Perché? Forse che la fontana di Camerlata non è una ricostruzione postuma dopo la demolizione dell’originale nel ’37?
Dobbiamo forse soltanto restaturare le quadrerie ottocentesche, le sculture romane? Il ‘900 e i suoi capolavori – benché, certo, inzuppati nell’ideologia sanguinaria delle dittature che li fecero germogliare, ma la storia si studia per capire – meritano solamente oblio, distruzione, memorie perdute e microfoto ingiallite? Anche quando si parla di arte di levatura eccezionale?
Questo è per rispondere subito all’obiezione ancora da venire ma certa. Questa: “Ma che senso avrebbe riprodurre quasi un secolo dopo certe opere per esporle non originali, a maggior ragione se legate al Ventennio mussoliniano?”.
Ritenendo già chiusa questa domanda/accusa – non siamo tutti noi, alla fine, fake, imitazioni e riproduzioni figlie di altri, potendo però con qualche ragione reclmare un’originalità di base? – andiamo oltre. Andiamo cioè alla conclusione che deve necessariamente trarre chiunque vada a vedere quella piccola-grande meraviglia (come sempre ben nascosta alla Pinacoteca Civica di Como) che sta sotto il titolo di “Mario Radice: il pittore e gli architetti. La collaborazione con Cesare Cattaneo, Giuseppe Terragni, Ico Parisi” a cura di Roberta Lietti e Paolo Brambilla.
Accudita con amore e una gentilezza mai vista dalle due custodi, la mostra è semplicemente un’emozione. Fortissima. Ovviamente, frustrata da un luogo tanto bello in sé quanto inadatto e surreale nel senso deteriore del termine, con il suo silenzioso isolamente sepolcrale.
Lo si venda, Palazzo Volpi: se ne farebbero i soldi necessari (anzi, molti di più) per realizzare ciò che deve necessariamente pensare chiunque visiti l’esposizione in corso (e anche le sale del ‘900, ma ci arriviamo dopo).
In breve, le tre sezioni del percorso mostrano il lavoro di quel genio che è stato Mario Radice (Como, 1898-1987) in collaborazione con gli amici architetti comaschi, tra cui appunto Giuseppe Terragni, Cesae Cattaneo e Ico Parisi.
C’è di tutto, pur nella brevità dell’allestimento: il plastico della Fontana di Camerlata, i disegni preparatori, i quadri astratti, le foto e le lettere del tempo ma soprattutto il clima di un’epoca in cui Como – pur nell’oppressione della dittatura fascista – ispirava l’arte in ogni sua declinazione: architettura, pittura, riflessione teorica.
E poi ci sono loro: le decorazioni che Radice realizzò per l’allora Casa del Fascio di Como, riprodotte in un modellino di grande suggestione.
Pur in piccolo, i lavori realizzati per la Sala del Direttorio al primo piano (un pannello è stato già ricostruito nella Casa del Fascio nei primi anni 2000, ma chi lo vede?) e gli affreschi nel Salone delle Adunate al piano terra (spariti), sono qualcosa che la politica e la Storia hanno condannato ma che l’Arte non può, non deve unicamente confinare al pur mirabile bricolage, al ricordo, alle foto sbiadite di un secolo fa, alle memorie dannate dopo la comprensibile furia inconoclasta che le spazzò via a fine guerra.
Non è pensabile che un tale sintesi artistica di un’epoca pur così tragica possa non trovare più gli sguardi di oggi.
Certo, c’è molto, moltissimo Duce in mezzo a quei capolavori: teste, mezzibusti, motti fascistissimi.
Andrebbe tutto contestualizzato, spiegato, illustrato. Ma quei tesori perduti firmati da Mario Radice – tutti: quello già ricreati e malconci, quelli svaniti – vanno ritrovati, riportati alla vita. Riprodotti, oggi.
E soprattutto – scandalo! – riportati dov’erano, com’erano. Alla Casa del Fascio di Como. Che oltre ad aver conservato il suo corpo, ritroverebbe finalmente anche il suo spirito, benché “maledetto”.
In piazza del Popolo non nascerebbe un museo qualunque: rinascerebbe un pezzo di storia (ma vivente) di Como, d’Italia e del mondo.
E negli uffici oggi utilizzati e salvati meritoriamente dalla Guardia di Finanza? Il resto del ‘900 che langue sempre alla Pinacoteca. Tutto il resto trasferito in sede permanente a Villa Olmo. Palazzo Volpi sul mercato.
Non c’è altra soluzione, non ci sarebbe maggiore bellezza.
redazionecomozero@gmail.com
Un commento
L’ atteggiamento ambiguo e interessato di Anton Weberns , Le Corbusier e Hans Asperger verso il nazionalsocialismo è noto;
il povero e ingenuo Terragni, quando ha capito che lo avevano fregato, è finito com’è finito;
la Casa del Fascio è nata come centro direzionale e la GdF ci sta benissimo.
Non aggiungerei altre zone fuffa con roba non originale.