Sul tema dello stadio pubblichiamo l’intervento dell’architetto comasco Paolo Brambilla come apparso sull’edizione cartacea di ComoZero del 4 luglio scorso.
C’è un momento, in ogni città, in cui l’occasione di costruire o trasformare uno spazio pubblico si rivela decisiva non solo per ridefinire l’architettura, ma anche per fare una scelta sul tipo di comunità che vogliamo essere. A Como quel momento è ora, tra il futuro della Ticosa al palo e il progetto del nuovo stadio quasi pronto a partire, se si troverà l’equilibrio tra i desiderata della proprietà del Calcio Como, con l’obiettivo di massimizzare l’investimento, e i vincoli dettati dalla Soprintendenza che chiede rispetto per un bene storico, paesaggistico e urbanistico.
Ed è tra questi due poli che si colloca (o dovrebbe auspicabilmente collocarsi) il Comune di Como che non solo è il proprietario dell’impianto, ma è anche colui che deve aver ben chiara in mente la città che vuole creare e stabilire, di conseguenza, quello che si può e non si può fare in una delle sue zone più belle e fragili.
“L’architetto chiamato a ideare uno ‘Stadium’ completo, atto ad ogni esigenza sportiva, si trovò di fronte ad un compito altrettanto interessante che arduo. Egli doveva costruire lo stadium non alla periferia fra le ciminiere degli opifici, ma nel punto più bello di una città in riva al lago, in un anfiteatro di monti verdeggianti, ridenti ville e giardini – scriveva l’architetto Giovanni Greppi nel 1927 descrivendo, in occasione dell’inaugurazione, il Sinigaglia da lui progettato – occorreva che l’insieme delle nuove costruzioni non deturpasse questa armonia, questo fu uno dei concetti informatori di chi ideò lo stadio di Como. Un altro, quello di non togliere agli spettatori delle gare polisportive lo spettacolo meraviglioso dei monti, del lago azzurro, quello scenario incomparabile che i greci sapevano dare ai loro teatri all’aperto”.
Una struttura aperta a più attività sportive – basti ricordare, oltre alla piscina, la presenza del velodromo e di una pista di atletica intorno al campo da gioco – ma soprattutto in dialogo con l’ambiente circostante. Un’idea ripresa, sulle pagine di questo giornale, anche dall’architetto Davide Mantero che in un’intervista ha lanciato l’idea “romantica” di uno stadio multifunzionale aperto alla città spostando il campo da gioco “ufficiale” fuori città.
Ne abbiamo parlato con un altro architetto comasco, Paolo Brambilla, voce sempre presente quando si parla di tutelare i gioielli architettonici cittadini, che ha studiato proprio lo stadio nella sua tesi di laurea. Con lui abbiamo provato a guardare oltre il dibattito di oggi per chiederci: quale città vogliamo costruire domani?
Architetto, partiamo da quanto scriveva Greppi nel 1927. Cosa rappresenta per lei questa frase?
Greppi aveva capito che costruire un impianto sportivo in quel contesto richiedeva rispetto e misura. Il Sinigaglia nasce ispirandosi ai teatri all’aperto greci, inseriti in punta di piedi all’interno di un contesto fragile, tra città, parco e lago. Quando nel 1992, con i colleghi Luca Balestrieri e Riccardo Ferretti, facemmo la tesi proprio sull’area dei giardini a lago e dello stadio, partimmo proprio da un disegno inedito del Greppi e da quello spirito: “desaturare” un’area troppo carica di sovrascritture, dove poco alla volta è sparito il segno chiaro e lineare del primo impianto, soffocato dalle modifiche rese necessarie dalla sempre maggior specializzazione dell’area.
Un punto di vista molto simile a quello espresso dall’architetto Mantero.
Penso che la città sia prima di tutto dei cittadini che devono, come prima cosa, viverci bene e condivido appieno il pensiero di Mantero. Per quanto il progetto presentato dallo studio Populous possa essere giudicato bello o brutto, non riesco a capire come si possa continuare a sostenere che tutte le funzioni proposte possano stare lì senza peggiorare la qualità della vita. Uno stadio comunque piccolo per le ambizioni della squadra, un albergo di lusso, spazi commerciali, niente parcheggi. Il tutto inserito nella “cittadella razionalista” come un elefante in una cristalleria. La città di Como, inoltre, è la vera Capitale del Razionalismo ma, invece di dar spazio ai monumenti che abbiamo, rischiamo di soffocarli con una struttura fuori scala. Non riesco a vedere il vantaggio per i cittadini.
Eppure, molti pensano: “Se lo pagano loro, perché opporsi?”. Cosa risponde a questa logica?
Per tornare a una dimensione umana bisogna avere il coraggio di dire no a tutto quello che non serve. Il pensiero comune del “Visto che pagano loro, perché no?” è un punto di vista miope, che non tiene conto delle reali necessità dei cittadini.
Quali sono, secondo lei, queste necessità? E come potrebbe rispondervi il progetto del nuovo stadio?
Nel nostro progetto, pur con tutti i limiti dati dal fatto di essere la tesi di tre studenti di Architettura, il recupero del vecchio stadio avveniva riportandolo a una misura più cittadina. Tolta la funzione ‘specialistica’ del calcio, tornava ad essere ad uso di tutti. Tra le altre cose, infatti, prevedevamo di ripristinare l’anello intorno al campo da gioco abbassandolo davanti alle tribune per rendere visivamente e funzionalmente permeabile l’interno e l’esterno. Lo stadio in questo modo sarebbe tornato a essere uno spazio per il calcio, certo, ma anche per l’atletica, per il ciclismo e il motociclismo (il Sinigaglia, infatti, fino all’abbattimento della pista non solo ospitava l’arrivo del Giro di Lombardia, ma anche gare di motociclismo Ndr) oltre a eventi culturali e concerti.
Al Como 1907, però, serve uno stadio moderno e capiente. Qual è secondo lei l’alternativa?
Sposo l’idea di Mantero di costruire uno stadio decentrato e la zona migliore, a mio parere, è l’area Ticosa che è a cinque minuti a piedi dal centro e poco più dal lago. Qui lo stadio potrebbe essere inserito in un grande parco pubblico, con tutti i parcheggi necessari, grande quanto serve e, non ultimo, non creerebbe interferenze alla viabilità con la chiusura della fascia a lago durante le manifestazioni.
Ma gli Hartono, per ovvie ragioni, vorrebbero lo stadio – e tutto ciò che questo prevede – sul lago. E se mollassero?
Se la nuova proprietà è interessata al futuro del Calcio Como, allora la proposta Ticosa è la migliore da tutti i punti di vista, ma purtroppo visto che l’interesse è principalmente economico, allora l’appetibilità del lotto a lago vincerà sul buonsenso.
E il Comune che ruolo dovrebbe avere secondo lei in questa partita?
Potrebbe farsi carico del recupero del Sinigaglia, ad esempio. Non stiamo parlando di milioni e milioni di euro. Riempirsi di miliardari che ci usano come la loro sala giochi non è la soluzione per Como e anzi, dovremmo liberarci della logica di volersi riempire di volumi su volumi in favore di scelte più coraggiose. Quanto sarebbe più bella quella zona se potesse avere più aria, più spazio, più luoghi per tutti e non solo per pochi? Per farlo però occorre condividere progetti e idee, mettendo tutto sul tavolo e valutando insieme. Quell’area comunque, sicuramente, serve più ai comaschi che agli Hartono.