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Italia e Svizzera, milioni di ristorni dei frontalieri a rischio ma forse no: “Con questo numero ogni euro può andare ai Comuni”

Solo pochi giorni fa il senatore del Pd Alessandro Alfieri aveva sottolineato una potenziale minaccia che incombe sul futuro dei ristorni (che sono una parte delle tasse pagate dai lavoratori frontalieri in Svizzera riversata ai Comuni per supportare le economie locali).

Ovvero il fatto che a Roma non venisse snaturato l’impegno di garantire i ristorni nella loro interezza ai Comuni di frontiera. L’anno prossimo verranno versati poco più di 128 milioni di ristorni come hanno comunicato le autorità svizzere. Il ministro dell’economia Giorgetti insiste per un’interpretazione restrittiva dell’ammontare e sembra orientato a dare ai comuni solo 89 milioni, che sono la soglia minima di salvaguardia che avevamo inserito in ratifica”.

Situazione che aveva immediatamente creato discussioni e tensioni a livello politico e a livello dei Comuni che beneficiano dei ristorni. A distanza di alcuni giorni, sempre il senatore Alfieri specifica ulteriori elementi. Ecco il testo:

Ho deciso di scrivere poiché negli anni scorsi mi sono speso molto insieme ad altri colleghi per prevedere una disciplina specifica per le zone di confine e in questo senso sono stato relatore della ratifica dell’accordo fiscale Italia Svizzera.

Ecco perché vorrei provare a fare un po’ di chiarezza sulle risorse per i comuni di frontiera. Personalmente non ho alcun interesse ad alimentare polemiche. E non risponderò agli attacchi che ho ricevuto. Mi interessa trovare una soluzione affinché i Comuni di frontiera abbiano le risorse che a loro spettano per poter rispondere alle esigenze delle loro comunità.

Per fare questo non dobbiamo confondere il tema dei ristorni ai comuni, regolato dagli articoli 9 e 10 della ratifica dell’accordo fiscale Italia Svizzera, che regolano la fase transitoria fino al 2033 e prevedono un contributo statale di 89 milioni per i comuni di frontiera anche dopo il 2023; dal tema del Fondo per lo sviluppo economico, il potenziamento infrastrutturale e il sostegno dei salari nelle zone di confine, regolato dall’art. 11 della stessa ratifica.

I primi due articoli hanno lo scopo di supportare direttamente i comuni di frontiera, dapprima nella fase di transizione, in cui è ancora prevalente la parte dei cosiddetti vecchi frontalieri che non pagano l’addizionale irpef comunale in quanto tassati alla fonte in Svizzera fino alla fine della loro vita lavorativa; e poi a medio termine con un contributo statale pari a 89 milioni, inevitabilmente a scalare nel suo potere nominale in quanto non agganciato all’inflazione. Questo contributo permetterà di integrare l’ammontare dell’addizionale irpef versata dai nuovi lavoratori frontalieri, che sarà decisamente inferiore rispetto all’ammontare odierno garantito dal sistema dei ristorni. Sul lungo termine, proprio per il carattere non rivalutabile del contributo statale di 89 milioni, i comuni di frontiera avranno una perdita di risorse in assenza di correttivi.

Per ovviare a questo rischio e anche per sostenere le zone di confine che potranno contare in futuro su un minor potere di acquisto dei “nuovi frontalieri” tassati in Italia, abbiamo istituito, concordandolo con i sindacati e l’associazione dei comuni di frontiera, il fondo regolato dall’articolo 11 della ratifica che a regime (dal 2045) potrà contare su poco più di 221 milioni di euro. Ma questi fondi non è detto che vadano anche solo parzialmente ai Comuni. Sono destinati in generale alle zone di confine per progetti legati allo sviluppo economico, per infrastrutture o per il sostegno agli stipendi di alcune categorie di lavoratori in Italia che hanno maggiore gap salariale con i cantoni svizzeri.

Sarà un decreto del governo, sentite regioni e comuni interessati, a decidere come spendere e a chi dare queste risorse. Ora dunque è opportuno attuare le disposizioni di legge, che vanno lette bene. Infatti, come prima cosa, va dato seguito al comma 5 dell’articolo 10 della ratifica che prevede che il contributo statale venga determinato “anche tenuto conto delle informazioni assunte ai sensi del comma 4”; vale a dire “le informazioni statistiche utili alle autorità italiane per la redistribuzione della compensazione finanziaria” fornite dai cantoni svizzeri. Siccome per la prima volta quest’anno, a seguito del nuovo accordo, abbiamo il numero esatto dei frontalieri comune per comune e non più sulla base di stime, il governo può decidere, alla luce dei nuovi dati, di assegnare ai comuni di frontiera tutte o parte delle risorse oltre gli 89 milioni, fino ad arrivare all’ammontare dei 128 milioni comunicati dalle autorità svizzere. È solo questione di volontà politica.

In seconda battuta, va avviato subito il confronto con gli enti interessati per definire il decreto che individui ambiti di intervento e soggetti destinatari delle risorse del fondo di cui all’art. 11 della ratifica. A mio avviso è importante coinvolgere le province in questo confronto per la loro attitudine al coordinamento sovracomunale.

Ho scritto queste righe in termini propositivi, al solo fine di trovare soluzioni per i nostri comuni di confine. Spero che i toni e il merito delle proposte possano trovare la condivisione dei colleghi parlamentari. Evitando di alimentare ulteriori polemiche.

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