Ha covato sotto la cenere (e in qualche chat calda) per un giorno, ma alla fine la polemica sulle dure parole pronunciate ieri dal sindaco Mario Landriscina, dal palco del 25 Aprile, sul Partito Comunista Italiano, è scoppiata (qui il resoconto integrale). Ad andare all’attacco è l’avvocato ed ex assessore della Giunta Lucini, Marcello Iantorno. Il quale non ha affatto gradito il passaggio del primo cittadino sul “Partito Comunista che per ragioni tattiche ha cercato di sequestrare una memoria repubblicana che era di tutti per farne una memoria di partito o addirittura un’arma politica”.
Come si può ascoltare nei 35 minuti di video qui sotto, qualche mugugno e un isolato fischio avevano già accompagnato le parole di Landriscina in quello specifico punto, ma Iantorno va giù decisamente più duro.
Di seguito, l’intervento integrale.
Nell’ultimo suo intervento durante la celebrazione della ricorrenza del 25 aprile come sindaco di Como Mario Landriscina ha fatto affermazioni totalmente sbagliate, inopportune e offensive.
E’ giunto inspiegabilmente a mettere sullo stesso piano la destra nostalgica e fascista che non riesce a rompere col passato e la sinistra e, in particolare, il Partito comunista italiano che a giudizio del sindaco Landriscina per ragioni di opportunità politica avrebbe cercato di sequestrare la memoria e la celebrazione della Liberazione dai nazi-fascisti per farne addirittura una arma per fini di parte.
Landriscina così parlando, se non è in cattiva fede, dimostra di ignorare la storia politica e istituzionale dell’Italia e nell’attaccare la sinistra, e in particolare il Partito comunista italiano, ha offeso la memoria e il ricordo di migliaia di eroici partigiani e di personaggi politici che alla lotta contro il fascismo, per la liberazione del Paese e per la democrazia hanno sacrificato la propria vita e le loro libertà. Molti, in quegli anni e successivamente, sono stati tra gli autori della Carta costituzionale e, in diversi casi, sono diventati rappresentanti delle istituzioni democratiche come Terracini che ha presieduto l’Assemblea Costituente, Pertini, la Camera dei deputati e poi la Presidenza della Repubblica, Berlinguer e i cattolici democratici come Dossetti, La Pira e Moro.
Potremmo citare altre decine e decine di altre grandi figure politiche e morali della sinistra democratica di questo Paese che non meritano di ricevere affermazioni offensive e prive di fondamento storico e ciò in particolare proprio durante la celebrazione del 25 aprile.
Marcello Iantorno
4 Commenti
Buongiorno,
Oh Caro amico mio SCONOSCIUTO che non ti firmi, metti la tua faccia da paura, mancava il tuo alito di aglio e sigaretta, la tua blanda somiglianza personaggi KAFKIANI, mi spiace per te e per le tue amiche o amici cadegristi che anelano ai 6 mila euro di Assessore, non sono disponibile per nessun ASSESSORATO, mentre credo che tra scapoli e ammogliati e amanti ci sia molta rincorsa, squallido portare STIPENDI DI SINDACO ED ASSESSORI A QUESTI LIVELLI, andrebbero più che dimezzati piuttosto aumentare il gettone di presenza dei Consiglieri Comunali veri RAPPRESENTANTI DELLA DEMOCRAZIA. CIAO CARO AMICO CHE TI NASCONDI, MA SENTO IL TUO ALITO CATTIVO E ROVINI LA GIORNATA ALLA GENTE. SMETTI DI FUMARE PER LA TUA SALUTE. BEVI QUALCOSA CHE TI RINFRESCHI E LEGGI..’
BACI E ABBRACCI.
DAVIDE FENT
@davidefent
Ci sono libri in merito e innumerevoli pubblicazioni, anche con pagine meno gloriose, ma cio’ non toglie nulla alla sintesi del sindaco che e’ assolutamente condivisibile, tranne che dalla sinistra ovviamente, che ci tiene a precisare quanto bene ha operato e a Como in special modo non smetteremo mai di ringraziare queste amministrazioni illuminate ……………..dubito molto che qualunque storico possa prendere le distanze tranne ovviamente quelli di area.
Vai Fent, che se vince il centrodestra ti faranno assessore alla Brevità e al Copia&Incolla…
Buonasera,
Ma ha ragione Avvocato Marcello Iantorno, che saluto.
Alla Resistenza preso parte Cattolici, Monarchici, Repubblicani, Socialisti, Liberali, appartenenti al Partito d’ Azione, la Brigata Ebraica, Preti cattolici e di varie religioni, l’ esercito, Brigate Partigiane Indipendenti, mi chiedo a distanza di 80 anni perché bisogna accentuare i toni, non capisco. Poi a Como davanti a un Monumento della Resistenza. Ma qualsiasi storico anche di Centrodestra prenderebbe le distanze, verrebbero i brividi anche a Marcello Veneziani e Franco Cardini.
Solo poche ore dopo la comunicazione radiofonica dell’armistizio, a Roma, i rappresentanti di quel Comitato delle Opposizioni che si recarono al Viminale per cercare un colloquio con Badoglio in veste di capo del governo si sentirono rispondere che lo stesso sarebbe stato indisponibile a tempo indeterminato, visto che era fuggito insieme al re, nello stesso pomeriggio del 9, Ivanoe Bonomi, Alessandro Casati, Alcide De Gasperi, Mauro Scoccimarro, Pietro Nenni e Ugo La Malfa, esponenti dei partiti antifascisti usciti dalla clandestinità dopo il crollo del regime, si riunirono e costituirono il primo Comitato di Liberazione Nazionale[].
Nei giorni seguenti si moltiplicarono i CLN locali per organizzare la lotta armata nelle regioni occupate dai tedeschi: a Torino, a Genova, a Padova sotto la direzione di Concetto Marchesi, Silvio Trentin, ed Egidio Meneghetti, a Firenze con Piero Calamandrei, Giorgio La Pira e Adone Zoli. Entro l’11 settembre la struttura dei CLN era costituita e i comitati passarono rapidamente alla lotta armata, mentre il 15 settembre ad Arona i primi capi delle formazioni partigiane organizzate in montagna (Ettore Tibaldi, Vincenzo Moscatelli) e i rappresentanti di CLN (Mario e Corrado Bonfantini, Aldo Denini, l’avvocato Menotti) si incontrarono per discutere dettagli organizzativi e strutture di comando. I partigiani adottarono nomi di battaglia con i quali si garantivano un anonimato che proteggeva le loro famiglie dalle possibili rappresaglie dei fascisti e dei tedeschi, e questi nomi assumevano un carattere di ufficialità essendo noti più di quelli veri.
Il movimento partigiano si organizzò principalmente nel Comitato di Liberazione Nazionale guidato da Bonomi, diviso in CLNAI (Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia), con sede nella Milano occupata, e il CLNC (Comitato di Liberazione Nazionale Centrale). Il CLNAI, presieduto dal 1943 al 1945 da Alfredo Pizzoni, coordinò la lotta armata nell’Italia occupata, condotta da formazioni denominate brigate e divisioni, quali le Brigate Garibaldi, costituite su iniziativa del partito comunista; le Brigate Matteotti, legate al partito socialista; le Brigate Giustizia e Libertà, legate al Partito d’Azione e le Brigate Autonome (definite anche come “badogliani” o azzurri dal colore dei loro fazzoletti) prive di rappresentanza politica e talvolta simpatizzanti per la monarchia, come quelle capeggiate da Enrico Martini (“Mauri”) e Piero Balbo, il Gruppo “Cinque Giornate” del colonnello Carlo Croce o l’Organizzazione Franchi fondata da Edgardo Sogno.
Al di fuori del CLN, ma in contatto con esso, operarono alcune formazioni partigiane anarchiche come le Brigate Bruzzi Malatesta, altre formazioni come la Bandiera Rossa, la più numerosa formazione partigiana della capitale, le formazioni libertarie che operavano nell’alta Toscana come il Battaglione Lucetti e la Elio Lunense e diverse formazioni autonome SAP di indirizzo libertario della Liguria. Completamente al di fuori del CLN operavano gli autonomi di Mauri del 1º Gruppo Divisioni Alpine, e la XI Zona Patrioti guidata dal Comandante Manrico Ducceschi “Pippo”, dichiaratamente impostata in maniera apolitica con il solo denominatore comune della lotta ad oltranza contro i nazifascisti.
I primi gruppi di ribelli furono tuttavia spontanei, con collegamenti minimi con le strutture clandestine politiche cittadine a causa della confusione generale seguita all’8 settembre, alla mancanza di collegamenti ed allo sbando del Regio Esercito. Alcuni reparti militari italiani avevano tuttavia conservato una certa compattezza, nonostante l’assenza di qualsiasi ordine coerente da parte del Comando supremo; in effetti era stata diramata la memoria op.44, una disposizione segreta della quale vennero messi a parte solo alcuni ufficiali di grado elevato (comandanti d’armata e delle grandi unità indipendenti), ma che di fatto non conteneva istruzioni puntuali e che i destinatari erano chiamati a distruggere col fuoco dopo averla letta. La “resistenza militare” si distinse tuttavia da quella propriamente detta poiché fu portata avanti da componenti delle Forze Armate, riconoscibili come personale in uniforme “sottoposto alla giurisdizione militare”,mentre i partigiani furono impegnati nella guerra asimmetrica.
Furono numerosi i militari del Regio Esercito, sfuggiti alla cattura da parte dei tedeschi, che parteciparono e guidarono le formazioni partigiane. I primi raggruppamenti si costituirono nelle Prealpi e nel Preappennino, e furono organizzati e comandati in un primo momento da giovani ufficiali inferiori e sottufficiali dell’esercito in dissoluzione. Questi primi gruppi, costituiti da poche decine di elementi, vennero presto rafforzati dai primi capi politici che salirono in montagna per prendere parte ed organizzare la lotta[32]. Nel tempo peraltro si assisterà a una progressiva politicizzazione di molti ufficiali inferiori dell’esercito e ad una militarizzazione dei capi politici comunisti e azionisti, sempre più concentrati sull’organizzazione tecnica e sull’efficienza della guerra partigiana contro i nazifascisti.
Alla metà di settembre i nuclei più forti di partigiani erano nell’Italia settentrionale, circa 1.000 uomini, di cui 500 in Piemonte, mentre nell’Italia centrale erano presenti circa 500 combattenti, di cui 300 raggruppati nei settori montuosi di Marche e Abruzzo.
In Piemonte le formazioni si costituirono nelle valli alpine: In Val Pesio sorsero le formazioni autonome del capitano Cosa; in val Casotto (Langhe e Monferrato) iniziarono ad organizzarsi le efficienti formazioni autonome guidate dal maggiore degli Alpini Enrico Martini “Mauri”; nelle colline di Boves salirono i giellisti di Duccio Galimberti, Dante Livio Bianco e Benedetto Dalmastro. Altre formazioni autonome si formarono in Val d’Ossola sotto la guida di Alfredo e Antonio Di Dio, fratelli e ufficiali effettivi, in val Strona con Filippo Beltrami, in val Toce con Eugenio Cefis e Giovanni Marcora e in val Chisone, guidati dal sergente alpino Maggiorino Marcellin “Bluter”.
Le formazioni gielliste e comuniste si organizzarono a Frise (unità gielliste con Luigi Ventre, Renzo Minetto, Giorgio Bocca, tutti ufficiali degli Alpini); a Centallo (autonomi e giellisti organizzati da altri tre ufficiali alpini tra cui Nuto Revelli), in val Po, dove, sotto la guida di Pompeo Colajanni “Barbato”, ufficiale di cavalleria comunista, si organizzò una forte formazione garibaldina con Giancarlo Pajetta, Antonio Giolitti, Guastavo Comollo; in val Pellice (giellisti); nel Biellese (nuclei di comunisti con vecchi antifascisti come Guido Sola, Battista Santhià e Francesco Moranino “Gemisto”); soprattutto in Valsesia dove si costituirono le formazioni comuniste garibaldine guidate da combattenti prestigiosi come Vincenzo Moscatelli “Cino”, Eraldo Gastone “Ciro” e Pietro Secchia, importante dirigente del PCI.
L’azione della Resistenza italiana come guerra patriottica di liberazione dall’occupazione tedesca.
Cordiali saluti con Stima.
Davide Fent
@davidefent