Inverno, piena epidemia di influenza stagionale con solita ripresa di infezioni da Covid e anche virus respiratorio sinciziale. Incontro una collega medico di medicina generale con studio in centro a Como, mi fa vedere il proprio telefonino: 47 messaggi su Whatsapp, in coda a un fine settimana di malanni e malesseri, dei propri assistiti. “Quanto ci metterai a rispondere a tutti?”, chiedo. “Tutta la giornata, se va bene”, è la risposta. Ci sta, e poi molti di questi che hanno mandato il messaggio dovranno essere visitati, alcuni di loro anche al domicilio. Insomma, un arretrato pesante, un macigno all’inizio della settimana, perché poi si sviluppa con i problemi della quotidianità: visite, richieste, consulti, ambulatorio, amministrazione, aggiornamenti di norme, lettere della Regione, dell’ATS, dell’Ordine dei medici, del Ministero. Questo è solo l’assaggio del lavoro di un medico di base. E forse neanche completo.
Ci sentiamo di scriverne perché anche nella città voltiana il problema della medicina del territorio è una delle tre maggiori croci che la Sanità offre al cittadino, insieme alle famigerate liste d’attesa e gli accessi ai Pronto Soccorso. Ci sono pochi dottori, e sono ancor più introvabili i colleghi che decidono di dedicarsi alla medicina di base. Motivi? Non economici. Oddio, ci sono altri settori che offrono guadagni più generosi, ma raramente i giovani oggigiorno si fanno guidare dal “driver” monetario. Mancano altre soddisfazioni, fa difetto il riconoscimento sociale, l’autorevolezza del ruolo, e infine si è liquefatta la riconoscenza di chi ci si è presi cura. Tutta colpa dei medici, che hanno nel tempo dilapidato questi inestimabili tesori? Vediamo.
Attualmente un medico di famiglia ha in carico tra 1500 e 2000 assistiti. Non tutti stanno male, soprattutto contemporaneamente, ma l’età media della popolazione della provincia lariana è tra le più alte in Italia e la comorbidità, cioè la presenza in una sola persona di più patologie, è notevole. Comorbidità fa rima con fragilità, e basta un virus invernale, un’epidemia anche in età scolare che rapidamente si diffonde alla categoria dei nonni, vero asse portante della società italiana attuale, deficitaria in servizi per l’infanzia, e gli ambulatori si intasano. Metteteci poi le cadute e quindi i traumi, considerate poi che le malattie croniche (diabete, ipertensione, cardiopatie, dismetabolismi, tumori e compagnia brutta) non tendono a guarire negli anni ma a peggiorare, e vedete che per il medico di base il lavoro non manca.
Bene, dalle università escono giovani, preparati e forti, avanti quindi il primo paziente. Forse non tutti sanno che la visita medica si è andata a caricare negli ultimi tempi di una seria di aggravi burocratici che tolgono letteralmente il fiato (al medico, beninteso). E così il tempo passato con il paziente, anzi “sul paziente”, per visitarlo, è in seguito gravato di altri interminabili passaggi tipo: il referto (sacrosanto, c’era anche prima), il certificato medico, l’attestato di visita eseguita per il lavoro, il piano terapeutico, le impegnative per esami di approfondimento, quelle per le visite specialistiche, quelle per i farmaci, magari poi certificati di vario genere come per l’invalidità, per la richiesta di ausili e tanta altra roba. Totale tempo (intanto che il malato è lì a bagnomaria)? Venti-trenta minuti?
Ah dimenticavo: metteteci pure la lettura di esami radiologici che una volta consisteva nel guardare le lastre in controluce e adesso prevede l’inserimento di dischetti o pen drive USB, che prima di aprire le immagini prevedono intervalli per apertura di istruzioni nonché autorizzazioni. Tempo effettivo passato con il malato, anzi “sul malato” per visitarlo e “con” il malato per spiegare e condividere le decisioni prese? Quanto invece passato sulla “fuffa”, anche detta scartoffie? Tutto questo poi se il sistema operativo del personal computer funziona, se il sistemone di Regione Lombardia (il mitologico e leggendario SISS: sistema informativo socio sanitario, è infatti tutto centralizzato) non si è imbolsito. E sicuramente non è tutto.
E vi chiedete perché un giovane seguace di Ippocrate non ha alcuna voglia di fare il medico di medicina generale? Voi l’avreste? Per farla breve, cari amministratori e politici, quando vi chiedete da che parte cominciare a mettere le mani per aggiustare la sgangherata Sanità lombarda, alla voce medici di base squadernate il termine: sburocratizzare. Togliete le cartacce e i vincoli amministrativi ai medici, passateli ai vostri burocrati delle ATS, ASST e bislacchi acronimi inventati per cambiare tutto senza che niente sia mai cambiato. Liberate i medici dalle catene certificative e lasciateli visitare e parlare con i malati, vedrete che i corsi di medicina, anche del territorio, torneranno a riempirsi di giovani.
Un commento
Problemi sicuramente reali e riscontrabili da chiunque , comuni pero’ a qualsiasi altro professionista. Noto però che una grossa differenza esistente tra un medico di base e un medico operante nel privato ,un commercialista, un avvocato ecc ecc,ovvero quanto si investe in tecnologia, personale e formazione. Se un medico di base ,magari vicino alla pensione ,pensa di poter gestire 2000 pazienti con whatsapp e un computer di quindici anni fa, che magari a mala pena sa usare , mi chiedo perché un suo omologo abbia una segretaria , magari un tirocinante e soprattutto un ufficio con tecnologia recente e funzionante. Con burocrazia e ” sistemoni” (termine che letto nel 2024 e’ agghiacciante ) ci confrontiamo tutti , la differenza è che ci opera nel privato deve rispondere alla logica dell’efficienza e della concorrenza, pena perdere clienti e soldi , chi opera nel pubblico e’invece piu portato a spostare l’attenzione su amministrazioni e sovrastrutture . Per il resto uno si indirizza dove vede convenienza, ma rimango fiducioso sui giovani e sul fatto che non rimarremo senza medici di base , ammesso che tale figura abbia ancora senso di esistere da qui a qualche anno