Premessa, l’attacco, all’interno di un ragionamento del tutto legittimo e estremamente articolato, è tuttavia molto forte. Ovviamente daremo spazio di replica al progettista-autore, Attilio Terragni, se riterrà opportuno intervenire.
L’altra premessa è questa:
JFK, Attilio Terragni e Bellagio: quell’opera geniale sul Potere che parla dell’Italia
Appena qualche giorno fa, Bellagio ha visto l’inaugurazione del JFK Memorial, monumento progettato dall’architetto Attilio Terragni ed eretto in memoria del Presidente degli Stati Uniti, John Fitzgerald Kennedy, che nel 1963 si concesse una breve sosta nel paese del lago, prima di riprendere il proprio viaggio italiano verso Roma.
A distanza di poco meno di dieci giorni, però, il monumento è circondato da transenne.
Un cartello, minaccioso, recita “Non salire sul monumento. Area videosorvegliata – i trasgressori saranno puniti a norma di legge”.
La vista del monumento “inscatolato” tra barriere di metallo e nastro segnaletico ha spinto Giorgio Melazzi, voce di moltissimi personaggi di film, serie tv animate e videogiochi, attore di cabaret, teatro e cinema e nativo di Bellagio, a comporre un critico invito a ripensare all’utilizzo dell’arte negli spazi pubblici.
Dall’articolato commento pubblicato dall’artista su Facebook leggiamo:
“Chi come me quel giorno vide John Kennedy, prima a salutare l’intero paese dal balcone di Villa Serbelloni, poi a sorridere a tutti in quel giro del Borgo in macchina col finestrino aperto, può certificare l’emozione profonda di quell’incontro, vissuto nella consapevolezza di salutare quello che era l’uomo più importante al mondo, il protagonista di quella scena internazionale, l’uomo della Nuova Frontiera e della Pace, almeno nell’immaginario collettivo. In base a quei valori, e non certo come gadget turistico, trovo encomiabile l’iniziativa di ricordare lo storico passaggio di Kennedy a Bellagio”.
Per Melazzi, però, il punto debole dell’opera non sta nella sua intenzione celebrativa, quanto nel modo in cui è stata concepita e realizzata.
“L’opera, dal design ultramoderno, consiste in una voluminosa installazione seminterrata che occupa uno spiazzo privilegiato tra gli alberi del lungolago. Una sorta di luccicante sepolcro scoperchiato sul fondo del quale è steso un poster di John Kennedy che si riflette, declinandosi come icona, nella scatola di specchi e nel coperchio d’acciaio”.
La valutazione artistica assume toni a tratti sferzanti:
“E’ una tomba aperta, con forme taglienti, profili acuminati e luminescenze da schermo TV a creare un’atmosfera livida e spettrale: un moderno e metafisico accesso al sottoterra e al mondo dell’aldilà. Visto dalla strada, invece, il piano inclinato della grande lastra tombale appare, nella più nobile delle letture, come una rampa indirizzata al cielo; ma è difficile dar torto a chi la vede, più semplicemente, come la rampa d’accesso a un box soprelevato”.
Dichiarando di voler trascendere però il giudizio artistico ed estetico riguardo all’opera di Terragni, Melazzi porta l’attenzione proprio sulle transenne che hanno circondato il memoriale.
Queste, infatti, “sanciscono, fatalmente, la necessità di ulteriori interventi, quali una definitiva barriera attorno al sepolcro o la totale rimozione dell’opera: in entrambi i casi un fallimento del progetto”.
Per Melazzi, il fallimento sta nell’assenza di possibilità di reale fruibilità da parte del pubblico.
“La fruibilità socio-culturale di quell’opera è un dato oggettivo e si spiega con le transenne e le avvertenze dissuasive che, a pochi giorni dall’inaugurazione, sono state poste a circondare l’intera installazione per tenere il pubblico a distanza, vietando espressamente ogni possibile contatto e interazione: le occasioni di farsi del male avvicinandosi alla struttura appaiono evidenti”.
Altre città come Lisbona, Bologna, Montecatini, Parma o addirittura Cadenabbia, chiosa l’attore, hanno scelto di intitolare opere a celebri personaggi storici (rispettivamente Ferdinando Pessoa, Lucio Dalla, Giacomo Puccini, Giovanni Verdi e Konrad Adenauer) con una filosofia contraria, permettendo la “massima accessibilità fisica e culturale e fruibilità fino all’interazione, incoraggiando l’approccio all’arte e una spontanea partecipazione popolare , bambini compresi, che vivifica il personaggio in una dimensione di empatia che ne onora la memoria”.
A Bellagio, invece, è “tutto il contrario”. Il memoriale, riflette Melazzi, è “una tomba materialmente ostile e culturalmente elitaria”.
5 Commenti
A dire il vero la vera sconfitta non è nel progetto o nello spazio assegnato.
È nella mancanza di civiltà e rispetto degli spazi pubblici, nell inciviltà di dover sempre segregare opere per evitare che le “scimmie” ci salgano sopra o che utilizzino in modi impensabili da menti normali ed educate.
Per quanto riguarda i monumenti fruibili esteri, mi ha sempre fatto pena vedere turisti in ciabattine fare foto abbracciati a statue di personaggi illustri ridotti a pupazzi per selfie. I monumenti sono monumento allo spirito di ciò che rappresentano, non palestre all’aperto .
È un’opera moderna , metafisica . Mostra quasi un sepolcro aperto .
JFK continua ad essere tra noi .
Non la solita statua che osserviamo in ogni giardino pubblico . Vanno adeguatamente progettate e realizzate quelle ” transenne ” destinate a proteggere l’opera . Molto bella ed innovativa . Farà parlare di sé.
Beniamino Bullio
Io la vedo come una rampa di lancio….. Tentazione, tentazione…. Fallimento totale dell’installazione. Ottima in un museo o giardino privato (assicurato).
Gli spazi pubblici devono essere fruibili: le opere d’arte che ci vengono installate devono quindi possedere la funzionalità della fruizione.
Niente da aggiungere. Bravo Melazzi.