Lunga vita alla Guardia di Finanza che ha permesso e tutt’ora permette alla Casa del Fascio di Como, capolavoro del Razionalismo firmato dal suo maestro Giuseppe Terragni, di sopravvivere, vivere e persino conservarsi bene e attiva. Questo è il primo punto. E diciamolo subito: se anche le cose dovessero mantenersi così ancora per anni, non si potrebbe avere granché da obiettare. Il mix tra le Fiamme Gialle e la meraviglia architettonica funziona e in Italia – soprattutto quando ci sono di mezzo capolavori da preservare – non è affatto scontato (basti vedere l’infausto destino, sempre a Como, dell’Asilo Sant’Elia).
Chiarito il quadro e continuando a pensare alla Casa del Fascio, difficile però non ricordare una pagina recente di cronaca. Quella che in varie fasi, nel quinquennio 2017-2022, ha visto l’attuale parlamentare della Lega Claudio Borghi sedere anche in consiglio comunale a Como e – sia da Palazzo Cernezzi che dalla Camera dei Deputati – lavorare per trasformare l’edificio in un museo, anzi, in un “Polo dell’astrattismo e del razionalismo”, omaggiando le due correnti artistiche e architettoniche che hanno segnato in grande la vita culturale del territorio. Questo avrebbe comportato lo spostamento della Guardia di Finanza, naturalmente, ma nell’autunno del 2021 sempre Claudio Borghi disse che erano disponibili pure i fondi necessari. Queste le sue parole: “L’articolo 152 della Legge di bilancio – dichiarò il deputato e consigliere comunale della Lega – prevede, dopo un lavoro trasversale molto importante, uno stanziamento di 100 milioni di euro su tre anni per adattamenti, spostamenti e ammodernamenti delle caserme della Guardia di Finanza. Per cui, quello che normalmente è sempre stato il primo ostacolo, ossia spostare in un’altra sede la Guardia di Finanza perché non ci sono i soldi, ora potrebbe venire meno. Di conseguenza, tante delle cose che ostavano al progetto di un polo museale alla Casa del Fascio, ora potrebbero diventare possibili e io sono fiducioso”.
La legge di Bilancio venne poi approvata e alla Casa del Fascio venne destinato un milione di euro. Tanto che, ancora Borghi, poco dopo, ad Artslife, si dichiarò soddisfatto: “Dopo decenni di attesa possiamo finalmente costruire un museo. Anche il palazzo ex Uli, il vicino immobile che oggi ospita l’Ats, può essere coinvolto. Potrebbe diventare una sede espositiva, con servizi turistici o dedicati all’architettura. Ci sono già progetti pronti e redatti”.
Tralasciando la prima tentazione impossibile e ‘da bar’ che viene spontanea – “se solo quel milione fosse stato destinato all’Asilo Sant’Elia…” – oggi, a quasi due anni di distanza da quelle fiduciose dichiarazioni, non è successo assolutamente nulla. E verrebbe quasi da auspicare, visto anche che un milione è una cifra grossa in sé ma per toccare un capolavoro come la Casa del Fascio di Como potrebbe anche essere niente, che quei soldi vengano investiti per rendere ancora migliore l’edificio nelle sue funzioni attuali. Eppure una piccola postilla d’attualità si impone.
Il 23 giugno scorso, a Salò sul Lago di Garda, è stata inaugurata al MuSa l’esposizione permanente dedicata alla Repubblica Sociale Italiana, che proprio in quei luoghi visse i suoi quasi due anni d’agonia e sangue. Un tributo alla storia del territorio, insomma, e nello stesso tempo a una delle pagine cruciali della storia del ‘900 italiano e mondiale. E tra l’altro – a differenza della surreale discussione che si svolse sul Lago di Como una quindicina di anni fa – lì si è avuto il coraggio di chiamare le cose col proprio nome, non ricorrendo a involuti giri di parole o neutri “fatti storici”.
L’esposizione si intitola infatti: “L’ultimo fascismo 1943-1945. La Repubblica Sociale Italia”, e nelle sale vi è ampio corredo di immagini, reperti storici, video, cimeli e interventi che riescono a dare un quadro sintetico ma abbastanza preciso di tutto ciò che fu quel periodo. Senza il rischio, per farla breve, di una mostra celebrativa con tentazioni benevole verso gli ultimi mesi del fascismo, di Mussolini, dei gerarchi e dei nazisti al seguito. Non mancano ad esempio apparati critici multimediali affidati a storici e professori, sia sul regime allo stadio terminale sia sulla lotta di Liberazione.
Ebbene, al netto del meritorio Museo della fine della Guerra di Dongo, piccolo ma ben realizzato in uno dei luoghi sacri della Resistenza, e della lapide che ricorda l’ex Duce e Claretta Petacci a Villa Belmonte di Mezzegra, Como città sembra aver cancellato ogni traccia di quei momenti pur essendone stato il crocevia fondamentale (dalla notte di Mussolini in Prefettura prima della disperata fuga sul lago, all’insurrezione partigiana, passando per le carcerazione a San Donnino di figure quali Liliana Segre e Rachele Mussolini, i grandi scioperi operai, gli episodi eroici della Liberazione o i casi più controversi e indagati per decenni come quelli dei partigiani Gianna e Neri). E tutto questo avendo un centro d’eccellenza in città come l’Istituto di Storia contemporanea Pier Amato Perretta.
Insomma, per concludere: se anche la Guardia di Finanza restasse in eterno a custodire operativamente il capolavoro di Terragni, probabilmente nessun comasco di straccerebbe mai le vesti, anzi. Se invece l’ipotesi oggi debolissima di trasformare la Casa del Fascio (e magari anche l’ex Uli) in un polo museale dovesse mai prendere piede – e i motivi per dubitarne sono tantissimi, forse meglio sperare nella rinascita dell’Asilo Sant’Elia – allora, forse, abbinare ad astrattismo e razionalismo anche una esposizione permanente sugli episodi storici che videro Como e il lago protagonisti loro malgrado nel ’43-’45, magari in diretta e sinergica connessione con la struttura già attiva a Dongo, potrebbe essere un’occasione da valutare. Anche perché le nuove generazioni locali – e non soltanto i turisti – possano avere un’occasione per fare i conti, oltre che con i quintali di pizze e Spritz serviti, con la grande storia che, ormai quasi senza che lo sappiano, ha probabilmente visto in campo anche i loro nonni. Per interventi, repliche, opinioni: scrivere a redazionecomozero@gmail.com
11 Commenti
Salò fa bene a non vergognarsi, nel bene o nel male fa parte della nostra storia. Ci sarebbe molto da vergognarsi, invece, dei “Sinistrati” che continuano a fare danni nel nostro Paese diffondendo “menzogne e promesse” che hanno solo contribuito a destabilizzare il Paese.
Ah già come le accise di Meloni e il girasagre ahahah
Quanto a promesse mancate e a giravolte “ideologiche”, mi pare che l’attuale governo abbia pochi rivali nella storia recente.
Concordo bravi!
Riuscite a fare considerazioni intelligenti ogni 100 articoli contro il sindaco!
Visto come siamo messi c’è da vergognarsi più del presente
Ah, bei tempi quelli del fascismo, tra dittatura, repressione e guerre con le pezze al culo
Ah bei tempi quelli del covid con i dpcm emessi ad minchiam, gli arresti domiciliari, gli elicotteri dei carabinieri che inseguivano i pensionati sulle spiagge, i posti di blocco , i decreti che ti toglievano lo stipendio e ti impedivano di andare a ritirare la pensione , degli obblighi vaccinali che non erano obblighi, dei lasciapassare verdi per i cittadini Mentre sulle coste sbarcavano in centinaia senza documenti liberi di girare, oppure delle stazioni ridotte ad accampamenti… bei tempi quelli dei politici su tik tok, del reddito di nullafacenza, delle promesse elettorali e degli scandali, dei ponti che crollano e del liberi tutti, bei tempi quelli dei bagni gender, dei pronomi impersonali e del woke eh si viviamo in tempi magnifici
Però lei può scrivere tutte queste cose senza conseguenze. In altri tempi non sarebbe stato possibile.
Sai che soddisfazione! Olio di ricino e manganello. Questo ci vuole.
Però se te l’avesse detto LVI, il vaccino lo avresti fatto cantando. Pecora.
Finalmente un buon articolo, segno che dalla sciatteria e dai publiredazionali camuffati si può uscire.