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“A Como mi hanno tirato yogurt dall’auto e bottiglie di vetro, ma io qui sto e starò bene”

E’ stata un successo di pubblico e partecipazione la serata intitolata “Un nuovo linguaggio per le migrazioni” organizzata il 9 gennaio dalla Caritas di Como all’Auditorium Don Guanella e condotta dal giornalista Michele Luppi de “Il Settimanale della Diocesi”.

Nell’occasione, che si inserisce tra le iniziative del “Mese della Pace “, è stato illustrato il 27esimo Rapporto Immigrazione 2017-2018 Caritas-Migrantes (qui il link grazie a Ecoinformazioni) alla presenza di un ospite d’eccezione, Oliviero Forti, responsabile per le politiche migratorie e la protezione internazionale di Caritas Italiana e chair dell’advocacy working group di Caritas Europa.

Sempre grazie a Ecoinformazioni che ha seguito l’evento in diretta streaming, lo ha integralmente registrato e successivamente l’ha diffuso sul proprio canale Youtube, possiamo dare conto anche di un momento molto particolare della serata. Ovvero, il racconto di Jonathan, un giovane originario del Camerun ormai in Italia da 3 anni, per la grandissima parte trascorsi (tuttora) a Como, dove vive e lavora.

In pochi minuti, ha raccontato alcuni spaccati della sua permanenza in città, svelando alcuni episodi di palese razzismo subiti per le strade ma nello stesso tempo rimarcando come quei singoli, disgustosi eventi non abbiano modificato il suo ottimo rapporto con moltissimi comaschi nel periodo di attesa per il permesso di soggiorno, le sue positive esperienze di inserimento sociale tra corsi di teatro, stage lavorativi, iniziative di volontariato e formazione e, in generale, la sua soddisfazione per essere riuscito a trovare lavoro e amicizie a Como.

Ne pubblichiamo un amplissimo stralcio, di seguito. E per chi volesse ascoltarlo in viva voce, il video di Econinformazioni qui sotto (dal minuto 8 e 13 secondi in poi).

Sono in Italia da 3 anni. Sbarcai in Sicilia e lo stesso giorno ci misero su un bus con cui sono arrivato a Milano per poi essere trasferito al centro di accoglienza dei Padri Somaschi e poi in via Borgovico 61 (l’ex caserma dei carabinieri di proprietà della Provincia, ndr).

Ho partecipato a lavori di volontariato e per me ha funzionato bene, mi sono trovato bene con la gente. Conosco poca gente, ma con loro le cose vanno bene. Non parlo di aiuti materiali, soprattutto sono stato accolto e ascoltato. Lo stesso è accaduto ai corsi di teatro e in altre attività, ad esempio uno stage alla Turba Impianti dove ho trovato persone che lavoravano lì da anni e il rapporto è stato bellissimo. Poi sono stato al Birrificio di Como per 8 mesi con altri italiani, romeni, albanesi e nessuno mi ha mai trattato come si dice in giro.

Ma per la strada è stato diverso. Ieri (l’8 gennaio, ndr) dovevo andare a trovare i miei amici dai Padri Somaschi. In via Recchi attendevo il bus numero 6, ero da solo, mi sono proteso e l’autista non si è fermato. E quell’autista mi ha fatto arrivare tardi al lavoro, di sera, 5 volte. Ieri era la prima volta di giorno. Ero incazzato però posso capire che può succedere anche a voi, perché alla fine siamo tutti civili. Ma sono sicuro che lui non l’ha fatto perché ero un italiano come gli altri.

L’altra volta a dicembre, andavo al lavoro tra le 10 e le 11 di sera. Andavo al lavoro in via Borgovico nuova. All’altezza di Villa Olmo, passano dei ragazzi in macchina e mi tirano barattoli di yogurt, poi loro prendono la strada che va verso Chiasso e io vado verso Tavernola, perché lavoro a Tavernola adesso.

Arrivato a Villa Flori, arrivano gli stessi ragazzi, la stessa macchina, e mi tirano ancora lo yogurt. Era la seconda volta che succedeva, la prima volta mi hanno tirato bicchieri e cose di vetro. Ma io non dico che sono tutti gli italiani, perché se io parlo di tutti gli italiani anche io categorizzo la gente. E in quello io non ritrovo perché non do a nessuno la possibilità di categorizzarmi.

Avendo vissuto quelle cose, non me le posso tenere dentro perché attorno a me c’è gente come me. Siamo arrivati qui in Italia, ognuno ha la sua storia, io ho la mia. Però io sono arrivato qua e mi sono trovato bene, mi trovo ancora bene e sono sicuro che domani, dopodomani mi troverò ancora bene. Ci saranno altre situazioni così, difficilissime da gestire, quello è vero, però il morale è d’acciaio.

Per quelli che mi conoscono sanno che quella parte della mia personalità è morta, ma non perché voglio sfidare, ma perché dopo quel fatto per me è finita, come una persona normale penso. Come un padre con suo figlio.

In questo momento, ho ricevuto questi aiuti, oggi vivo da solo, con il mio lavoro, mi capita di andare a bere un bicchiere il sabato sera, sono tranquillo. Quelle cose brutte che mi succedono, succedono anche ad altri, a voi, però non ci fermiamo a quello.

E’ vero, dicono in tv che siamo spacciatori. A me è successo che 3 ragazzi, dei quali il più grande aveva 15 anni, mi hanno chiesto: ce l’hai l’erba? Questo perché io sono nero e allora devo vendere l’erba. Alcuni pensano che veniamo dalla giungla.

Un’altra volta camminavo per la strada, arriva una signora con la figlia e lei sembrava che volesse entrare nella parete, si stava facendo male da sola. E io che devo fare? Chiamare il 112? Se succede, è colpa sua.

Vabè, ci proviamo.

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