Como deve molto più di una piazza al genio di Eli Riva. È questa la sensazione che si ha alla fine di una chiacchierata con la figlia Giovanna Riva, per commentare la petizione lanciata su Change.org dall’Associazione Sentiero dei Sogni per dedicare la piazza dell’Università al grande scultore comasco, diventata poi il racconto di un lavoro prezioso che non merita di restare chiuso solo tra le pagine di un libro.
Due settimane fa è stata lanciata la petizione per dedicare a suo padre, a 100 anni dalla nascita e a 15 dalla scomparsa, la piazza dell’Università di via Valleggio. Un riconoscimento all’“ultimo dei maestri comacini” che ha vissuto e lavorato anche in quella zona. Le farebbe piacere che diventasse realtà?
La trovo una proposta entusiasmante e devo ringraziare Pietro Berra per l’idea. In quella zona c’è la chiesa di Sant’Agata, dove mio padre ha lavorato a lungo e l’Università conserva anche una sua opera dedicata a Francesco Casati.
A suo padre è stata dedicata una grande mostra a Villa Olmo nel 2015 e lo stesso anno, come associazione culturale Eli Riva, avete inaugurato un museo nel suo ex studio a Casate. Ma, nonostante tutto, Riva resta un artista che Como stenta a valorizzare. Come mai secondo lei?
Non saprei. L’anno scorso, in occasione del centenario della nascita, la Pinacoteca gli ha dedicato un ricordo sui social, ma sotto la statua dedicata a Papa Innocenzo XI in via Odescalchi non c’è neppure una targa che ricordi chi è l’autore. Ho chiesto di posizionarne una e credo che verrà collocata a breve. E ho anche chiesto che il museo venga inserito sulle pagine di promozione culturale della città.
Eppure Como è piena di opere importantissime, spesso poco note persino ai comaschi.
Da mesi sto lavorando proprio a un volume che raccoglierà tutte le opere che abbiamo sotto gli occhi senza neanche saperlo, un vero e proprio itinerario che parte da un’opera di rottura come le Piastre, realizzate nel 1956 per un condominio di viale Varese, e che attraversa la città e arriva fino a Limbiate ma anche a Chiasso, Mendrisio, sul lago e persino a 3400 metri in Valmasino, dove c’è una scultura conosciuta praticamente solo agli alpinisti.
Un libro che idealmente completa il racconto cronologico e tematico fatto nella pubblicazione che ha accompagnato la mostra del 2015.
Sì, ma anche uno strumento fondamentale per tutelare le opere di mio padre che, se poco note, rischiano di andare perse come è successo a un pavimento e a una fontana a Carate Urio, distrutti per fare spazio a un parcheggio, o a un’opera che doveva essere all’Unione Industriali ma è sparita nel nulla. E poi ci sono opere e progetti poco noti o totalmente sconosciuti che meritano di essere raccontati.
Ad esempio?
Il progetto con cui ha vinto il concorso per Piazza Cavour nel 1975, rimasto nei cassetti del Comune così come la panchina progettata per quello spazio, che mi fa pensare che sia un bene che mio padre non abbia mai visto il cantiere del lungolago. E poi i putti della fontana di Villa Olmo, che ha rifatto perfettamente identici agli originali ormai deteriorati.
Ha mai pensato di proporre al Comune di Como di trasformare questo volume in un vero e proprio itinerario tematico cittadino dedicato alle opere di suo padre?
È un’idea a cui non avevo pensato ma che sarebbe bellissimo realizzare. Spero possa essere presa in considerazione perché Eli Riva è patrimonio della città, la quale dovrebbe farsi carico della sua memoria. E questo a partire anche da una sede più adeguata per il museo, oggi talmente piccolo da dover stipare le sculture persino sotto i tavoli.
Sta lavorando anche ad altri progetti?
Vorrei completare la raccolta di tutta la produzione di mio padre con un volume dedicato alle opere di arte sacra in tutta Italia e, infine, un volumetto dedicato alle opere cimiteriali. E poi c’è un intero faldone di memorie e pensieri e persino il testamento al cesellatore in cui insegnava a costruirsi gli attrezzi.
Un lavoro enorme.
Mio papà diceva sempre “Gli altri fanno fatica ad avere le idee, io faccio fatica a realizzare tutte le idee che ho in mente” e quello che ha lasciato è un patrimonio che va conservato e valorizzato, anche con l’aiuto della città.