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Senza leader ma con la forza di un ideale: la Marcia per la pace, lezione a Forza Italia e Pd

Mille persone. In un gelido pomeriggio di gennaio. Per un valore certamente preziosissimo e universale ma – nello stesso tempo – inafferrabile, ideale, non tangibile o immortalabile per un selfie. E’ una grande lezione quella che viene dalla Marcia della pace che ha attraversato Como ieri pomeriggio. Ed è una lezione che dovrebbe essere profondamente studiata soprattutto da due partiti in crisi, benché uno (il Pd) comunque capace ancora di difendere una onorevole trincea di voti e l’altro (Forza Italia) più prossimo all’evaporazione definitiva e finale.

Per capire quale sia la lezione che, a Como come a Roma, dovrebbero imparare gli pseduo leader delle due sigle, meglio partire paradossalmente dal recente passato degli stessi due partiti. Da una domanda, per la precisione: quando Pd e Forza Italia hanno vissuto le loro epoche di maggior successo?

Nelle fasi storiche in cui un leader creduto e/o credibile, foss’anche soltanto per la capacità di entrare in empatia con il potenziale popolo di riferimento, ha saputo anche esprimere una sorta di tensione ideale, indicare un orizzonte (rivelatosi poi più o meno realistico, naturalmente) a chi ne sposava la visione. In estrema sintesi, si potrebbero far coincidere quelle fasi per i democratici con l’epoca di fondazione con Veltroni, il biennio Prodi e la breve stagione renziana; per i forzisti con le lunghe parentesi di fulgore berlusconiano.

Sono stati quelli, pur con basi, prospettive, caratteristiche e parole d’ordine anche diametralmente opposte, i momenti in cui i due partiti (coalizzati con altri o meno, ma sempre con valore trainante) sono riusciti a imporre nel dibattito nazionale e locale la propria presenza: con un mix (a sfumature diversissime) di leaderismo e propulsione ideale (la Roma e l’Italia progressiste, inclusive, colte e democratiche di Veltroni; la fugace ma dirompente fase di rottura con uomini, simboli e idee del passato, con l’anelito a rigenerare un’intera storia politica, da parte di Matteo Renzi; il Paese vincente, benestante, spensierato e turboliberista fatto balenare a più riprese dal Cavaliere).

Personalità forti e tensione ideale, dunque, in percentuali diverse. E d’altronde: che cosa c’è di così diverso, oggi, con i dominatori della scena politica, ovvero Matteo Salvini e il Movimento Cinque Stelle (non Luigi di Maio)? Poco, pochissimo.

Nel primo caso è largamente preponderante il leaderismo del capo assoluto abbinato a una straordinaria macchina propagandistica che, però, a differenza di Berlusconi e Renzi, ad esempio, non impone un proprio orizzonte ideale (questione migranti a parte) ma punta a trarlo direttamente dagli umori del popolo. La Lega di oggi agisce al contrario rispetto al solito, in qualche modo. Ovvero, non genera una sua visione ma tenta di far propri, di assorbire come una spugna tutti i micro-orizzonti di ogni singolo elettore /sostenitore per determinarne un’identificazione postuma e far ritrovare alle esigenze più disparate, in un contenitore unico, le risposte a ogni singolo bisogno (Salvini poliziotto tra i poliziotti, agricoltore tra gli agricoltori, tifoso tra i tifosi, calabrese in Calabria e laghée a Como, con o senza Vangelo, e così via, senza alcuna preoccupazione di “creare” un popolo strettamente identitario, ma rispondendo a quante più singole istanze possibili).

Simile per i risultati, ma non per mezzi impiegati, è anche, nel suo insieme, il Movimento Cinque Stelle. Ma qui l’orizzonte ideale, per quanto vacuo lo si possa definire, è preponderante rispetto all’efficacia del singolo leader. Senza alcuna linea politica davvero predefinita se non per qualche maxicategoria di base o qualche singolo provvedimento-bandiera, quello che conta è il Movimento in sé. E’ vero, siamo di fronte a un assieme di tutto e di più: scienza e controscienza, ambiente-Ilva-No Tav, streaming e no streaming, no euro ed europeisti, inni alla trasparenza e Rousseau, libertà economica e reddito di cittadinanza. Va da sé, ad esempio, che i temi etici siano una sorta di mistero per chi indaga il pianeta Cinque Stelle.

Ma nel frattempo a intere fette di popolazione i pentastellati (come insieme, praticamente mai con la voce di uno solo) hanno offerto idee o suggestioni, parole d’ordine o inziative mobilitanti che hanno fuso assieme categorie di elettori, sociali e politiche forse un tempo agli antipodi. O persino non esistenti.

La grande differenza con la Lega è, come accennato, la forza dei leader: Salvini ha assorbito e poi forgiato il suo nuovo popolo, in realtà semplicemete riflettendolo; Di Maio sembra il prodotto temporaneo di una fase, sostituibile senza drammi alla prossima occasione. La sensazione è che l’insieme del messaggio eternamente mobilitante (vero e falso che sia) del Movimento, proprio per la sua assoluta eterogeneità e per la sua forte capacità di unificare “contro”, sia molto più forte del singolo portavoce, fossero anche Di Battista o lo stesso Beppe Grillo, ormai. Ma – e questo è l’aspetto cruciale – esattamente come nella Lega, sebbene con mezzi diversi, i Cinque Stelle sono riusciti a interloquire con l’operaio e lo studente, la pensionata e il manager, l’attore e il disoccupato: merito della visione generale, per quanto la si possa contestare o ritenere fragile.

A questo punto, siamo al dunque. E torniamo a Pd e Forza Italia. Dove, in questo momento, non esiste nessuno dei due ingredienti alla base del successo gialloverde. Non c’è o non c’è più un leader riconsciuto, riconoscibile e carismatico (persino Berlusconi, ormai, non pare esserlo più); ma nello stesso tempo non vi è alcun orizzonte ideale chiaro, definito e riconoscibile in cui i potenziali popoli di riferimento possano riporre le speranze per il futuro o trovare risposte specifiche alle esigenze materiali.

Regna l’indistinto o la risibile tendenza all’emulazione, in entrambi i partiti. Che, in più, portano sulle spalle il fardello pesantissimo della scarsa credibilità nel proporre personalità e idee-forza nuove, per il fatto stesso di aver avuto numerose possibilità di governare ed averle fallite o comunque malamente perse, mentre la nuova Lega salviniana e i Cinque Stelle sono ancora in una fase neonatale e crescente, per così dire.

Almeno uno dei due fattori – leader o visione generale – nello scenario politico di oggi è assolutamente necessario, altrimenti è inevitabile che nelle rispettive comunità di riferimento subentri o (soprattutto in Forza Italia) sia già subentrata l’impossibilità di condividere alcunché: il pathos verso la guida carismatica o la tensione interiore verso un orizzonte ideale condiviso, da raggiungere come comunità. E dunque, ecco l’effetto: dispersione, distacco, allontanamento e morte per asfissia di contenitore e contenuti.

Siamo dunque alla conclusione, che riparte da dove era iniziato: mille persone, a Como, in un gelido pomeriggio di gennaio, che sfilano in nome della Pace. In nome di un valore-cardine ma impalpabile, o – se si vuole essere crudi – quasi irrealistico. Eppure mobilitante, anche senza un leader di riferimento. E’ la prova provata dell’efficacia almeno della metà della mela perfetta (senza la guida carismatica).

Saprebbero, Forza Italia e Pd, oggi, in assenza di leader credibili oltre il proprio recinto angusto, indicare almeno un valore proprio di riferimento, trainante, guardandosi dentro ed evitando le ormai assurde astrazioni come “le fasce deboli”, “i moderati”, “la sinistra”, “il centro”, mentre Lega e Cinque Stelle hanno da tempo imboccato la via della risposta quasi costruita sui misura su ogni singolo elettore, pur seguendo strade diverse? No, rispondiamo noi.

Senza guida, senza orizzonte ideale né dialogo con il singolo: la crisi di Pd e Forza Italia, in fondo, è tutta qui.

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