Si leggono attacchi delirati, in special modo su facebook (basta fare un giro), alla stanza degli abbracci donata oggi dallo Spi Cgil alla Ca’ d’Industria di Rebbio e, in generale, a tutte le stanze degli abbracci apparse nelle Rsa italiane per permettere almeno un incontro visivo tra degenti e parenti.
Si va da chi parla di “vergogna”, “follia” e “raccapriccio” fino a chi sfiora ovviamente il misterioso complotto demoplutomarziano per pianificare attacchi 5G alle nostre menti tramite vaccini alla trippa.
Poi c’è chi, drammaticamente, scrive bestiate autentiche, non riuscendo a concepire che una soluzione simile – senza alcun dubbio urtante sul piano estetico, soprattutto perché in diretta correlazione con un momento emozionale – in una fase in cui aprire alle visite fisiche è ancora rischio, protegge i più deboli, gli anziani, anche se già vaccinati e, per converso, anche i parenti che tra l’altro spessissimo vaccinati non sono. E, come noto, senza voler fare alcuno sfoggio di scienza che non abbiamo, non è per nulla certo che anche chi è già stato vaccinato non possa in ogni caso essere veicolo di trasmissione del virus (figuriamoci chi non lo è, come moltissimi parenti).
Ma se già sul piano pratico le contestazioni sono risibili, e pur concedendo l’impreparazione oggettiva della nostra mente a concepire un gesto d’amore tra un nonno e un nipote filtrato da un tunnel, quello che sconcerta è il rancore, la bile, talora l’odio autentico che viene riversato su terze persone come puro sfogo delle proprie, peculiarissime (per usare un eufemismo) teorie.
Eretti a giudici supremi della sofferenza altrui (ma naturalmente mai toccati in prima persona), per gli anatemisti di professione non conta più nulla il fatto che magari, anche sotto un telone, una persona cara – che viva dentro o fuori una struttura assistita – possa finalmente uscire da un mondo di pixel o dalla voce metallica di uno smartphone e comparire fisicamente a pochi centimetri da chi non si sfiora da mesi, benché con un telone spiazzante davanti.
Non contano la generosità di chi quel dono lo ha fatto (a Como lo Spi Cgil, che dubitiamo stia complottando contro il mondo con l’intento di acuire dolori e distanze, regalando una stanza degli abbracci alla Ca’ d’Industria), non contano i sentimenti delle persone che direttamente faranno quell’esperienza. No, non conta nulla di tutto questo. Quello che conta è sputare il proprio disgusto a prescindere, sulla base della propria idea, della propria concezione di mondo, non raramente del proprio paracomplottismo da strapazzo.
Tutto, persino le esistenze, la salute, i pochi secondi d’affetto altrui di cui si ignora ogni cosa (l’origine, le esigenze, le opinioni, le volontà, i desideri) diventano tavolaccio dove scannare la propria personalissima sentenza e gettarla in faccia agli altri.
Anche nel caso di una stanza degli abbracci donata alla gloriosa Ca’ d’Industria. Anche in una Rsa che ha avuto 90 anziani morti per Covid.
A questo siamo arrivati, anche a Como.
Un commento
Ringrazio la Cgil. Le stanze degli abbracci avrebbero dovuto esserci in tutti gli ospedali. Togliere a chiunque il diritto all’amore dei cari o metterlo in competzione con la probabilità di ucciderli è stata una delle cose più orribili di questi tempi. Grazie Cgil, un’azione di civismo attivo e di civiltà. Chi sottolinea che l’abbraccio vero è altra cosa dice un’inutile ovvietà. Sappiamo tutti che i cellulari e skype hanno in tanti casi offerto l’unica via di contatto tra le persone gravissime e i loro cari. Certamente hanno salvato anche vite di malati che si sarebbero lasciati morire senza. Non capirlo e osservare che anche i contatti mediati sono meno profondi di quelli reali non ha senso. Meglio poco che nulla. E’ spesso il poco può salvare tanti da una profondissima infelicità. Mortale.