Ci sono una incredibile storia d’amore e un dramma dietro le immagini dei due senzatetto che dormono tra cimitero e marciapiedi a Monte Olimpino (qui il primo articolo). Una vicenda incredibile, che apprendiamo tramite una lunga mail inviataci da Barbara Cereghetti, residente della zona e segretaria del Circolo Pd di Como Nord, la quale conosce alla perfezione una storia fatta di sentimenti, cattiverie e povertà. Inutile aggiungere altro se non un dettaglio “tecnico”: abbiamo volutamente omesso i nomi propri dei protagonisti.
Di seguito la lettera integrale.
Gentile Emanuele,
scrivo a riguardo il vostro articolo di quest’oggi riguardante i due senzatetto di Monte Olimpino. Sì, hai letto bene “di Monte Olimpino” perché dietro le foto pubblicate e l’ipotetica cronaca di una giornata qualsiasi di due senzatetto qualsiasi, ci sono due persone, una coppia, una storia, di due abitanti di Monte Olimpino.
Lui, di origini marocchine, e lei, di origini ungheresi vivono insieme a Monte Olimpino da diversi anni, dai primi anni ’90 (alcuni ricordano che fosse il 1991). Quindi faccio un breve calcolo: dal 1991 ad oggi sono 27 anni! Ventisette anni insieme, nonostante le evidenti difficoltà. Se pensiamo che al giorno d’oggi le unioni tra persone “agiate” con molte meno difficoltà di loro durano molto meno della metà di questi anni, già la dice lunga.
Però ora vorrei raccontare la storia, quella parte che è nota a tutti noi di Monte Olimpino e quel poco raccontato dagli stessi protagonisti. Non mi è dato sapere il perché della scelta di stazionamento nel nostro quartiere però sappiamo che il loro primo riparo, per i primi anni è stato il ponte dell’autostrada sulla discesa per Ponte Chiasso e chiedevano l’elemosina al semaforo “del Pino”. Quando venne rinnovata la viabilità e creata l’attuale rotatoria, i due si sono trasferiti al semaforo di via Abba per poi approdare davanti al cimitero.
Una quindicina di anni or sono era stato fatto un tentativo di reinserimento e l’uomo aveva trovato occupazione presso il mercato coperto di Como dove trasportava le cassette di frutta e verdura. La coppia aveva anche trovato riparo in una piccola casetta in muratura, nel bosco dietro in cimitero (secondo chi conosce bene il territorio, una vecchia postazione della Guardia di Finanza che sorvegliava il vicino confine con la Svizzera).
Poi gli anni passano, i problemi di salute avanzano e con loro anche lo sconforto e la solitudine. Così, per evadere da questi problemi, con i soldi raccimolati durante il giorno lui compera degli alcolici, cosa che innesca un circolo vizioso di dipendenza che non gli permette più di essere abbastanza lucido per proseguire il lavoro.
I due tornano a chiedere l’elemosina davanti al cimitero anzi, per essere precisi, è lui che chiede l’elemosina, come un buon capofamiglia che porta la pagnotta a casa, perché lei è sempre in disparte. Nel loro disagio e nelle loro difficoltà sono ancora visibili le distinzioni dei ruoli. A volte è anche capitato di assistere alla scena di lei che entra nel bar e rimprovera il compagno di avere bevuto troppo e di aver fatto tardi per l’ora di cena. Se guardiamo con occhi diversi queste situazioni di disagio, riusciremo a vedere anche dell’infinita tenerezza.
La vita della coppia prosegue “lineare”, tra alti e bassi, tra estati e inverni, fino a circa un mese fa quando qualcuno ha pensato di appiccare il fuoco alla loro casetta nel bosco. Parlando con la donna, ha spiegato chiaramente che qualcuno, fortunatamente in loro assenza, ha appiccato il fuoco. E qui, nel quartiere, tutti pensano che sia stato qualcuno del posto, che sapeva dove vivevano.
In tanti anni di permanenza nel nostro quartiere non hanno mai fatto male o dato fastidio a nessuno e ciò è anche dimostrato dalla solidarietà che ogni giorno ricevono, con qualche soldo, con qualcosa da mangiare, o qualche coperta per ripararsi.
Vorrei allacciarmi a questa triste e tremenda storia per fare una riflessione più generale sulla gestione dei senzatetto a Como. In primis credo che non debba esistere distinzione tra centro città e periferie poiché ovunque ci sono commercianti, residenti e turisti che vogliono vivere i luoghi e tutto il territorio deve essere trattato allo stesso modo, non possono esserci zone di serie A e luoghi di serie B.
Tornando ai senzatetto, è delle ultime settimane il tema della chiusura del dormitorio e dei tendoni in via Sirtori, utilizzati per accogliere i senzatetto nella stagione più fredda, io non mi soffermerei sulla domanda-polemica: dormitorio sì o dormitorio no, guarderei un po’ più in là e un po’ più profondamente questo aspetto.
Innanzitutto stiamo parlando di esseri umani e non di pacchi da far spostare da una parte all’altra della città, a secondo delle ordinanze, dei regolamenti applicati o nascondendosi dietro alla frase “sono stranieri irregolari e vanno mandati a casa loro”! E’ ben noto come nel dormitorio di via Sirtori erano presenti 120 senzatetto, tra i quali 34 italiani e 86 migranti; degli 86 migranti 47 sono regolari e soltanto 39 clandestini. Quindi di 120 persone ospitate 81 erano “in regola” e 39 no.
A mio avviso questa amministrazione ha fatto poco o nulla (o forse non lo ho percepito io) per risolvere i problemi sociali in generale (vedasi anche l’episodio dei 4 fratellini uccisi dal padre). Il settore dei Servizi Sociali è molto complesso, sia per normative che per umanità ed energie da mettere in campo. Il ruolo della vicesindaco con delega ai Servizi sociali richiede molto tempo, molto impegno e molta presenza sul territorio e non credo, ora che ha ottenuto anche il ruolo di Parlamentare, che il vicesindaco di Como possa continuare a svolgere al meglio l’importante lavoro di assessore ai Servizi sociali.
Detto ciò mi auguro che venga veramente presa in mano la situazione e che si lavori per dare una dignità ad un tetto ad ognuno dei senzatetto presenti in città; la ricetta buona e giusta, forse, non l’ha nessuno, ma sicuramente con la buona volontà si potrà trovare.
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