Uno degli episodi più controversi della storia del cristianesimo è rappresentato dai martiri di Cordova: questi cristiani mozarabi nella Spagna del IX secolo con l’ambizione al martirio, scelsero il vilipendio del Corano e l’insulto al Profeta Maometto per ottenere una condanna a morte.
Federico Mello nel suo “La viralità del male. Storie di nuovi fanatici” spiega come la società ipermediatica, abbia sostituito il tradizionale fanatismo con un modello complottista, in cui la rete è un approdo sicuro perché offre una sorta di privacy nella quale chiunque possa rinchiudersi, e trovare la “pace dietro le sbarre di una visione assoluta”. Secondo Voltaire il male è virale perché il fanatismo: “E’ una malattia dello spirito, che si prende come il morbillo. I libri la diffondono meno che le assemblee e i discorsi”.
Per chi volesse esempi terribili di fanatismo e di disonesti che incitano al fanatismo è sufficiente osservare questi ultimi anni: dall’inizio della pandemia, parola ormai centrale nel lessico famigliare, il Covid che ha colto tutti impreparati è stato brillantemente risolto grazie al caratteristico genio italico: l’atteggiamento della tifoseria da stadio o del pensionato che osserva i cantieri; non so cosa stiano facendo, ma io lo farei diversamente. Poiché l’italiano non vuole fare mai brutta figura, ha lavorato con meticolosa attenzione e capillare preparazione, non ha lasciato nulla al caso, nessuna improvvisazione e ha proposto un modello di fanatismo in chiave laica simile a quello che ha pervaso l’Europa della peste nera; un movimento culturale di pregiudizio iconoclasta che meriterà l’attenzione dei neurosociologi (Wikipedia propone una definizione comprensibile anche per i non addetti ai lavori come me).
Nella prima edizione le prove di questo sforzo si sono concretizzate in risultati preliminari, ma fin da subito promettenti: gli accesi dibattiti sull’interpretazione dei numeri dei pazienti ricoverati, dei morti e dei tamponi positivi, tra chi ne contestava la veridicità con disarmante incompetenza e chi con altrettanta pericolosa impreparazione si lanciava in ardite interpretazioni di inferenza statistica.
Ma gli sforzi di questa “arroganza dell’autodidatta”, non sono stati vani.
Nella seconda edizione il popolo italico confortato dai lusinghieri risultati e consapevole degli obiettivi raggiunti, ha alzato l’asticella, con dibattito serio e costruttivo sull’immuno-giurisprudenza (non cercate sui sacri testi di Google poiché si tratta di un ardito neologismo di mia invenzione): prima la sicurezza dei vaccini e i limiti della ricerca nel realizzare un prodotto in così poco tempo e poi quelli sull’opportunità, obbligatorietà o necessità di una terapia che l’evidenza clinica ha dimostrato essere efficace, ma sulla quale effettivamente vale ancora la pena dissentire, perché dietro l’angolo c’è sempre un complotto (caratteristica intrinseca nel patrimonio genetico di tutti i virus).
Anche il partito del consenso a vocazione fideistica (depositario dell’unica verità perché vaccinato), non ha mancato di regalarci perle di incommensurabile valore: ricordo alcuni medici prendere posizioni durante i talk show o sui social network su questioni di cui erano totalmente incompetenti; oppure dispensando dogmi: il vaccino guarirà dal covid quindi toglieremo la mascherina. Poi è arrivata la scienza “de’noantri” che ne ha certificato l’efficacia con tesi incontrovertibili: torniamo allo stadio e visitiamo i mercatini di Natale.
Due recenti ordinanze da tribunali diversi, mi hanno francamente spiazzato: la sospensione tout court dal servizio dei docenti non vaccinati è considerata misura corretta in quanto prevista in ragione della tipicità della prestazione lavorativa degli stessi; la riammissione al lavoro di un’infermiera no-vax in virtù della rilevanza costituzionale dei diritti compromessi. Forse l’unica spiegazione coerente viene dal secondo studio europeo sull’alfabetizzazione sanitaria (HLS19), che vede l’Italia in difficoltà per il 31% degli intervistati, rispetto ad una media europea del 23%.
Eppure a voler ben guardare il gruppo negazionista resiste proprio perché il partito del consenso si muove in maniera fanatica (alimentato come ogni fanatismo che si rispetti, dai propri martiri). Un errore che ha generato movimenti culturali di pregiudizio iconoclasta in cui la centralità dell’azione non è stata: uniti contro la pandemia; ma aggrediamo l’oppositore.
Nessuno metterebbe in dubbio l’efficacia della campagna vaccinale nell’eradicazione della poliomelite; malattia endemica per migliaia di anni, salita agli onori della cronaca nel XX secolo per il suo ruolo pandemico; eppure a sconfiggere questa malattia non è stato principalmente il vaccino (in realtà due: quello di Sabin e Salk, entrambi senza brevetto), ma la sua diffusione capillare in tutto il mondo e questa vittoria veste il tricolore: nel 1976 l’imprenditore triestino Sergio Mulitsch di Palmenberg, creò la prima campagna internazionale portando il vaccino nelle Filippine. Idea innovativa perché ancora nel 1980 in tutto il mondo, si ammalavano 1000 bambini ogni giorno. Piace ricordare che il rotariano Sergio Mulitsch di Palmenberg fu aiutato dal prof. Paolo Neri Direttore Generale del Laboratorio Sieroterapico Sclavo di Siena, a cui Albert Sabin anch’egli rotariano aveva donato i suoi ceppi del virus.
Mentre i vaccini a mRna si stanno rivelando meno duraturi del previsto, così come quelli a vettore virale, altri vaccini utilizzati da miliardi di persone, stanno mostrando le loro reali potenzialità: la vera sfida sarà promuovere una vaccinazione a livello mondiale, abbandonando il fanatismo del pregiudizio iconoclasta.
Dott. Alberto Vannelli
Direttore UOC Chirurgia Generale – Ospedale Valduce
Past President Rotary Como