Quelli con i capelli bianchi se lo ricordano bene. 21 anni fa, il 3 febbraio 2003, Como veniva scossa dall’arresto di un primario chirurgo in corsia del proprio ospedale. A proposito: era necessario eseguire il fermo in nosocomio? Non si poteva bloccare il medico a casa propria la mattina quando è uscito o semplicemente telefonargli per convocarlo in Procura? Ma sì, c’era un diffuso godimento nel vedere il barone in ginocchio, nel gridare Malasanità, nello sbeffeggiare il luminare finito nella polvere. Scattavano scenograficamente le manette per il Professor Rumi, accusato di omicidio colposo (può esistere accusa più grave per chi ha scelto nella vita di curare il prossimo?) e contraffazione di cartelle cliniche.
Le imputazioni erano di accanimento chirurgico, asportazione ingiustificata di organi, errori operatori con esito fatale. Dopo la sentenza di primo grado di colpevolezza emessa nel 2006, 3 anni e mezzo dopo, nel 2010, il procedimento è stato archiviato per avvenuta prescrizione. Non si parla di definitiva assoluzione, ma va detto che se il reato è andato oltre i limiti della punibilità e se dagli atti non emerge prova di reità, la non colpevolezza va riconosciuta. Quindi non colpevolezza. Nel 2008 il chirurgo era tornato al lavoro presso la propria azienda ospedaliera, tuttavia con tutt’altri compiti. Carriera finita anticipatamente, sputtanamento sociale, danni economici, umiliazione, mortificazione. In altre parole: tritacarne giudiziario. Risultano attualmente in Italia 300.000 cause pendenti contro medici e strutture sanitarie e le richieste per danno biologico (ogni tipo di lesione, invalidità o decesso di una persona) sono circa 35.000 ogni anno. La maggior parte dei casi denunciati riguarda l’attività chirurgica (38.4%), seguita dagli errori diagnostici (20,7%), terapeutici (10,8%) e dalle infezioni (8,7%). Caspita, direte, che disastro, che Malasanità! Dagli al medico, dagli all’ospedale. Anzi, diciamola tutta, all’ipocrita grido “lo faccio perché non capiti a nessun altro”, apriamo il portafoglio e assaltiamo le strutture sanitarie come fossero bancomat, di questi tempi, poi, ci sta. Forse però non tutti sanno che su 357 procedimenti penali arrivati a termine contro sanitari solo 2 si sono risolti con una condanna. Di contro, ne è stato archiviato il 98,8% con accuse di lesione colposa e il 99,1% per omicidio colposo. Ciononostante, le denunce contro i medici e i sanitari si sono triplicate negli ultimi anni arrivando oltre quota 30.000 appunto (fonte: Ania e indagine “Punti nascita” Commissione parlamentare sugli errori sanitari www.sanità24.ilsole24ore.com).
Da anni, soprattutto durante la pandemia da Covid, si parla di depenalizzare l’atto medico, che non vuol dire impunità. Vuol dire che il discepolo di Ippocrate nel tritacarne giudiziario è un cattivo medico, e questo non è un problema solo per sé stesso, ma per tutta la comunità. Non solo per la qualità del singolo risultato di ogni caso clinico trattato, ma anche per tutta la filiera organizzativa. Sì, se in Pronto Soccorso talora si aspettano ore e ore per essere presi in carico è anche per un problema di medicina difensiva. Che altro non è che esami prescritti in maniera generosa non per necessità, ma per proteggersi. E chi manda più a casa un mal di testa senza una bella TAC? Chi non prescrive come minimo un’ecografia addominale per un mal di pancia, anche se la visita è normale e magari il paziente ha mangiato un cinghiale per capodanno e non si scarica da dieci giorni? Lo stesso per le liste d’attesa ambulatoriali: mesi e anni per eseguire una prestazione perché c’è un eccesso di prescrizione, a volte solo per “pararsi il di dietro”. Dobbiamo andare oltre la legge Gelli-Bianco del 2017, che scoraggia l’azione civile contro il singolo operatore del Servizio Sanitario Nazionale e fa sì che il presunto danneggiato abbia interesse a chiamare in causa la struttura sanitaria. Perché resta comunque la responsabilità penale del medico, applicabile però se lo stesso non ha rispettato le raccomandazioni, le linee guida o le buone pratiche clinico-assistenziali, sempre che queste risultino adeguate alla specifica del caso in essere, che è sempre, come si dice “un caso a parte”. Pensate poi al disastro Covid, quando nel 2020 non esistevano linee guida, se non genericamente per le polmoniti interstiziali. Un dottore libero da impicci giudiziari conviene a tutti, è ora quindi di riformare il settore per tornare a un rapporto di fiducia. Troppo spesso si cerca l’avversario nel medico o nel paziente (e i parenti serpenti) e si perde di vista che l’unico vero nemico è la malattia contro la quale serve invece una robusta alleanza di tutti gli attori in campo.
Un commento
L’esempio del dott. Rumi (archiviazione per raggiunto limite della prescrizione) dimostra soltanto che la prescrizione interviene troppo presto (o magari che l’amministrazione della Giustizia funziona peggio di quella sanitaria). A voler rendere un buon servizio, il dato interessante sarebbe stato: totale delle cause intentate, e di queste, totale delle RICHIESTE di archiviazione fatte dalla Procura, totale dei “non luogo a procedere” (emanati dal GUP), totale delle ASSOLUZIONI NEL MERITO, e infine totale delle assoluzioni per intervenuta prescrizione. Altrimenti quel 99 e spiccioli è un calderone in cui si butta dentro di tutto, dalle cause temerarie fatte perché si dà retta all’avvocato cialtrone (che non dubito siano molte) alle (temo tante) dimostrazioni di lentezza della ns giustizia.