sud, sembrano quest’anno scivolare lungo un piano molto inclinato. Tra le province che perdono maggiori posizioni troviamo infatti Como (dal 17mo posto 2020 alla metà inferiore della classifica oggi, Ndr), L’aquila, Belluno, Udine, Varese, Rovigo, Prato, Benevento, Fermo, Rieti e Nuoro”.
E’ così, lucida, tecnica e fatalmente spietata l’analisi offerta da ItaliaOggi-Cattolica nel consueto report annuale.
Spiegano, introducendo lo studio (non ancora pubblicato con dettagli statistici di cui, ovvio, daremo conto appena possibile): “Il motivo di questo sconvolgimento è duplice: da una parte le metropoli hanno dimostrato di saper affrontare meglio la pandemia da Covid-19, tanto che, pur essendo state nel 2020 penalizzate da questa emergenza, nel 2021 hanno saputo riprendersi con maggior rapidità, dimostrando una resilienza più accentuata rispetto a quella dei centri di minori dimensioni”.
La seconda ragione è di metodo: “Ci si è accorti infatti che la classifica degli anni scorsi finiva per sovrappesare un indicatore, quello della Popolazione (che contiene le classifiche di densità demografica, emigranti, morti in percentuale, immigrati, istruzione, nati vivi in percentuale, e numero medio dei componenti della famiglia) rispetto a tutti gli altri e si è deciso quindi di ridimensionarlo attribuendogli un peso uguale o di poco superiore ad Affari e lavoro, Ambiente, Sicurezza, Salute, Tempo libero e Reddito: probabilmente anche questo ha contributo a migliorare la posizione dei grandi centri rispetto ai piccoli”.
E ancora, scrive Italia Oggi: “Rimane invece costante, anzi si accentua, la distanza tra le province del Nord e quelle del Mezzogiorno. Basti pensare che tra le realtà del Centro-Sud solo Perugia, Macerata, Ascoli Piceno, Ancona, Terni, Grosseto e Fermo sono nella prima metà della classifica, mentre solo dieci province del Nord sono nella metà inferiore: Vercelli, Rovigo, Prato, Rimini, Como, Asti, La Spezia, Imperia, Pistoia e Alessandria”.
QUI L’ANTEPRIMA DELLO STUDIO DI ITALIAOGGI-CATTOLICA
Qui la classifica 2020 (Pdf: zoom e sfoglia in fondo al documento):
Qvd2020
5 Commenti
Gli ultimi 4 Sindaci citati purtroppo hanno portato solo o danni o il nulla. Tutto quanto non funziona a Como deriva unicamente da questo. Il Sindaco, ad oggi, è una personalità fondamentale nella scelta dei collaboratori in Giunta e nell’impostazione generale del lavoro da fare, con la giusta visione del futuro della Città. Una grande responsabilità che deve corrispondere a una personalità e una determinazione di rilievo…. che purtroppo non vedo sulla scena comasca.
Non credo alle classifiche di vivibilità delle città. La vivibilità è un fattore troppo personale per essere classificato in funzione di indicatori socioeconomici. Tuttavia, è abbastanza evidente che l’indagine colpisce un nervo scoperto e di conseguenza la correlazione tra la pessima Amministrazione e il crollo in classifica balza agli occhi di tutti. La speranza di un recupero è l’ultima a morire ma, purtroppo, all’orizzonte non si vede nulla di buono. Abbiamo la proposta di una riedizione di Landriscina sponsorizzata dalla Lega; l’eterno candidato Sindaco per chi pensa che basti la protesta e gli atteggiamenti guasconi per risolvere i problemi; un candidatorello di bandiera di FdI, grigio funzionario di partito e mediocre amministratore; un altro candidato di bandiera che come Sindaco ha fatto molto bene ma in una realtà dalle dimensioni assai piccole; il PD che dorme con i suoi alleati nazionali mentre i suoi piccoli alleati locali cercano disperatamente di rianimarlo. Insomma, non c’è molto da essere. L’unica è aggregarsi intorno a un programma e catalizzare l’attenzione della società civile e dei partiti che vogliono effettivamente cambiare. Qualche tentativo c’è stato ma alla fine hanno avuto il sopravvento la cultura partitica, le contrapposizioni tra destra/sinistra, il rispetto di alleanze nazionali di cui non frega niente a nessuno, le polemiche tra le correnti di partito, il timore dell’ostilità di sindacati e associazioni ecc.ecc. Insomma, a patto che non ci siano miracoli, ci toccheranno altri cinque anni di immobilismo ma, a differenza di quelli appena passati, la responsabilità questa volta sarà anche dei “dormiglioni”.
Sig. Gioele, la ringrazio per l’attenzione e soprattutto per gli approfondimenti e le puntuali precisazioni che ha voluto di nuovo condividere.
Certo il quadro che ne esce non si può dire ottimistico. Qualcosa di nuovo comunque non potrà sorgere che da un anelito di rinnovata e tenace speranza.
Como è una Città con potenzialità tali che potrebbe classificarsi facilmente, ogni anno, tra le prime 10 città italiane, insieme alle altre magnifiche eccellenze urbane della provincia.
Cosa gli manca allora da oltre vent’anni? Una classe dirigente all’altezza di questo obiettivo locale, che purtroppo mal si concilia con politici affetti da tentazioni di carriera regionali e nazionali. Intendiamoci sono ambizioni più che legittime, ma allontanano tanto dalla vera attenzione quanto dall’azione efficace per la propria terra, utilizzata solo come trampolino iniziale per la carriera.
Stando così le cose, le alternative per l’agognata inversione di rotta sono unicamente due: o la duratura conversione localistica di un capace politico del luogo convintamente sostenuto dal suo partito; oppure è meglio che che le forze sociali, economiche e culturali più lungimiranti di Como inizino seriamente a costruire un nuovo soggetto politico, un “Movimento del Lario” da esemplare, per ideologia e struttura, su quanto di meglio ha realizzato la Südtiroler Volkspartei, un partito ad esclusiva vocazione territoriale, e per questo appunto tutelante (oltre che ininterrottamente vincente dal 1948 in poi) il proprio territorio, al quale soltanto si sentono autenticamente interessati, e si dedicano.
Signor Gubbiotti, condivido la sua analisi ma dubito che ci sarà la conversione, o meglio riconversione, di un partito o di un politico a vocazione localista. L’unico partito localista che abbiamo conosciuto è la Lega di Bossi e Maroni ma ormai da partito localista-liberale si è trasformata con Salvini in partito sovranista-dirigista. Non c’entra più nulla con la Südtiroler Volkspartei. I politici con esclusiva vocazione locale ci sono e ci sono stati: gli ultimi quattro Sindaci (Botta, Bruni, Lucini e Landriscina) non avevano grandi aspirazioni nazionali e d’altro canto non avevano, ahimè, grande peso politico. L’unica soluzione, che condivido, sarebbe la creazione di una lista civica locale con un programma lungimirante e innovativo e un candidato di spessore in grado di attuarlo. L’ideale sarebbe stato De Sanctis se avesse avuto la determinazione di presentarsi senza l’avallo di tutti i partiti. In ogni caso, ha perfettamente ragione sul punto principale: un gruppo, un candidato e un programma di spessore potrebbero catalizzare i partiti senza idee e senza candidati e soprattutto gli elettori delusi. Tuttavia, questa soluzione richiede molto tempo e oggi di tempo ne è rimasto molto poco.