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Punti di vista

Il vescovo: “Como malata di solitudine, numeri e non nomi nelle case. Per i giovani locali costosi e rumorosi che non aggregano”

Discorso alla città del vescovo di Como, cardinale Oscar Cantoni, ieri mercoledì 30 agosto. Nella Basilica di Sant’Abbondio si è infatti tenuta la celebrazione dei Primi Vespri. Pubblichiamo il testo integrale del discorso, ricchissimo di spunti e – a memoria – tra i più incisivi degli ultimi anni rispetto all’attualità cittadina (e non senza qualche punta polemica, in particolare verso quei media che secondo il vescovo hanno dedicato poca o nulla copertura alla Giornata Mondiale della Gioventù recentemente tenutasi a Lisbona).

Mai più soli! La profezia dell’amicizia per una Città più umana

Illustri Autorità civili e militari,
cristiani di Como e fedeli di altre Confessioni,
uomini e donne tutti di buona volontà, cari amici,

in questa occasione che, come ogni anno, ci vede radunati insieme per celebrare il Patrono di questa nostra Città, vorrei condividere alcuni pensieri che nascono dal cuore, quasi un appello che sento di dovervi rivolgere.

Per questa riflessione permettetemi di partire da una recente esperienza ecclesiale personale. Sono trascorsi già alcuni giorni, ma resta scolpita nella mia memoria l’immagine gioiosa e colorata dei tanti giovani che si sono incontrati a Lisbona per la Giornata Mondiale della Gioventù. Accompagnati dai loro preti ed educatori, circa quattrocento giovani della nostra diocesi, alcuni dei quali di questa Città, si sono uniti ad una grande folla di un milione e mezzo di giovani e ragazze da tutto il mondo. Un raduno che ci ha fatti incontrare insieme intorno al Papa per pregare, riflettere, fare festa, stringere amicizie, creare ponti e gemellaggi, costruire nuovi legami.

Non posso nascondervi, però, un rincrescimento: a parte qualche rara eccezione, la stampa e i media hanno quasi del tutto ignorato o sminuito questo evento. Mi chiedo però: quale altra esperienza riesce oggi a radunare un così grande numero di giovani da tutto il mondo? Mi dispiace questa disattenzione perché credo, invece, che guardando a questi giovani ne possiamo ricavare tutti un prezioso insegnamento.

Papa Francesco ne ha parlato così:
Mentre in molti luoghi del mondo si combatte e si pianifica la guerra, “la GMG ha mostrato a tutti che è possibile un altro mondo: un mondo di fratelli e sorelle, dove le bandiere di tutti i popoli sventolano insieme, una accanto all’altra, senza odio, senza paura, senza chiusure, senza armi! Il messaggio dei giovani è stato chiaro. Lo ascolteranno i “grandi della terra”? Mi domando: ascolteranno questo entusiasmo giovanile che vuole pace? È una parabola per il nostro tempo e ancora oggi Gesù dice: “Chi ha orecchie, ascolti! Chi ha occhi, guardi!”. Speriamo che tutto il mondo ascolti questa Giornata della Gioventù e guardi questa bellezza dei giovani andando avanti”.
(papa Francesco, Udienza generale 9 agosto 2023)

Ho partecipato a diverse Giornate della gioventù e ogni volta ne sono tornato arricchito. Si respira un’aria contagiosa di gioia e di amicizia, un desiderio di pace e di fraternità. Vi posso assicurare che non è l’inganno passeggero di un facile entusiasmo giovanile, piuttosto quello che lì si sperimenta è la verità di un Amore che raggiunge ogni persona e dall’intimo di ogni cuore si apre ad un orizzonte universale. Una fraternità e un’amicizia che abbraccia ogni popolo e cultura, attraversa i confini e le etnie e raggiunge tutti. I giovani ci dicono così che il sogno della pace non è un sogno impossibile!
Mi chiedo, allora, e mi interrogo: come raccogliere questo messaggio? Come costruire insieme una nuova umanità che abbia in sé gli antidoti contro i pericolosi virus dell’odio e della guerra, dell’indifferenza e della solitudine? Soprattutto: come provare ad attualizzare questo messaggio di amicizia anche nella nostra realtà? Come aiutarci insieme a costruire una città che sappia valorizzare e aumentare i legami, a fronte di una preoccupante e diffusa solitudine?

Il nostro tempo: malato di solitudine

Da questo orizzonte universale vorrei spostare lo sguardo più vicino, ai nostri territori e in particolare alla nostra Città di Como. Da qui, infatti, raccolgo un segnale preoccupante di crescente e diffusa solitudine, rispetto al quale occorre farci più attenti per cercare insieme di trovarne i rimedi. È una situazione che da qualche tempo mi interroga e che non può lasciarci indifferenti. Sorge in me dall’ascolto di tante situazioni personali e sociali, fatti e circostanze che io stesso posso constatare o che mi vengono spesso riferiti da più parti.

È probabilmente vero, come si dice, che una certa “riservatezza” sembra appartenere al carattere stesso dei comaschi: laboriosi, discreti, dediti soprattutto alla propria famiglia e ai tanti impegni lavorativi, professionali ed economici. Questi aspetti sono positivi, ma occorre vigilare perché non si trasformino mai in chiusura, diffidenza reciproca e sospetto.

Il rischio di rinchiudersi nella ricerca del proprio benessere individuale è sempre in agguato e questo minaccia il nostro vivere insieme come comunità. Vigiliamo e aiutiamoci affinché la solitudine e l’indifferenza non si diffondano, perché ne deriverebbe un male sociale che non è meno grave di altri virus che ci hanno minacciato in questi tempi. Ci ricorda papa Francesco nell’enciclica Fratelli tutti che “l’individualismo non ci rende più liberi, più uguali, più fratelli. La mera somma degli interessi individuali, infatti, non è in grado di generare un mondo migliore per tutta l’umanità. (…) L’individualismo radicale è il virus più difficile da sconfiggere. Inganna. Ci fa credere che tutto consiste nel dare briglia sciolta alle proprie ambizioni, come se accumulando ambizioni e sicurezze individuali potessimo costruire il bene comune” ,

La malattia della solitudine, dicono le indagini, si diffonde oggi sempre più, tanto addirittura da classificare questo tempo come il “secolo della solitudine” . È un male con un costo sociale, economico e soprattutto personale non lieve, che non dobbiamo sottovalutare. Diversi segnali giungono come un allarme anche dalle realtà educative, ma noi stessi possiamo constatare tutto questo in tante situazioni e circostanze ordinarie. “La tecnica ha superato tutte le distanze, ma non ha creato nessuna vicinanza. Ha costruito una sorte di falsa vicinanza, provocando crescente solitudine e angoscia”.

Penso a molti fatti di cronaca che raccontano di frequenti solitudini diffuse, situazioni che isolano ed escludono, stili di vita che ci sottraggono alle relazioni più ordinarie e ci chiudono sempre più nelle nostre case.

All’ingresso dei condomini si trova ormai raramente il nome di chi vi abita, sostituito spesse volte da un anonimo numero. La paura di essere disturbati o quella, più comprensibile, di essere derubati, rischia ormai di chiuderci sempre più nei nostri appartamenti. Sempre più sicuri forse, ma soprattutto che ci rende sempre più soli. Le relazioni di vicinato spariscono, non si conosce più chi ci vive accanto e si finisce a guardarsi con sospetto.

Penso alla triste circostanza, accaduta più volte negli ultimi tempi, di persone che muoiono nella più completa solitudine e della cui assenza ci si accorge solo dopo tanti giorni. È la testimonianza drammatica di una realtà non più così rara: persone sole, malati fisici e psichici, anziani che vivono (sarebbe meglio dire sopravvivono!) senza una rete di relazioni di compagnia e di sostegno. Come è possibile che nessuno li conosca e si faccia loro vicino?

Penso, più in generale, alla solitudine degli anziani e degli ammalati quando i parenti riducono al minimo le visite, raramente vengono chiamati per nome e così rischiano di essere classificati solo come un numero all’interno degli ospedali e delle case di riposo. Come favorire anche in queste realtà una cura sempre attenta alla persona e alle sue esigenze relazionali? Come esercitare una professionalità, che non dimentichi uno stile di prossimità e di attenzione personale?

Penso anche alla solitudine di alcuni giovani che, privi di reali amicizie, trascorrono soli le loro giornate, chiusi nelle proprie camere, fino a separarsi da ogni realtà sociale. È questo un allarme grave, lanciato sempre più frequentemente anche dalle scuole, di un diffuso isolamento e ritiro sociale. Come poterli aiutare? Come poterci fare loro vicini per stanarli e offrire loro occasioni ed esperienze di relazione e di amicizia? Come può la scuola con il suo irrinunciabile ruolo educativo sostenere questi giovani e le famiglie che vivono questo disagio?

Penso, ancora, a quali esperienze di aggregazione la nostra Città è capace di offrire ai nostri adolescenti e giovani? Sono vere esperienze di relazione e di amicizia o più spesso è un business che sfrutta la loro sete di vita e di gioia in locali costosi e rumorosi che non favoriscono l’incontro? La cronaca settimanale ci racconta, come in una rinnovata parabola del samaritano, di ambulanze costrette a raccogliere, a bordo strada e fuori da questi locali, adolescenti prede dell’alcool. Come possiamo impegnarci perché questo non accada? Invece di piangere dopo qualche tragedia, chiediamoci come poter promuovere occasioni di incontro nel divertimento e nella festa, ma in modo più bello e più sicuro.

Penso a quella solitudine che ci deriva dal nostro essere ormai sempre più assorbiti (per non dire risucchiati!) dagli schermi dei nostri smartphone. Se la tecnologia, da un lato, ci è preziosa perché favorisce occasioni di incontri anche tra lontani, quante volte rischia invece di allontanarci da chi ci è più accanto? Tutti più connessi, ma anche più soli. Dietro uno schermo si nasconde l’illusione di poter trovare l’affetto in relazioni solo virtuali e ci ritroviamo a dialogare facilmente con la voce di un’intelligenza artificiale, più che con le persone reali. Mi chiedo: come possiamo far sì che la tecnologia non sostituisca, ma aumenti e favorisca le nostre occasioni di incontro?

Penso alla fatica, raccontata da molti nuovi arrivati, nel creare amicizie. Persone che per motivi di lavoro o di studio si trasferiscono nella nostra Città da altri territori del nostro Paese o da altri Stati. Cercano nuove opportunità per creare amicizia, anche tra i membri delle nostre parrocchie, ma a volte si scontrano con diffidenze e semplici pregiudizi. È questa una solitudine subìta. Penso ai migranti e alla fatica che noi facciamo ad accoglierli e integrarli, riconoscendo le loro culture e le loro storie come un possibile arricchimento.

Penso a tante famiglie che si ritrovano sole nell’affrontare, magari con vergogna, un problema economico o le tensioni di un rapporto difficile nella coppia. Faticano nel chiedere aiuto e così nessuno conosce i drammi che si consumano nelle case e le sofferenze di cui sono vittime gli stessi coniugi e, soprattutto, i figli.

Penso, infine, a tutti coloro che si trovano ai margini della nostra società: i carcerati, i senza dimora. Come offrire loro, oltre all’inalienabile dignità dei diritti loro dovuti, anche quella prossimità che li faccia sentire accolti, coinvolti, chiamati per nome e inseriti in una comunità?

È un lungo elenco di esempi e situazioni, ma quanto vorrei che, insieme, trasformassimo questi pensieri e preoccupazioni in interrogativi e sfide che ci interpellino creativamente e attivamente.

Ecco perché il mio messaggio alla Città quest’anno vuole prendere la forma di un accorato appello all’amicizia! Un appello rivolto a tutti, senza esclusioni. Un appello che rivolgo anzitutto ai cristiani di questa Città, dei quali sono pastore, ma anche ad ogni altra persona di buona volontà, con la quale condividiamo il cammino della vita e l’abitare insieme in una medesima Comunità.

Una vita in solitudine è una vita a metà

È in questo contesto che risuona quanto mai attuale un monito che la Bibbia, fin dalle sue prime pagine, ci consegna con grande verità: non è bene che l’uomo sia solo! (Gn 2,18). Nel libro della Genesi queste sono tra le prime parole che Dio rivolge ad Adamo, all’uomo di ogni tempo e di ogni luogo. Non è bene che l’uomo sia solo. È un appello a fuggire dalla solitudine per accogliere l’invito alla relazione e a costruire insieme quella comunione che fa più bella e più ricca la vita, secondo il disegno di Dio. Ogni persona, infatti, è creata a immagine di Dio e porta impresso in sé, in modo indelebile, il carattere della Trinità che è relazione. Solo nella comunione la vita si realizza, da soli, invece, si vive a metà. Esistiamo in quanto esseri relazionali. Unicamente nella relazione il nostro cammino di vita si può compiere in pienezza perché “questo autoistituirsi (della persona) nell’altro e attraverso l’altro è proprio dell’Amore” e “Dio è Amore, perché Amore è la santa Trinità” 4.

Se la solitudine rattrista, impoverisce ed ammala, l’amicizia, invece, arricchisce e guarisce. Viene sempre dalla Tradizione biblica uno dei più famosi proverbi: “chi trova un amico trova un tesoro”. Questo detto, tratto dal libro del Siracide, continua così: “chi trova un amico trova un rifugio sicuro, per lui non c’è prezzo, non c’è misura per il suo valore perché un amico fedele è medicina che dà vita” (Sir 6,14-16).

Quanto sono vere e autentiche queste parole! Aiutiamoci a viverle. Cerchiamo il tesoro dell’amicizia, ma anche lasciamoci cercare! Fuggiamo dalle nostre solitudini perché tutti abbiamo fame e sete di relazioni autentiche, genuine e vere. Però, lasciamoci anche trovare, perché siamo noi, ciascuno di noi, quel tesoro e quella medicina che può arricchire e guarire la vita di chi è solo.

C’è certamente anche una solitudine buona, abitata dal Signore Gesù: è quella che ci fa rientrare in noi stessi, nello spazio prezioso della riflessione e della preghiera. È quel tempo irrinunciabile che ci fa abitare interiormente, nel silenzio e nel raccoglimento, senza farci influenzare da chi urla più forte, per ascoltare, invece, la voce della Verità che parla nell’intimo della coscienza. Questa è una solitudine buona, che non ci isola dagli altri, anzi ci fa ritornare alle relazioni con maggiore consapevolezza e ricchezza interiore. È il tempo e lo spazio personale per custodire e curare il tesoro che siamo.

Questo tesoro dell’amicizia non è poi così raro, occorre però diffonderlo e trafficarlo di più. La nostra Città di Como ha bisogno di più amicizia! Non manca, ma a volte resta nascosta e chiusa, mentre è bene che si sprigioni di più per coinvolgere e abbracciare tutti.
Ho elencato prima una lunga presentazione di situazioni di isolamento che preoccupano. Seppur tutte vere, non esauriscono tuttavia la descrizione di ciò che è la nostra Città, dove accanto a segnali di solitudine non mancano veri scrigni di solidarietà. Apriamoli, facciamoli conoscere, sosteniamoli, moltiplichiamoli!

Conosco tanto volontariato quotidiano e silenzioso che si attiva in situazioni di bisogno e a vantaggio di persone fragili. Conosco oratori ed esperienze valide per ragazzi e giovani. Conosco scuole dove dirigenti e professori si fanno attenti alle esigenze di ciascuno e soprattutto agli studenti più fragili e soli. Conosco tante realtà di sostegno caritativo e sociale, ecclesiali e non. Conosco case di cura e comunità per minori dove si esprime una premurosa presa in carico delle persone affidate. Conosco tante situazioni, spesso nascoste, ma preziose, di famiglie che si prendono cura dei figli di altre famiglie in difficoltà, che si rendono aperti all’impegnativa esperienza dell’adozione e dell’affido o all’accoglienza di stranieri e profughi. Conosco ex-docenti in pensione che si rendono accoglienti e disponibili per l’aiuto nei compiti di studenti in difficoltà, spesso di origini straniere. Anche questo, e soprattutto questo, è Como.

Anzi, oso affermare con forza: è questo il vero grande cuore di Como! Questa è la Como migliore!

“Amatevi gli uni gli altri con affetto fraterno” (Rm 12,10)

Concludo questo discorso rivolgendo un appello e un augurio a tutti, a partire da noi cittadini, perché possiamo accrescere e approfondire la trama delle nostre relazioni e amicizie. Una rete che si costruisce con gesti semplici e concreti, eppur preziosi: telefonare a quell’amico o a quel compagno che non si sente da tempo, invitare a cena quel vicino che è spesso solo, ospitare i figli la cui mamma si trova in ospedale.

Trasformiamo i nostri incontri da casuali e funzionali a veri incontri desiderati e a scelte di condivisione. Promuoviamo le relazioni di vicinato perché la sicurezza non nasce dal chiuderci nelle nostre case, ma dal creare una rete di legami di fiducia e di sostegno reciproco.

A chi ha responsabilità pubbliche e amministrative spetta il compito di favorire luoghi e tempi liberi che promuovano le relazioni, luoghi non dedicati solo al commercio, al traffico, alla fretta, ma alla gratuità delle relazioni, all’incontro tra le generazioni, ad occasioni di socialità e di cultura. Soprattutto avvertiamo oggi l’urgenza di una Città più solidale, in particolare con chi è escluso. I bisogni aumentano, è vero, e solo collaborando e unendo le forze vi si potrà rispondere. È importante sostenere e promuovere i servizi sociali. È questa, oggi, una vera priorità!

Infine, l’ultimo appello è rivolto ai cristiani che abitano questa Città, nelle diverse parrocchie, nei gruppi, nei movimenti e associazioni, perché con più convinzione e impegno possiamo testimoniare Cristo, l’Amico per eccellenza, e sprigionare la forza trasformante del suo Vangelo. Egli, che ci ha chiamato amici 5, ci invita a prenderci cura gli uni degli altri e a portare insieme le gioie e i pesi della vita 6. Il suo messaggio è la proposta di una vita e un’umanità rinnovata nell’amore che “rompe le catene che ci isolano e ci separano, gettando ponti” e “ci permette di costruire una grande famiglia, in cui tutti possiamo sentirci a casa” .

Per noi cristiani questo messaggio di amicizia è profondamente radicato nella fede che “colma di motivazioni inaudite il riconoscimento dell’altro, perché chi crede può arrivare a riconoscere che Dio ama ogni essere umano con un amore infinito e ciò gli conferisce una dignità infinita. A ciò si aggiunga che noi crediamo che Cristo ha versato il suo sangue per tutti e per ciascuno, e quindi nessuno resta fuori dal suo amore universale. E, infine, se andiamo alla fonte ultima, che è la vita intima di Dio, ci incontriamo con una comunità di tre Persone, origine e modello perfetto di ogni vita in comune” .

Il nostro patrono, sant’Abbondio, ci ha insegnato che la nostra fede si realizza attraverso la nostra umanità. Proprio l’umanità, l’incarnazione è il luogo dove la verità di Dio – cioè la sua Misericordia – si è pienamente rivelata. È quindi nel nostro vivere insieme come uomini e donne di questo tempo che possiamo lasciare spazio ad un Amore condiviso che si fa salvezza, perché è dono di Dio. Non più stranieri né ospiti, ma tutti concittadini 9, chiamati a condividere un unico spazio di vita e di impegno, dove sperimentare un’amicizia reciproca e un’umanità più grande.

Sia il Signore a farci crescere in questo amore vicendevole e verso tutti!

Oscar card. Cantoni – Vescovo di Como

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4 Commenti

  1. Bene, non resterebbe ora che dare un bell’ esempio.

    Il Vescovo inviti a pranzo un ex-carcerato, un senza fissa dimora, un rifugiato, un insegnante da poco trasferitosi per lavorare a Como, uno studente fuorisede del primo anno, un anziano di una RSA, un giovane appena uscito dall’hikikomori, un altro salvato per i capelli dal coma etilico, una famiglia che abbia richiesto di recente la residenza, e qualunque altra categoria ritenga in coscienza meritevole di visibilità e di prossimità.
    Non solo pranzino insieme al Vescovo, ma sia permesso a ciascuna persona, e realtà sociale…, di rilasciare anche una pubblica testimonianza agli altri cittadini.
    Riassumendo, ci si fa prossimi, li si rende visibili e gli si dà anche voce. Magari può servire.

  2. Del resto cosa ci si aspetta se si continuano a chiudere tutti i centri che fanno aggregazione e presidio di prevenzione per le persone fragili (vedi Via del Dos-micropiscine e palestre) senza dare alcuna VERA alternativa e senza avere alcuna progettualità in merito, in particolare per tenere aggregato il tessuto sociale (benessere e prevenzione bio-piscofisica)!
    Il risultato ovviamente è davanti agli occhi di tutti, ma forse per i cittadini del centro città, va bene così.

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