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“Quando Como sapeva curare davvero. Ora Pronto Soccorso come gironi danteschi, si scappa verso il privato”

Molti boomer di Como e provincia ricordano sicuramente la situazione sanitaria del territorio verso fine anni ’70 inizio ’80. Chi aveva il grano pesante andava a farsi curare in Svizzera, chi aveva qualche soldino da parte andava a Milano (al punto che taluni sanitari comaschi avevano l’abitudine di visitare anche nel capoluogo lombardo, un po’ per “tirarsela” ma anche per agganciare là qualche concittadino), chi non poteva restava nelle strutture che la città e le zone limitrofe offrivano. Valeva ovviamente per le patologie “maggiori”, cosiddette serie, oncologiche, cardio-vascolari e neurologiche, ma non solo.

Nel ventennio successivo si è assistito a un’importante crescita dell’offerta qualitativa e quantitativa del territorio lariano, tra l’altro la sanità comasca ha attratto diversi professionisti da altre provincie lombarde e regioni italiane, al punto che il nuovo millennio avviato registrava meno del 3% di “fughe” sanitarie dalla nostra ASL (da tempo trasformata in ATS, ahinoi non allargamento sbilanciatissimo su Varese, ma non andiamo fuori tema) ad altre di altri territori.

Cosa significa? Che i cittadini di Como, del lago, dell’alta Brianza e non solo, trovano (trovavano, vedremo adesso che cosa sta succedendo) soddisfazione nell’offerta di cure del proprio territorio. Il potenziamento dei centri ospedalieri per le cure oncologiche, neurologiche, oculistiche e cardio-vascolari ha sortito l’effetto desiderato. Curàti, e bene, come risulta dai dati di prognosi e follow-up, in casa propria. Il territorio lariano, pur con le proprie eccellenze, non è tuttavia riuscito ad attrarre “fughe” inverse di cittadini da altri territori, ma perché l’offerta sanitaria meneghina è vastissima e di altissimo profilo qualitativo e tale quindi da intercettare chi viene al nord in cerca di salute (si calcola oltre 700.000 italiani ogni anno, secondo “Il Sole-24 ore”). Le cose stanno tuttavia cambiando.

C’era da aspettarselo, dopo la pandemia tutta la sanità è uscita con le ossa rotte. Il grido di dolore degli operatori e dei cittadini bisognosi di salute non è stato ascoltato se non in parte, con operazioni di facciata, di puro “maquillage” dal nome roboante “Case della salute”, oppure “Case di Comunità” o ancora “Ospedali di Comunità”. Vi ricordate? La strana coppia Letizia e Attilio, poi scoppiata per le elezioni di Governatore, prossimamente forse ri-accoppiata dopo le Europee, che inauguravano centri a bassa intensità di cura in giro per la Lombardia, in quantità anemiche, se non addirittura omeopatiche, al punto che, in effetti: chi si è accorto dei benefici? Con il risultato che andare oggigiorno in un Pronto Soccorso è una condanna dantesca e avere una visita specialistica in tempi utili appare quasi una vincita al Totocalcio. E questo comporta appunto le nuove “fughe” in sanità: alla ricerca dell’esame o della visita in regime di Servizio Sanitario Nazionale.

Poiché quasi introvabili in tempi ragionevoli in città, pur con lodevoli eccezioni, ecco che il malato lariano si spinge lungo l’amato lago, o addirittura in Valtellina, o in provincia di Milano, Varese e Monza-Brianza per trovare gli agognati test. Molto spesso questo avviene nel privato, ma accreditato, quindi non c’è bisogno di mettere il soldino, salvo quello del ticket, se richiesto. E a proposito di privato, i grandi (ma neanche poi grandissimi) gruppi sanitari hanno capito la necessità di spostare, ma non troppo, l’utente. Ecco quindi che sono nate negli ultimi anni come funghi le cosiddette “smart clinic”, che altro non sono che centri clinici, poliambulatori, che offrono punti prelievi, esami e visite in zone strategiche. Meda, Cantù periferia, Varedo, ma anche Camerlata.

Perché “smart”? Termine di cui si avvaleva spesso Barack Obama, vi ricordate i discorsi dell’ex-Presidente degli Usa? Almeno 3-4 citazioni “smart” ciascuno. Perché intercettano, appunto brillantemente/furbamente, i bisogni del cittadino: aperti anche il sabato e talora la domenica mattina, nei feriali fino alle ore 20 e 21, vicini a grandi parcheggi e spesso centri commerciali, convenzionati ma che offrono anche esami in regime privato a tariffe abbordabili in tempi rapidi. Di qualità tutto sommato buona. Come c’era da aspettarsi, il cittadino comasco, e non solo, apprezza questa offerta e lì sta migrando. È un guaio? Certo che no, ma anche questo concorre a mandare in quiescenza la sanità pubblica, con il risultato di un Sistema Sanitario Nazionale fiore all’occhiello che diventa crisantemo. Perché se tutti vanno là, che professionalità rimarranno qua?

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Un commento

  1. Infatti.

    E qui che la politica deve intervenire.
    A me fare una tac da 80 euro privatamente cambia poco.
    A chi fa fatica a tirare la fine del mese, una gastroscopia da 600 euro cambia tutto.

    Il lavoro è sempre più povero e aleatorio.

    E questi: farneticano su un ponte da 14 miliardi, incentivano l’evasione fiscale, incentivano la
    sanità privata, sputano sul salario minimo e poi dicono di fare figli.

    Può durare? No.

    La corda si spezzerà. Torneranno anni bui, dove gruppi di svalvolati vorranno farsi giustizia da soli.

    Ce la stiamo cercando.

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