Il regalo è già stato scartato (perché di un vero e proprio regalo alla città si tratta) pochi giorni fa, quando è stato tolto il ponteggio in via Vittorio Emanuele ed è comparso lui, il cupolone del Duomo. In versione Musa, ovviamente.
E oggi non resta quindi che “leggere” il biglietto che lo accompagna, il racconto di questa idea e del perché (fortunatamente) ancora oggi c’è chi pensa che far bella casa propria possa essere anche l’occasione per far bella anche la città. Meglio ancora se con un’opera d’arte.
Stamattina infatti, in una conferenza stampa nel suo studio in città, Fabrizio Musa ha presentato il suo nuovo wallpaint realizzato in quella che fino ieri era solo uno slargo tra negozi e farmacia.
E da oggi “Er Cupolone”, come lo avevamo scherzosamente ribattezzato, ha un titolo: Juvarra.txt.
Dalle ceneri del Novocomum la “santità der cupolone” (a specchio) di Musa. Svelato il nuovo wallpaint
A raccontare come è nata l’idea, oltre a Musa, erano presenti la committente dell’opera, Michela Testoni, la critica d’arte Chiara Rostagno e l’assessore al Commercio Marco Butti che, tra le pieghe dei ringraziamenti di rito, non ha fatto mancare una risposta alle polemiche che hanno accompagnato la cancellazione dell’altro wallpaint di Musa, il Novocomum.txt, aprendo la porta anche a possibili collaborazioni future: “Dopo le polemiche per la distruzione dell’opera in via Ballarini, che non poteva coesistere con le esigenze di quel cantiere, è bello che Musa abbia riportato l’arte in un altro angolo del centro, per renderla città sempre più bella sia per i comaschi che per i turisti. Diamoci appuntamento magari per l’anno prossimo, con qualche nuova idea per valorizzare angoli trascurati della città”.
“Diamo spazio anche ad altri artisti, anche solo per pietà della mia povera schiena – commenta ridendo Musa – Vorrei precisare però che quest’opera non è nata volutamente come risposta alla scomparsa di Novocomum.txt, si tratta di una coincidenza fortuita perché la proprietaria dell’immobile mi aveva già contattato molto prima che venisse deciso di cancellarlo. Ma sono contento che ci sia stata questa unione di forze per far sì che quest’opera vedesse la luce, non è affatto una cosa scontata”.
A raccontare le fatiche e i pensieri di Musa che hanno portato a questa idea, e a spiegarne nel dettaglio i significati, pensa Chiara Rostagno che dice: “Quello che Fabrizio semplifica nell’uso del bianco e nero, in realtà è un lavoro immane e quest’opera rappresenta un cambio di passo rispetto ad altre come Novocomum.txt, che portava in un luogo diverso da quello reale le opere razionaliste”.
In questo caso, infatti, la cupola del Duomo è lì a un passo e il significato di questa scelta è diverso:” La parola chiave è sicuramente specchio – spiega Rostagno – la cupola di Juvarra è duplicata in maniera speculare e non è una scelta casuale. Quella originale è andata perduta in un incendio nel 1935 e quella attuale ne conserva la memoria, esattamene come l’opera di Musa che vuole tenere viva la memoria di chi ha vissuto in questa casa e raccontarlo alla città, perché non vada persa”.
Perché dietro quel muro che sembra fatto apposta per invitare chi passa ad alzare lo sguardo (dalle vetrine, dal cellulare, dai pensieri) per stupirsi davanti a una prospettiva inaspettata, c’è un mondo di memorie che ha scelto questo splendido modo per raccontarsi. “La mia famiglia vive qui da generazioni – racconta la committente Michela Testoni – e vedendo le opere di Musa esposte nelle vetrine del negozio qui sotto mi è venuta l’idea di far realizzare questo wallpaint in occasione dei lavori di ristrutturazione, per ricordare i miei antenati e quello che hanno fatto”.
GALLERY-SFOGLIA (Fotoservizio Congregalli)
In attesa di una targa che racconterà le ragioni di questa dedica, sono le parole della signora Testoni a riportare alla luce un racconto fatto di sogni, partenze, guerre, deportazioni finora racchiuso solo nelle fotografie di famiglia: “I membri della mia famiglia hanno combattuto in quasi tutte le guerre, dalla breccia di Porta Pia fino alla Seconda Guerra Mondiale, durante la quale furono deportati mio padre e mio zio. Volevo che il loro ricordo rimanesse vivo e ho scelto questo modo, un regalo per la mia città che ho sempre nel cuore, anche se ora vivo altrove”.
Una settimana di lavoro giorno e notte, mille escamotage tecnici per riuscire a immaginare l’opera nella sua interezza nonostante il ponteggio già montato ed eccola qui, la memoria di una famiglia che rinasce su un muro fino a ieri anonimo e illumina uno scorcio di città scegliendo di raccontarsi, coraggiosamente, attraverso un’opera d’arte donata alla città. Nulla di scontato e nulla di più poetico. Bravi.