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A un passo da Como non solo iper turismo, i mestieri antichi resistono nel piccolo paese: “Ma arriva questa roba cinese pericolosa”

Nel cuore di Lipomo, al confine con Como, nella piccola Corte Giazee, dove i negozi si affacciano uno di fianco all’altro, sopravvive una testimonianza preziosa dell’artigianato italiano.

Qui, da oltre sessant’anni, Angelo Rigamonti si dedica alla lavorazione dei materassi e tessuti d’arredo, mentre a pochi metri Salvatore Giglioli ripara scarpe e borse con la maestria e la pazienza che solo un vero calzolaio possiede. Le loro botteghe, più che luoghi di commercio, sono laboratori di storia, esperienza e passione, dove si preservano tecniche e saperi che stanno ormai scomparendo dal nostro Paese.

Le loro voci e le loro esperienze ci guidano dentro la realtà dell’artigianato, tra passione, fatica e la sfida continua di mantenere viva la tradizione.

Angelo Rigamonti, un mestiere iniziato da giovanissimo

Angelo ha iniziato a lavorare a 16 anni, quando ancora era in collegio. “Io pensavo di fare il tappezziere, fare roba di tappeti – ci racconta – invece imparai a fare il materassaio”. Per lui il lavoro è una vera vocazione, nel suo laboratorio a Lipomo Angelo mostra con orgoglio la cardatrice e le macchine da cucire, spiegando come realizzare materassi e cuscini fatti a mano, tutti pezzi unici. “La cardatrice serve per pettinare la lana – spiega Angelo – Quando arriva, la lana è ancora arruffata, con tutti i nodi e i grumi. Allora la passo dentro questa macchina che ha dei rulli con dei dentini in acciaio. La lana entra da una parte e viene sfilacciata, ammorbidita, diventa come una nuvola”.

Il gesto è semplice ma richiede attenzione. “Devi stare lì e controllare che non si blocchi, che la lana scorra bene. È un lavoro di pazienza, ma fondamentale per fare un bel lavoro. Senza cardatura, la lana resta dura, non si lavora bene”.

E proprio lui, che da oltre sessant’anni cuce, cuce e cuce, continua a trasformare fibre grezze in pezzi unici: “Ho lavorato per clienti importanti come il casinò di Campione, Villa d’Este e l’ospedale Valduce. Per loro faccio ancora tendaggi e poltrone”.

Il lavoro artigianale, spiega Angelo, è duro, ma gratificante: “Il lavoro non mi pesa, lo faccio ad occhi chiusi ormai. È difficile a livello fisico, però la soddisfazione è grande. Una volta si faceva tutto a mano, ora con la cardatrice è più veloce, ma ci vuole sempre l’occhio e la mano dell’artigiano. I materassi e i cuscini che facevamo una volta non ce li fanno più, oggi è tutto diverso, ma se fatto con passione dura anni”. Angelo ci tiene a sottolineare anche il valore dell’artigianato come scelta di vita: “Quando si fa artigianato non è solo un lavoro, è un modo di vivere e di fare le cose”.

Salvatore Giglioli, calzolaio tra tradizione e sfide moderne

Pochi passi più in là, la storia di Salvatore Giglioli racconta di un mestiere altrettanto antico e prezioso. “Ho rilevato questa bottega nel 1988 – spiega Salvatore – io ho lavorato in fabbrica per 16 anni, ma poi mi sono stufato, volevo fare qualcosa di nuovo”. Il lavoro del calzolaio però è oggi profondamente cambiato. Salvatore racconta con rammarico: “Adesso arriva tutta questa roba cinese, economica, si tratta soltanto di incollare. I cinesi fanno tutto con la plastichina”.

Secondo l’artigiano le scarpe di oggi sono spesso di qualità molto scadente: “A volte mi portano in negozio scarpe che costano 8 euro, ovviamente il giorno dopo si sono già scollate. La finta pelle è la peggiore, si sbriciola sotto la plastica. Adesso anche noi italiani ne facciamo così: una tela di tessuto plastificata che si sgretola e si stacca”.

Con amarezza Salvatore osserva il cambiamento nel settore: “Una volta usavamo anche gli aghi per cucire, ora è solo lavoro di incollature, vorrei tornare a quando c’era il Made in Italy vero. Noi facevamo scarpe di pelle, avevamo altri gusti, ma i nostri operai costano molto di più rispetto a quelli in paesi come la Cina. Loro magari producono una scarpa a 1 euro, mentre noi siamo su altri prezzi”.

Il suo desiderio è tornare alla tradizione: “Io voglio tornare a fare i lavori in cuoio, ma adesso poche persone si vestono sul classico elegante”. In passato, racconta, faceva anche ciabattine da donna, “che costavano, ma erano roba che durava negli anni. Il problema di oggi non è neanche una questione di soldi, perché vedo gente con Porsche e BMW comprare scarpe scadenti”.

Salvatore ricorda anche un episodio emblematico del 2003, un giorno di caldo torrido: “Una signora è uscita con un sandalo che le si era sciolto addosso, la plastica le si staccava dalla pelle, era spaventatissima”. Questo è un esempio anche del rischio per la salute: “Ho sentito clienti che mi raccontano di infezioni causate dai materiali scadenti delle scarpe“.

Oggi Salvatore non fa più scarpe da zero, ma si dedica a riparazioni di ogni tipo: “Riattacco suole, lavoro borse, sistemo cerniere, zip, bottoni e chiavi”. Il mestiere lo ha imparato dal calzolaio precedente e ricorda: “Era un lavoro difficile, una volta un poliziotto appassionato di calzoleria mi diceva: ‘sono tanti anni che combatto per farlo ma non ci riesco’”.

Ma il lavoro cambia e si fa sempre più difficile: “Dopo il Covid il lavoro si è dimezzato, prima vendevo anche qualche ciabattina, qualche scarpa”. Molte piccole ditte artigiane hanno chiuso, ma Salvatore sottolinea il valore della qualità: “Se si fanno ciabatte buone, possono costare anche 40 euro, ma durano una vita. Questa roba di oggi invece non è ecologica, non so neanche se è riciclabile“.

La fatica di restare artigiani oggi

Entrambi sottolineano quanto sia complesso mantenere vivo il mestiere. Salvatore ci dice: “Paghi l’Inps, l’Iva, l’affitto, il commercialista, spese che un dipendente non ha. Il lavoro dell’artigiano è complesso“. Angelo ricorda come il Covid abbia reso tutto più difficile: “Durante il lockdown è stata dura, molte aziende hanno chiuso. Ma la passione è quella che tiene in vita”.

Nonostante le difficoltà, le sfide del mercato e il peso fisico di certi lavori manuali, sia Angelo che Salvatore non hanno mai perso l’amore per il loro mestiere. “Il lavoro non mi pesa – dice Angelo con semplicità – lo faccio ad occhi chiusi ormai e la soddisfazione è grande. Ho clienti da sessant’anni, persone affezionate che cercano la qualità che non trovano altrove”. A fargli compagnia, più dei clienti, è la sensazione di portare avanti qualcosa di vero, concreto, fatto con le mani e con il cuore.

Anche Salvatore non ha dubbi: “Il lavoro mi è sempre piaciuto tantissimo – afferma con convinzione – Nonostante le difficoltà economiche e le richieste pressanti della clientela. Essere artigiano vuol dire dare nuova vita alle cose con le mani e con la testa. È un lavoro che ti insegna la pazienza, l’ingegno e la dignità“.

Entrambi, ciascuno nel proprio laboratorio, respirano ancora l’orgoglio di appartenere a un mondo che resiste. “Fino agli anni 2000 era una sfida essere un calzolaio: ti portavano qua dei lavori impossibili, ma le scarpe erano fatte di materiale buono – ricorda Salvatore – Mentre adesso la la sfida è rimanere aperti.” Ma nonostante tutto, lo sguardo rimane saldo: “Fare l’artigiano è difficile – conclude – ma è una cosa che ti resta dentro. È un mestiere di pazienza, d’occhio, di rispetto per il materiale e per chi lo userà”.

Un patrimonio da difendere

Lipomo conserva così un pezzo importante della cultura italiana, fatta di mani, esperienza e cura. Le botteghe di Angelo Rigamonti e Salvatore Giglioli non sono solo negozi, ma luoghi dove l’artigianato si fa storia e resistenza. Le loro parole sono un invito a non dimenticare il valore della tradizione, della qualità e del lavoro fatto con passione, soprattutto in un’epoca in cui il consumo rapido e industriale tende a cancellare tutto questo.

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