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Tutto lo sport a Muggiò? Ceruti-Beretta, architetti diversi: “Sì io approvo”, “No basta cittadelle”

La piana di Muggiò trasformata in un’area a totale e unica vocazione sportiva (con o senza fondi per il centro federale degli sport del ghiaccio)? Il dibattitto sulla via intrapresa dalla giunta Rapinese per l’area di Como dove ora oggi giacciono i ruderi della piscina olimpionica e dell’ex palazzetto (ma tutto a due passi dal centro Belvedere e dal Campo Coni) è aperto. E naturalmente suscita pareri opposti. In due momenti diversi, gli architetti comaschi Lorenza Ceruti (che si è espressa tramite il profilo Facebook) e Sergio Beretta, interpellato direttamente, hanno espresso punti di vista affascinanti ma anche decisamente divergenti. Riproponiamo di seguito i rispetti interventi.

LORENZA CERUTI FAVOREVOLE
Approvo l’idea di avere finalmente impianti sportivi degni di questo nome a due passi da casa, anche se non mi posso esprimere sul progetto in sé – spiega – capisco chi parla di studi di pianificazione e di dislocare palestre e piscine in diversi punti della città portando come esempi grandi città del mondo, ma il mio ragionamento vuole essere terra terra: ci si può anche riempire il cervello con parole come ‘pianificazione’ ma il territorio italiano, così come è oggi, è un fatto. Ma soprattutto, a Como dove troviamo lo spazio per distribuire gli impianti in giro per la città?

A proposito del ‘quartiere dello sport’, vero che il vecchio concetto di zoning, cioè dividere la città in zone che assolvono specifiche funzioni, dovrebbe essere superato e soprattutto, se andava bene per le città industriale certo non va bene per la città ‘informatica’. Parole come inclusione, diffusione, contaminazionevanno per la maggiore, anche troppo ripetute, in tutti gli ambiti che si parli di città oppure di cibo. Sono quelle che nelle grandi teorie dovrebbero garantire la mixitè e di conseguenza la qualità urbana di una città. Anche io, comunque, non sono assolutamente in linea sulla città divisa in zone funzionali: ‘cittadella dell’istruzione’, ‘cittadella della cultura’, ‘quartiere degli uffici’, ‘cittadella dello sport’, quartiere popolare, quartiere residenziale eccetera, ma riferendomi alla proposta di quello che viene definito ‘quartiere dello sport’, e cioè una piscina olimpionica più due di minori dimensioni per allenamento e riabilitazione, un palazzetto dello sport per pallavolo, pallacanestro e ginnastica e un palazzetto del ghiaccio, più il campo Coni che già esiste, direi che sono d’accordo. Como non ha alcun impianto sportivo degno di chiamarsi tale. Sì, viene definito in modo antico ‘quartiere dello sport’ ma non lo reputo uno zoning, lo reputo semplicemente il fornire ad una città quello che non ha e che invece sarebbe fisiologico avesse. Ma quale città è cosi priva di impianti sportivi?

Facendo un esempio, definire la piscina Sinigaglia, che io amo, ‘impianto sportivo’ mi sembra esagerato. È una bella piscina, con un importante valore architettonico, che dobbiamo assolutamente tenere cara e da conto, ma non può assolvere al compito di impianto sportivo per tutta la città. E non mi vengono in mente altre strutture sportive in Como se non rabberciate e squallide palestrine. Collocare e concentrare questi nuovi impianti a Muggiò? Per me è ok. Non stiamo parlando di una metropoli che per attraversarla ci vogliono km e tempo e dove si rischia la ‘ghettizzazione’ delle funzioni, si sta parlando di Muggiò. So che nell’immaginario delle persone, sembra altro da Como, o addirittura periferia, visto che per raggiungerla ci sono quei cinque minuti di salita – un blocco psicologico più che fisico – ma Muggiò è Como e con i debiti collegamenti, accessibilità e interazioni può essere facilmente raggiungibile. Basta strutturine fatiscenti con spazi e spogliatoi squallidi senza docce o con i bagni senza porte. E basta migrare in altri comuni per trovare piscine e palestre degne. E se tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare, almeno si inizia a sognare.

SERGIO BERETTA CONTRARIO
Cosa definisce una città? In Italia la risposta che spesso viene data è la storia, la fondazione romana o medievale, il ruolo che questa ha avuto nel corso dei secoli. Volendo però avere una definizione più ampia si potrebbe argomentare che la città è quel luogo che riesce a fornire la più diversificata e numerosa quantità (e qualità) di servizi ai suoi abitanti in proporzione agli stessi. Tanto più è proporzionale e proporzionata la relazione tra diversità, numero di servizi e numero di abitanti, tanto più quella città sarà viva e vivibile.

Ben inteso, non è l’unico parametro, ma è di suo quello fondamentale: si provi a pensare quanto sarebbe viva e vivibile una “città” con solo residenze, ettari di verde, ma senza servizi (scuole, impianti sportivi, negozi etc). La ricchezza di servizi e funzioni è ciò che ha sempre reso la città così attrattiva in quanto terreno fertile per la ricerca di una qualità di vita migliore. Questa tendenza, oggi più che mai valida (si pensi alle megalopoli nel mondo), è stata affrontata nei secoli in maniera differente: fino al momento in cui le mura avevano un vero valore difensivo, la città si è sviluppata all’interno delle stesse aumentando la densità e la stratificazione di funzioni – la bellezza e la ricchezza dei centri storici – e impiegando letteralmente secoli per creare una nuova cinta muraria per “guadagnare” pochi metri quadri da sfruttare.

Nel momento in cui le mura iniziarono a perdere la loro valenza difensiva, complice una situazione igienica pessima, inizia a farsi strada l’idea che la densità porta malattie e che la nascente industria, con i suoi operai, più si allontanano, meglio è. Da lì, complice anche il successo della catena di montaggio, il colpo di genio: organizzo la città come una fabbrica, perché efficiente, e la organizzo in zone monofunzionali; l’automobile è lo strumento con cui gli abitanti si sposteranno da una zona all’altra. Il corollario è che l’espansione della città si ha per lo più in orizzontale e le distanze aumentano. Ci si mette circa cinquant’anni a capire che il modello è fallimentare: non solo non è efficiente, ma la vita fa schifo; l’aumento delle distanze fa sì che si riduca la cosa più preziosa che ognuno di noi ha: il tempo.

In 24 ore, un giorno, tolte 8 ore per dormire, 8 per lavorare, un paio per le incombenze domestiche, quello che è il TUO tempo, quello che sfrutti per praticare sport, incontrare gli amici, dedicarti ai tuoi hobby, si riduce a 6 ore; se di queste tre le passi per spostarti in città, la tua qualità di vita diminuisce drasticamente e lo si è capito in maniera traumatica durante i vari lockdown. Un altro concetto che si è affermato è quello di non espandere più le città con il famoso “Consumo di Suolo Zero”, ergo ricreare una sorta di “cinta muraria” invalicabile. Come sviluppare quindi la città? Stratificandola, sia in verticale (funzioni diverse su piani diversi), sia in orizzontale (dal fronte strada verso l’interno del lotto) e adottando l’isolato come modello (a differenza delle torri, a parità di metri quadri costruiti, garantisce una maggiore superficie al piano terra che, se utilizzato per servizi e funzioni pubbliche, garantisce una maggiore qualità di vita). A Como no. A Como ancora, negli anni, si sente che l’ex Ospedale S.Anna sarà “La Cittadella della Salute”, le ex Caserme “La Cittadella Amministrativa”, l’ex Ospedale Psichiatrico “La Cittadella delle Scuole”, l’ex Ticosa “La Cittadella del Parcheggio Solare” (la definizione è mia), l’ex Piscina Olimpionica “La Cittadella dello Sport”. 
Ci diremo sempre che Como è bella, ma viverci sarà sempre più difficile. Sono soddisfazioni!

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3 Commenti

  1. Cent co, cent crap, dusent ciap!!!
    Detto questo, nello specifico mi convince questa constatazione dell’Arch. Ceruti : “.. a Como dove troviamo lo spazio per distribuire gli impianti in giro per la città?”

  2. Lo Sport concentrato a Muggiò è una buona idea vista la mancanza di spazi alternativi in centro città. Se poi si farà la metropolitana leggera sfruttando la linea nord e collegando Camerata, Muggiò e Grandate con la zona lago, i cittadini ed i turisti ringrazieranno. Ci vorranno almeno 15 anni ma l’importante è iniziare!

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