A Lecco il 4 ottobre ha aperto la mostra sui Macchiaioli. Sessanta opere esposte al Palazzo delle Paure di autori quali Telemaco Signorini, Giovanni Fattori, Giuseppe Abbati, Silvestro Lega, Vincenzo Cabianca, Raffaello Sernesi, Odoardo Borrani. Non segnerà alcun punto di svolta sulla conoscenza del movimento specifico e della storia dell’arte in genere, ma è certamente appuntamento goloso.
Il 22 ottobre scorso, a Varese, nei Musei civici di Villa Mirabello, ha aperto i battenti un’interessante mostra dal titolo “Renato Guttuso a Varese”, basata sulle opere della Fondazione Pellin.
A Lugano il 14 ottobre prenderà il via un evento culturale di risonanza mondiale, più che una mostra d’arte.
Nella città ticinese arriva infatti “Van Gogh Alive – The Experience”, evento multimediale più visitato al mondo, che potrà anche far storcere il naso a qualche purista o a qualche accademico ma che permetterà di conoscere in maniera alternativa il genio creativo del pittore olandese grazie a più di 3mila immagini ad altissima definizione proiettate su schermi giganti, pareti e colonne dal soffitto al pavimento.
E se poi si vuole fare qualche chilometro in più a Bergamo – alla GAMeC – non soltanto si possono ammirare opere di Jean Arp, Alberto Burri, Christo, Jean Fautrier, Hans Hartung, Sol LeWitt, Giulio Paolini, Pino Pascali, Giuseppe Penone, Ettore Spalletti, Emilio Vedova, Andy Warhol, Wols.
Ma si fa anche del bene, in qualche modo: l’esposizione nasce infatti dal mix tra le raccolte della GAMeC e un nucleo di prestigiosi lavori confiscati in Lombardia e gestiti dall’Agenzia Nazionale per l’amministrazione dei beni sequestrati.
A Salò (Brescia), al MuSa, è ancora in corso “Contemplazioni: I Visionari”, a cura di Vittorio Sgarbi, e descritta dal direttore del museo, Giordano Bruno Guerri, come “un viaggio attraverso le esperienze artistiche più creative della seconda metà del secolo scorso in un susseguirsi di camere delle meraviglie”.
Tralasciamo Milano – anche giustamente visti i piani non paragonabili ma un pochino anche per pietà – e veniamo alla polemica.
Como? Si dirà: “Beh, prendi la macchina e vai a vedere quelle elencate, cosa ci vuole?”. Vero. Ma potrò avere il diritto di compiacermi anche nella “mia” città?
E allora diamo un’occhiata a cosa c’è qui e ora.
La piccola ma ben fatta mostra in Pinacoteca “Mario Radice: il pittore e gli architetti” che indaga la collaborazione con Cesare Cattaneo, Giuseppe Terragni, Ico Parisi – ne abbiamo parlato (bene) qui – arriva un po’ spompa al finale dopo 5 mesi di apertura.
Il mini allestimento è curato, i materiali interessanti: ma siamo sempre lì. Giustissima valorizzazione e perenne riscoperta del genius loci comasco, ma per la centesima? Millesima? Milionesima volta? E ovviamente – al netto del valore culturale supremo di opere e nomi citati – certamente non per tutti, non per “il popolo”.
Poi – restando almeno sul “cartellone” principale della città – c’è Miniartextil a San Francesco. Bella, come sempre. Creativa, diversa, originale. Una piccola-ma-grande mostra, per quanto sa offrire oggi il capoluogo in termini di offerta culturale. Ma sempre nella nicchia stiamo, oggettivamente.
Certamente meritevole di visita e apprezzamento, anche la recentissima “I volti di Plinio” con tanto di esposizione del (forse) cranio del Vecchio rinvenuto vicino al porto di Pompei e giunto al Broletto grazie a un accordo tra il Museo Storico dell’Arte Sanitaria di Roma e la Fondazione Alessandro Volta.
La storia, la vita, l’opera di Plinio sono sempre un toccasana culturale, allestimento e approfondimento della mostra complessiva saranno valutabili da oggi primo novembre. Ma parliamo di una manciata di giorni in tutto: disallestimento il 10 novembre e saluti.
Insomma, gira e rigira: Como parla sempre di sé e quasi solo per sé. Terragni, Plinio, Volta, Campo Urbano. E poi via: Plinio, Volta, Terragni, il tessile. E c’è da scommettere che al prossimo giro sarà Terragni, Volta, Plinio, le monete.
Ce li faranno odiare, prima o poi, Volta, Plinio, Terragni. Un giorno odieremo l’ombelico di Como (nobilissimo, non potremmo farne a meno) a furia di guardarcelo, rimirarcelo, ammirarlo, girarlo e rigirarlo.
Si possono anche legittimamente odiare le “grandi mostre”, le loro file, le loro code, il loro sapore (per i più critici) di pacchettoni preconfezionati di Gioconde, mezze Gioconde, simil Gioconde. Quel non so che di valle in festa alla domenica pomeriggio.
Ma portatecelo un fake Giocondone coi baffi. Ridatecelo il brivido di una “grande mostra”, anche solo per dire che è brutta, che fa schifo, che non vale niente, che rivogliamo l’anatomia dello spiffero alla Casa del Fascio. Per dire che 50, 70, 100mila persone sono tutte stupide e non capiscono “la vera arte”.
Proviamo anche noi, di nuovo, il gusto di quelle schifezza. Tanto il nostro ombelico continueremo ad ammirarlo e toccarlo come è giusto e doveroso che sia ma soprattutto come bambini che giocano al dottore.
Ma c’è il resto del corpo, pure. Sai che goduria può dare?
Un commento
È esattamente così
e.g. : i tableau vivant di Vanessa Beecroft sono l’ideale per Villa Olmo, ci sarebbero file lunghissime, nonostante la solita avvertenza :
non interagire con le modelle