Ci sono le mostre, gli eventi, i calendari più o meno condivisi e più o meno in ritardo.
E poi c’è Miniartextil, che zittisce tutti. Perché intanto che, all’ombra di Porta Torre, negli anni si discuteva di grandi mostre con nomi internazionali “anzi no meglio puntare sui nomi locali-no aspettate, meglio tanti piccoli eventi- vabbè amen sarà per l’anno prossimo”, questa piccola mostra diventava grande. Talmente grande che oggi festeggia la ventinovesima edizione e rifila alla città una di quelle lezioni che non puoi far finta di non vedere.
Perché è lei, che piaccia oppure no, la vera grande mostra di Como: artisti internazionali, prestigio riconosciuto in tutto il mondo, date in Italia e all’estero dopo la “prima” comasca (dalla storica Montrouge alle porte di Parigi a Venezia, con un occhio puntato a Spagna e Stati Uniti) e la volontà di far sentire l’intera città orgogliosa e partecipe di questo evento portando 30 creazioni artistiche in altrettanti negozi del centro.
Il tutto declinato in 29 anni di vita. Il tutto con al centro la fiber art, che sulla carta è roba da chi nella vita ha già visto tutto, non certamente il cavallo su cui puntare a occhi chiusi.
E il resto della città? Non è morto, per carità. Ma se i pianti delle prefiche sono oggettivamente fuori luogo, non si può negare che il polso sia flebile, a tratti assente, con sporadici picchi che però non sono sufficienti a dichiararlo fuori pericolo.
Vero, c’è l’innegabile risveglio della Pinacoteca civica, con le sue mostre dedicate a Antonio Sant’Elia, Giuseppe Terragni e Mario Radice, che non sembra però riuscire a trovare il coraggio di uscire dalla comfort zone dei grandi nomi del Razionalismo.
Mostre preziose, è vero, ma quasi autoreferenziali e incapaci di uscire dalle mura di palazzo Volpi per farsi/farci conoscere al di fuori della città. E come non ricordare lo slancio del Museo della Seta, con la mostra dell’anno scorso su Manlio Rho a cui seguirà, a fine ottobre, quella dedicata allo stilista Lorenzo Riva? Splendide iniziative a cui, però, non si può oggettivamente delegare il compito di rappresentare la grande mostra cittadina.
GALLERY-SFOGLIA
(Intero fotoservizio: ©Carlo Pozzoni per ComoZero, tutti i diritti riservati)
Che poi non è che necessariamente si debba puntare alle file di visitatori accaldati e ai numeri da capogiro per essere un grande evento.
Quelli fanno piacere ma passano e non lasciano nulla. Quello che da Miniartextil si dovrebbe davvero imparare, è a guardare più in là del banco della biglietteria e anche più in là dei 5 anni di vita di un mandato da sindaco o assessore alla Cultura. Perché Miniartextil cresceva e conquistava il mondo intanto che qui si praticava quella maledetta damnatio memoriae che sembra spingere sempre chi viene dopo a distruggere tutto quanto fatto dal suo predecessore.
E ogni volta è un ricominciare da zero invece che continuare a costruire qualcosa di durevole. E allora guardiamo e impariamo come si vola alto, che è ora.