Tra bar storici, parrucchieri d’altri tempi e lavanderie di fiducia, un angolo della città resiste alla corsa del presente. C’è una via, a pochi passi dal centro, che sembra immune al caos moderno. In via Zezio, le saracinesche si alzano ogni mattina con la stessa lentezza rassicurante di trent’anni fa. Le insegne colorate, le vetrine ordinate, e dietro ogni bancone c’è una storia che sa di fiducia e quotidianità.
Entrando all’Antica Caffetteria e Gelateria del Borgo, il tempo rallenta davvero. Un bancone, qualche tavolino e il tintinnio delle tazzine. “I nostri clienti sono sempre gli stessi, c’è chi viene due volte al giorno, chi si ferma per quattro chiacchiere. Siamo più psicologi che baristi, a volte”, ha raccontato Salvatore Minneci, il proprietario che gestisce il locale dal 2012.
Quest’avventura è nata per il desiderio di tornare a casa e passare più tempo con la famiglia. “Io vengo da un altro mondo, prima ho lavorato per trent’anni in tessitura ma non avevo orari fissi quindi ho deciso di tornare nella zona dove sono cresciuto e aprire una caffetteria. Volevo passare più tempo con la mia famiglia, soprattutto con mio figlio e con il lavoro che facevo prima era piuttosto difficile. Con la caffetteria ho più stabilità, i clienti sono sempre quelli, gli orari lo stesso, so che per le sette sono a casa e ho anche dei giorni liberi. Non è stata una transizione difficile, ero un commerciante e mi piaceva stare a contatto con la gente, cosa che posso fare anche adesso come barista. Il mio lavoro è molto sociale, le persone si confidano con me, un buon barista è uno psicologo che si fa pagare con un caffè. È bello perché trovi gente simpatica con cui instauri un rapporto di amicizia, ma a volte c’è quello che è un po’ più difficile da gestire, comunque anche in questo caso sono stato fortunato e non ho mai avuto episodi di ubriaconi”.
Secondo Salvatore la sua vita ha preso una direzione inaspettata, da ragazzo non pensava certo di diventare il proprietario di una caffetteria. “Credevo che avrei fatto qualcosa di diverso, probabilmente se avessi avuto un locale in centro dove arrivano più turisti e gente che non conosci sarebbe stato anche meno pesante. È vero, c’è più gente da servire ma è di passaggio, si tratta di due minuti, gli fai un caffè e poi avanti un altro. Invece chi viene qua mi conosce e mi parla dei suoi problemi, mi trovo a fare un po’ da psicologo e questo è emotivamente stancante. Ora più invecchio e meno pazienza ho”.
Nonostante gli anni passino, non ha ancora smesso del tutto. “Adesso spero di riuscire a vendere il locale. Ho trovato qualcuno interessato ma non avevano i soldi, mi hanno detto che mi avrebbero pagato in futuro, quindi non ho accettato. Continuerò finché potrò, con i miei tempi ovviamente. Ora ho ridotto l’orario e me la prendo con calma”.
Salvatore non nasconde che ci sono stati dei momenti duri, soprattutto durante il periodo del Covid. “Siamo stati molto penalizzati però sono riuscito ad andare avanti grazie agli amici che ho incontrato proprio tramite la caffetteria, sono loro che mi hanno salvato. Li facevo entrare dal retro e ci chiudevamo dentro, cinque, sei persone, e diventava il nostro piccolo privé, quasi un club esclusivo. Grazie a loro non ho vissuto in modo troppo pesante il brutto periodo, si stava in silenzio, si parlava sottovoce, ma ci si faceva forza l’un l’altro. Senza di loro, non so se ce l’avrei fatta. A modo nostro, ci siamo anche divertiti. Era proibito, certo, ma c’era bisogno di umanità, e qui l’abbiamo trovata”.
Poco più avanti, c’è la lavanderia di Sara Fei, Lavasecco Orchidea. Si riconosce senza problemi grazie al profumo di pulito e alle macchine che sembrano uscite da un’altra epoca, intervistarla è difficile tra un saluto e l’altro dei clienti affezionati che passano a ritirare i loro vestiti. “In molti vengono qui da noi, soprattutto persone del posto ma non solo – ha spiegato Sara, che lavora qui da 25 anni – La lavanderia è qua da sessant’anni, io l’ho presa in gestione da mia zia. Prima ho fatto cravatte per sei anni e poi ho deciso di imbarcarmi in questa nuova avventura. Tutte e due i lavori mi piacciono molto anche se ora è un po’ diverso stando sempre a contatto con le persone. Molti vengono qui perché ci conoscono, altri per il passaparola, molte lavanderie stanno chiudendo così i loro clienti vengono da noi”.
Durante i momenti più difficili ha trovato forza e sostegno dove meno se lo aspettava: “Durante il periodo disastroso del Covid sono riuscita a restare aperta grazie a due persone speciali: un pensionato che vive in una casa albergo e Rita che gestiva le sue ordinazioni, voglio ringraziarli davvero dal profondo del cuore. Dovrei farli un monumento! È solo grazie a loro se sono riuscita a pagare l’affitto del negozio. Così ho potuto lavorare con serenità: avevo un’entrata fissa, il lavoro non era troppo, e riuscivo a gestire tutto con calma”.
Negli ultimi anni, però, le sfide non sono mancate. “È diventato sempre più difficile avere a che fare con le persone – ha raccontato – Dopo il Covid la gente è cambiata: tutti vanno di fretta, sono sempre nervosi. Capisco che ognuno abbia le sue giornate no, ma basterebbe un po’ di rispetto. Dovrebbe essere la base di qualsiasi rapporto umano. Invece entrano e pretendono che faccia tutto e subito, come se fossi lì solo per loro. Ma io non posso lasciare tutto per dare priorità al primo che arriva. Ho il mio carico di lavoro, ci sono giorni in cui mi sveglio alle quattro del mattino per portarmi avanti e in più vengo anche trattata male. A volte mi chiedo: ma chi me lo fa fare? Eppure, mi piace quello che faccio. Peccato solo per come è diventata la gente. Paradossalmente, sono proprio i giovani a essere più pazienti rispetto agli anziani o a quelli di mezza età”.
Il carico di lavoro, comunque, non manca. “Le lavanderie continuano a chiudere, e sempre più persone non hanno il tempo di stirare a casa, così si rivolgono a me. Il paradosso? È che io, a casa mia, non stiro nemmeno! Piego tutto e via. La vita è talmente frenetica che non ho tempo nemmeno per le mie cose”.
A completare il quadro c’è Albino Fiore, il parrucchiere del quartiere, con oltre sessant’anni di carriera alle spalle. Il suo salone ha l’aspetto di un piccolo museo: radio d’epoca, bottiglie antiche e vecchi fumetti di Tex decorano ogni angolo. Nonostante le mode siano cambiate nel tempo, Albino è sempre rimasto un punto fermo. Il suo entusiasmo, però, non si estende alle nuove tendenze giovanili.
“Ho aperto nel ’70, ma facevo già il parrucchiere dal ’62. Ho cominciato quando avevo dodici anni. A me piace tagliare i capelli, ormai è un gesto automatico. Con questo lavoro ho conosciuto tanta gente, ho la mia clientela abituale, soprattutto anziani. I ragazzi? Mi passa la voglia con quei tagli strani, io faccio cose normali. I tempi sono un po’ cambiati, sono tutti sempre di corsa, non parlano più. Metto i giornali sul tavolino, ma non li apre nessuno: stanno sempre al telefono. Io però mi diverto, non lo chiamo neanche lavoro. Dovrei essere in pensione, ma che ci faccio a casa? Qui sto bene. Uno dei miei ricordi più belli? Quando ho tagliato i capelli all’ex sindaco di Como, Antonio Spallino. Avevo solo quattordici anni”.
In un’epoca in cui tutto cambia alla velocità di un click, via Zezio resiste con orgoglio. È un microcosmo dove il passato e il presente convivono, dove il rapporto umano ha ancora un valore, dove “il solito” ha più importanza del “nuovo”. E chissà, forse è proprio questa lentezza il segreto per andare avanti davvero.