Un giorno dopo l’esplosione del caso della lettera firmata dal presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, e dall’ex presidente del Canton Ticino, Christian Vitta, per chiedere ai rispettivi governi di modificare la fiscalità sui frontalieri, con ricaduta anche sui ristorni dei comuni di frontiera, anche la Cgil va all’attacco con una lunga e durissima presa di posizione.
Lettera TI-LO a Ministri finanze Accordo fiscalità frontalieri - 30 aprile 2020Riproponiamo i passaggi fondamentali del documento firmato dal presidente Giuseppe Augurusa per il Consiglio interregionale Ticino, Lombardia e Piemonte e dal presidente del Consiglio Interregionale Sondrio Grigioni, Ivan Cameroni.
Siamo sinceramente stupiti dal metodo: risulta che a Costituzione italiana vigente la competenza fiscale sia dello Stato nazionale, che i territori coinvolti siano le regioni italiane ed i cantoni che con essi confinano, c’è quindi una dimensione nazionale a cui è demandata la consultazione, la discussione e, se ancora nel novero delle possibilità rispetto al trattato sottoscritto, la proposta.
L’iniziativa lombardo ticinese, oltre che un atto di buona volontà risulta, in assenza di un esplicito mandato del Governo, quantomeno uno sgarbo istituzionale nei confronti di tutti gli aventi causa a partire dalle Regioni italiane coinvolte sul tema del lavoro frontaliero. Nella migliore delle ipotesi un atto privo di conseguenze.
A frontiere ancora chiuse e curve epidemiche ancor preoccupanti, ci domandiamo inoltre a chi giovi aprire ora una questione così rilevante per il futuro di oltre 70.000 persone, rendendoci invece fin d’ora disponibili alla riapertura del confronto con i corretti interlocutori a partire dal mese di settembre.
In tal senso, nell’aprile del 2019, siamo stati effettivamente consultati, ma non ascoltati, da un sedicente “tavolo tecnico” con l’obiettivo dichiarato di valutare il consenso intorno all’accordo parafato, anche attraverso possibili scostamenti dal testo originario.
Non ci siamo sottratti al confronto, anzi, al contrario, abbiamo presentato un articolato documento sottoscritto per la prima volta da tutte le sei organizzazioni sindacali dei due Paesi, non mancando tuttavia di evidenziare, anche allora come ora, il tema delle competenze in materia fiscale, la necessità di un mandato in chiaro dell’allora primo Governo Conte (le cui componenti politiche non si sono mai dichiarate a favore di quel trattato), la necessità che la consultazione non fosse solo un atto dovuto, bensì, una disponibilità a modificare i contenuti dell’accordo possibili solo attraverso la riapertura del negoziato o l’accoglimento di emendamenti in fase di conversione in legge; la necessità che il testo parafato fosse nelle disponibilità delle parti consultate, irritualmente indisponibile.
Siamo altresì stupiti nel merito: nella consultazione, preso atto del trattato sottoscritto tra Italia e Svizzera nel 2015, del cambio di fase storica rispetto alle ragioni che portarono alle norme del 1974 e che richiedevano un affrancamento da quelle modalità, abbiamo ribadito però alcune irrinunciabili priorità in ordine a questioni rimaste irrisolte a titolo esemplificativo: un periodo di transizione adeguato tra vecchio e nuovo sistema affinché la messa a regime non possa determinare effetti pesanti sulla vita delle lavoratrici e lavoratori frontalieri; la necessità di un corretto equilibrio rispetto ai carichi di famiglia che i due sistemi italiano e svizzero rischiano di rendere iniqui; l’introduzione delle franchigie fiscali adeguate a tutelare i salari medio bassi; un’attenzione ai rischi della doppia autorità fiscale e della doppia imposizione; la delicatezza del tema dei ristorni fiscali tanto per le comunità locali quanto per la necessità di un uso che possa guardare anche agli investimenti in mobilità, formazioni ed alle tante opportunità per il lavoro di frontiera; una particolare attenzione al fenomeno deflattivo del dumping salariale di cui un accordo rinnovato deve necessariamente tenere conto nell’interesse collettivo.
Abbiamo inoltre ribadito sulla necessità che un accordo definito storico, fosse accompagnato da un altrettanto rinnovato approccio al tema del lavoro di frontiera, cioè che fosse sostenuto dal fondamentale tema della cooperazione internazionale attraverso, ad esempio, le risorse Comunitarie e Federali della progettualità, che al contrario, ci pare ancora troppo segnata da un dibattito inaccettabile sulle tensioni nei confronti dei lavoratori italiani, che hanno visto nel referendum “prima i nostri” del 2016 promosso dalla destra populista, la punta di un iceberg a cui, però, la classe dirigente svizzera, anche la più moderata, pare ancora troppo timida nel superare posizioni di retroguardia nell’interesse stesso del Canton Ticino.
Crediamo, al contrario, a forme di cooperazione che favoriscano e non ostacolino la coesione sociale delle nostre comunità contigue. Ricordiamo che troppo spesso si evocano le tensioni sociali vere o presunte generate dalla quantità crescente di frontalieri presenti nei Cantoni Ticino, Vallese e Grigioni, troppo poco invece ci si ricorda come questi lavoratori italiani sostengono quelle economie impedendo la paralisi di interi settori come l’edilizia, la ricettività e la sanità, solo per citare i più rilevanti.
Siamo quindi pronti a riaprire il confronto, nei tempi, nei luoghi e nei modi corretti, in un tempo auspicabilmente lontano dall’emergenza sanitaria che purtroppo colpisce ancora i nostri territori, proprio a partire dalla gestione economica generata dalla emergenza Covid e chiediamo a Regione Lombardia di sostenere il percorso nazionale verso il riconoscimento dello Statuto dei lavoratori frontalieri, per la certezza del diritto e la tutela dei lavoratori frontalieri.
Nelle prossime ore invieremo ai Cantoni, alle Regioni ed al Governo italiano le nostre proposte unitarie.
Torino, Milano, Sondrio
29 maggio 2020
Il Consiglio interregionale Ticino, Lombardia e Piemonte
f.to Il Presidente
Giuseppe AugurusaIl Consiglio Interregionale Sondrio Grigioni
f.to Il Presidente
Ivan Cameroni