C’è un filo rosso che da quasi 60 anni (verranno festeggiati nel 2019) lega Como al Nord dell’Uganda, uno dei paesi più poveri al mondo devastati da 20 anni di guerra civile. Il legame è la presenza sul territorio africano dal 1998 della Fondazione Ambrosoli, che ha raccolto il testimone dell’opera di padre Giuseppe Ambrosoli, originario di Ronago ma che dopo la laurea in medicina e l’ordinazione sacerdotale passò la sua vita a Kalongo, dove c’è un ospedale che porta il suo nome. Non solo; oltre all’importante struttura ospedaliera, punto di riferimento per un territorio di oltre 3mila chilometri, c’è la scuola di ostetricia St. Mary’s.
“E’ impressionante (in modo positivo) – tiene a precisare la presidente della Fondazione, Giovanna Ambrosoli – arrivare in questo luogo nel mezzo della savana, dove non ci sono strade, e vedere una scuola, un bell’edificio con un giardino curatissimo e ricco di fiori, trovare studentesse piene di passione nella loro divisa impeccabile”.
Da quando è stata fondata, nel 1959, ha formato circa 1300 ostetriche, professioniste con un bagaglio unico. “Loro devono far fronte a situazioni estremamente precarie e quindi sanno come rispondere anche sotto pressione e senza mezzi” sottolinea la presidente.
La scuola sostenuta da Fondazione Ambrosoli non solo cerca di combattere la mortalità durante il parto ma dà un’occasione di emancipazione a ragazze che, altrimenti, sarebbero relegate all’ignoranza e a lavori umili in una cultura prettamente maschilista.
“Il St. Mary’s è un punto di riferimento, è conosciuto in tutta l’Uganda e per questo arrivano per iscriversi anche ragazze che abitano molto lontano. “Ricordo bene l’episodio di una giovane che aveva attraversato il Paese per iscriversi, a piedi e trovando alloggio in rifugi di fortuna per dormire. Purtroppo era arrivata in ritardo ma la scuola ha voluto comunque prendere in considerazione la sua richiesta. Alla fine è entrata nell’istituto e si è rivelata eccezionale” racconta la presidente Ambrosoli.
Sono ragazze che desiderano un futuro migliore e che spesso per questa ragione affrontano l’ira degli uomini a casa. “La cultura maschilista non facilita il loro percorso. Per questo motivo il nostro corpo docente insegna loro anche a salvaguardare quanto hanno costruito – prosegue la numero uno della Fondazione – Devono sapere che il documento di diploma è l’unico atto ufficiale che permette loro di trovare lavoro, quindi lo devono conservare con cura. Spesso infatti accade che gli uomini della famiglia, per ripicca, lo rubino o lo distruggano per non permettere alle ragazze di essere autonome”.
La loro forza d’animo però è irriducibile. E infatti l’abbandono scolastico è praticamente nullo. “Quando le nostre ragazze iniziano il percorso di studi non lo lasciano per nessuna ragione – precisa Giovanna Ambrosoli – Solitamente infatti hanno alle spalle un forte trauma: in tante hanno perso la mamma, una sorella o comunque una conoscente per le complicanze del parto e per questo vogliono riscattarsi”. Diventare professioniste che possano fare la differenza in situazione critiche.
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