Se a Como ci fosse un sindaco eletto già questa sera al primo turno, lo sarebbe dopo una partita che non ha visto partecipare al voto oltre il 55% dei comaschi (l’affluenza definitiva, ieri, è stata di poco superiore a un misero 44%, il che significa che quasi 40mila elettori su 72mila aventi diritto sono stati a casa). Se invece nessuno dei contendenti (in particolare viene da pensare al trio Barbara Minghetti, Giordano Molteni, Alessandro Rapinese) avesse già superato il 50% delle preferenze e si andasse dunque al ballottaggio del prossimo 26 giugno, la prospettiva potrebbe essere addirittura quella di un nuovo primo cittadino scelto veramente da poco più di qualche quartiere della città, per semplificare.
Sono ipotesi, naturalmente, ma se si considera che a Como, nel 2017, al primo turno votò il 49% degli aventi diritto e al ballottaggio quella percentuale si ridusse al 35% – tendenza peraltro del tutto logica, venendo meno gran parte della mobilitazione che si crea al primo round attorno a tutti i candidati consiglieri oltre che al più vasto numero di aspiranti alla fascia tricolore, poi ridotti solo a due – beh, allora la possibilità che la nuova guida della città possa rappresentare un numero di abitanti quasi risibile è concreta. Anche perché, oltre al potenziale calo dei partecipanti al voto, va considerato che in caso di ballottaggio quel gruzzolo minimo di schede elettorali (ipotizziamo un 30%) sarà comunque diviso per due. In sostanza, non si può oggi escludere che – sempre che il pomeriggio non consegni già un vincitore o una vincitrice – il prossimo sindaco possa effettivamente contare sul sostegno materiale di un pugno di persone, poco più della fazione di riferimento, con decine di migliaia di residenti esclusi, o ancora peggio, coscientemente autoesclusi dalla partecipazione alla scelta.
E questo, soprattutto, è il problema: ci sono intere fette del capoluogo che hanno volontariamente deciso di non diventare parte della principale scelta che riguarda una città, l’elezione del sindaco. Ovvero del politico che soprattutto in una città medio-piccola come Como dovrebbe essere qualcosa di più di un mero amministratore: dovrebbe essere sentito come colui o colei a cui affidare con qualche ragionevole speranza il miglioramento e il progresso del luogo in cui materialmente si vive, vedendo nel primo cittadino non un politico astratto e distante, ma il trait d’union dal volto umano tra il singolo e il lontano potere romano, l’autorità più credibile e toccabile con mano rispetto ai leader nazionali dei partiti oppure ai presidenti del Consiglio e ai loro ministri. E invece, così dicono i dati, tutto questo non c’è più.
Il disincanto, la delusione, la lontananza dell’elettore comasco ormai non separano sostanzialmente più – giusto o sbagliato che sia – il “politicone romano” (ci si passi l’espressione brutalmente semplificatoria per dare l’idea) e il “suo” sindaco, che poi non di rado può essere anche il vicino di casa o il volto familiare che si incontra tra municipio, piazze e campi sportivi.
Tutto questo non soltanto segnala con un allarme nero – anche a livello locale, soprattutto a livello locale – il fossato che si sta determinando tra il residente chiamato ad affidare per cinque anni la propria fiducia al suo massimo rappresentante e tutti coloro che ambiscono a raccogliere e farsi depositari credibili di questo inestimabile tesoro. Il fenomeno dice anche che, persino sul piano cittadino, sta evaporando la percezione che chiunque indossi la fascia tricolore possa realmente modificare – soprattutto in meglio – le condizioni di vita del singolo, della famiglia o della comunità in generale. Qualunque sarà l’esito di questo voto, una così scarsa affluenza evidenzia un momento drammatico per il rapporto tra il cittadino e i suoi delegati istituzionali, in una crisi di fiducia che a ogni tornata si manifesta più grave.
E dunque, archiviata l’inutile sarabanda di sfilate elettorali dei cosiddetti “big di partito” – momenti che oggi risultano ancora più marziani e persino dannosi di quanto non siano già apparsi nelle scorse settimane, quando leader lunari e mai visti sul suolo comasco sono venuti a snocciolare le solite e inutili frasi a cadenza quinquennale, prima di sparizioni lunghe un lustro – il prossimo sindaco di Como avrà un compito su tutti: tornare a farsi percepire come un comasco tra i comaschi, un cittadino che – pur con numeri comunque non lusinghieri – ce l’ha fatta ma ce l’ha fatta per migliorare la vita della sua comunità, standole vicino e offrendole sudore, lacrime e anche sangue se fosse necessario. Soltanto così, il mini-sindaco che oggi o tra 15 giorni questa tornata elettorale avrà “regalato” – o comunque offerto in saldo – a Como, potrà sperare di contribuire a invertire una tendenza che oggi non mette in dubbio soltanto il valore e il peso di un primo cittadino con un così scarso sostegno iniziale, ma scuote alle fondamenta il senso stesso del voto democratico e la sua capacità di rappresentanza di un popolo disilluso e smarrito.
13 Commenti
Questa è la democrazia: chi partecipa al voto elegge i responsabili delle istituzioni. Chi non partecipa ha solo deciso di far decidere gli altri. Non è che negli Stati Uniti o in Svizzera, per fare due esempi di democrazie, i partecipanti al voto siano molti di più. Ed il Sindaco eletto dovrà rappresentare tutti. Anche quei cittadini che non votano, perchè a Como lavorano ma non abitano, o perchè hanno la residenza ma non la cittadinanza (e sono quasi il 15% dei residenti). Magari queste due categorie di cittadini, se ne avessero avuto la possibilità, avrebbero votato.Poi, certo. ci sono problemi di “efficienza” dei partiti. Soprattutto per quelli leninisti (se non stalinisti), che hanno scelto un leader maximo che, si solito, si circonda di yesman. E vorrei dire che, per la città, valgono non solo le istituzioni, ma anche la società civile, fatta di uomini e donne che si impegnano, spesso gratuitamente, per gli altri.
Chi vuole che COMO RESTI una CITTÀ BANCARELLA E una CITTÀ’ DI CARTONE,
con i condomini straripanti di case vacanza,
non vorrà mai una Como del bell’artigianato,
popolata di aziende high-teach, di Centri di alta ricerca universitaria, di un offerta culturale poliedrica e di buon livello, una Città modello attrattiva per giovani e nuove famiglie, dove chi ci vive, in poche parole, viva anche meglio e il meglio.
Perché?
Perché è capace di adorare solo la trinità Poltrona/Potere/Affari, costi quello che costi, tanto da preferire al passaggio della mano,
il commissariamento della Città:
durerebbe un anno o due, e poi si potrebbe, chissà, ritornare in sella…
Tutto vero. Ma alla fine la colpa è di chi decide di non scegliere.
Beh, certo, grande fiducia in Rapineseh… aaaaaahhhhhhaaaaaa 😂😂😂😂😂 va al ballotto e se lo beveno 😂😂😂😂😂😂😂
Una volta tanto i comaschi (e gli italiani in genere) hanno fatto la scelta migliore. La politica istituzionale è in putrefazione: partiti e liste sono strumenti di corruzione, malgoverno e criminalità. A questo punto è necessario arrivare al punto successivo, e cioè che una maggioranza (quella dei comaschi e degli italiani che hanno rifiutato di votare) non possono per nessun motivo essere governati da una minoranza. E’ quindi tempo di introdurre strumenti ormai indispensabili per democratizzare i partiti come forme di democrazia partecipativa. E’ anche tempo che inizino manifestazioni di piazza che esprimano un fermo rifiuto a essere governati o amministrati da una, ormai sparuta, minoranza.
Condivido poco dell’articolo, se c’è disinteresse, qualunquismo o menefreghismo da parte dei cittadini, pronti solo a lamentarsi e pretendere senza spesso dare nulla, cittadini irrispettosi delle regole, siano esse del traffico ma anche di convivenza civile, la “colpa” é loro e solo loro, la politica locale nasce con buoni propositi di miglioramento di questa desolante realtà, ma ahimè poi si adegua (complice sicuramente anche l’ostruzionismo di dirigenti e dipendenti della macchina comunale)
L’amministrazione politica della città ha poche armi e frequentemente inefficaci
Concordo su tutta la linea.
Altro esempio di menefreghismo dei comaschi si ha con la differenziata, nei bidoni della carta trovi anche la plastica, in quelli del vetro bottiglie e barattoli nei sacchetti di carta o di plastica….
Anni a urlare slogan idioti come “sono tutti uguali” e “non cambierà mai nulla” producono questo.
Se tanti scelgono di non partecipare e preferiscono farsi il weekend fuori città, che dire? Son scelte personali, non se ne lamentino.
Tanto meglio per quelli che si interessano e vanno a votare: il loro singolo voto “conterà” di più.
Il tema è spinoso. Se il Sindaco sarà eletto al primo turno, sarà eletto da circa il 22/23% degli elettori. Se il Sindaco sarà eletto al secondo turno, considerando la riduzione fisiologica dei votanti da primo a secondo turno, rischia di essere eletto con il 15/18% degli elettori. E dire che solo i candidati, tolti quelli presi in prestito altrove, sono circa 400. Se si continua così voteranno solo loro. Molte ragioni. La principale è la perdita del patrimonio di cultura politica che avevano i partiti della prima Repubblica, i Sindacati, l’Associazionismo ecc.ecc. La seconda la disillusione che le scelte politiche possano incidere sulla vita di tutti i giorni: la gente si rende conto che esistono Gruppi finanziari mondiali che hanno giri d’affari superiori al Prodotto Interno di Stati, forse sarebbe meglio eleggere i banchieri e i manager. Infine, e il tema è triste, è il livello dei politici. Nella Kermesse dei candidati al Sociale l’unico che ho apprezzato per gli interventi, tutti appropriati e intelligenti, è stato Aleotti del quale però non condivido molti aspetti del programma. Deludenti Molteni, che dava l’impressione di essere stato indottrinato da altri, Bartolich, assolutamente prevedibile nei contenuti, Rapinese, a cui mancava solo il costume da Sceriffo per il prossimo Carnevale, e Minghetti, che si è sentita raccontare il proprio programma (l’ho letto per intero) dagli altri candidati. Alla fine, sembrava lì per caso. Adduci e Matrale, avrebbero potuto anche evitare di partecipare, Graziani ottimi interventi tecnici ma se avessimo chiamato l’attuale capo dei Vigili sarebbe stato uguale. Questi candidati, qualora eletti, avranno lo stesso ruolo che fu di Antonio Spallino e Sergio Simone. Insomma, la politica non suscita più interesse ma anche perché i politici non sanno più creare interesse.
Beh, cosa pensavate ? I comaschi hanno già capito-
mica tanto, se ancora il 44% è andata a votare.
Complimenti alla politica tutta…. questo è il bel risultati di decenni di indifferenza nei confronti dei cittadini e di incuria della città…. “tanto non cambia niente” è il commento più diffuso. Il fallimento totale.
Purtroppo invece l’offerta politica della città è conseguenza dell’indifferenza della cittadinanza verso la propria città. A Como chi ci vive non la vive, non ha interessi oppure non ha diritto di voto. Sintomatico che i “poteri forti” siano i commercianti, a Como.