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Cantiere giardini a lago, Roberto ha fatto ricorso al Tar: “No alla demolizione del mio chiosco e no alla sospensione della licenza”

“Mi rivolgerò al Tar”, aveva detto intervistato su queste pagine. E così ha fatto nei giorni scorsi, parliamo di Roberto Caterisano, storico titolare dell’altrettanto storico chiosco dei giardini a lago. Quello che sorge a circa metà del cannocchiale che punta sul Tempio Voltiano. Come noto il 12 giugno è la data fissata per l’avvio del cantiere per il restyling totale del parco cittadino. Lo scorso 7 maggio raccontavamo la vicenda e la resistenza pacifica del titolare: Como, il Comune al chiosco dei giardini a lago: “Dovete demolirlo”. Roberto: “Decenni di lavoro e investimenti. Alternative o vado al Tar”. Di alternative evidentemente l’amministrazione comunale non ne ha date così la strada è stata quella dei giudici amministrativi.

Passo indietro. Cosa è successo è presto detto, Roberto ha ricevuto una lettera dal Comune di Como che gli comunicava la sospensione della concessione per l’attività e contestualmente la demolizione del fabbricato. Un lavoro e una lunga storia di famiglia da radere al suolo e tanti saluti. Uno “sfratto” che, a causa dell’avvio dei lavori per il rifacimento dei giardini a lago (durata circa un anno) non è arrivato soltanto a lui ma anche ai giostrai della zona (che a verifiche fatte oggi non risulterebbero, condizionale doveroso, aver presentato un’azione giudiziaria analoga).

Spiegava Roberto: “Pochi mesi fa mi è stata rinnovata dall’Amministrazione la concessione che era in scadenza. Quella in essere, dunque, è valida fino al dicembre del 2032. Una situazione che, pur sapendo che prima o poi sarebbero dovuti iniziare i lavori di rifacimento dei giardini, mi lasciava sostanzialmente tranquillo per il futuro. Poi, invece, è cambiato tutto”. E le notizie sono arrivate per due volte via mail, con un incontro faccia a faccia con il sindaco Alessandro Rapinese nel mezzo. “La prima volta – spiega Roberto – la Pec di febbraio annunciava che prossimamente il Comune avrebbe avuto bisogno della disponibilità dell’area per avviare il cantiere. Non erano ancora specificati tutti i dettagli e siccome poi c’è stata l’occasione per tutti coloro che hanno un’attività qui, toccati da lavori, di incontrare direttamente il sindaco, siamo andati di buon grado ad ascoltare cosa era stato previsto”.

E in quell’occasione, ecco la prima doccia gelata. “Il sindaco ha spiegato che sarebbero partiti i lavori, che noi come altri avremmo necessariamente dovuto fermare le attività e che sarebbero seguite ulteriori comunicazioni ufficiali. Alle nostre prime domande su che fine avrebbe fatto il chiosco che abbiamo in concessione dalla stessa Amministrazione, però, non sono arrivate spiegazioni ulteriori”. Insomma, l’incontro si risolse con più punti interrogativi che risposte. A marzo, poi, la svolta radicale che oggi viene contestata apertamente. “Con una nuova Pec – raccontava Roberto – veniamo avvisati che la nostra concessione valida fino al 2032 sarebbe stata sospesa. Ma soprattutto che il fabbricato sarebbe dovuto essere demolito e i luoghi riconsegnati come erano in origine. Praticamente, senza alcuna garanzia per il futuro mio, del mio lavoro, dell’attività e del personale che è con me, ora dovrei abbattere il chiosco senza sapere nulla di cosa potrà accadere in seguito. Non ci stiamo, ovviamente”. E Roberto spiegava anche perché: “Questa attività è qui dal 1958. Io ho iniziato quando c’era la mia famiglia ed ero ancora piccolo. Nel corso degli anni, ovviamente, abbiamo investito soldi, fatto lavori, mantenuto l’area sempre pulita e decorosa, offerto un servizio alle persone. E adesso, senza alcuna mediazione possibile, secondo il Comune di Como dovrei occuparmi io stesso di rimuovere a mie spese il chiosco. In questi termini, l’Amministrazione parla di sospensione della concessione, ma nei fatti è una revoca”.

La conclusione era poi stata questa: “Adesso noi aspettiamo che il Comune entro il 12 giugno ci prospetti delle alternative, che parli di eventuali indennizzi, che dica insomma esattamente come pensa di venire incontro a chi con tutti i diritti e con i propri investimenti sta qui dal 1958. Nessuno discute sul cantiere: se i lavori vanno fatti, si facciano. E io sono prontissimo anche a cambiare vita e mestiere se necessario, le opportunità non mi mancherebbero. Ma di sicuro non si può chiedere a me di venire qui, demolire il chiosco e stare zitto con una concessione appena rinnovata e valida ancora per quasi dieci anni. Se non avremo indicazioni precise, non resterà che una strada: rivolgermi agli avvocati e andare al Tar. Vada come vada, saranno almeno dei giudici e la legge a decidere”.

Veniamo a oggi, Roberto come annunciato si è rivolto all’avvocato Barbara Marchesini che ha inviato il ricorso al Tribunale Amministrativo Regionale. “Sì, abbiamo mandato tutto e contestato revoca della licenza e richiesta di abbattimento – conferma questa sera alla redazione – ma preferisco non aggiungere altro prima di una decisione dei giudici”. I tempi sono stretti, anzi strettissimi vista la data programmata per l’avvio del cantiere.

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9 Commenti

  1. Il ricorso potrebbe tenere in scacco l’intero lavoro ai giardini? Purtroppo il chiosco è il “male minore” per la città. Va demolito, auspico si possa riconoscere il diritto dell’esercente nelle nuove strutture che ci saranno, ma non possiamo permetterci di non partire con i lavori o di fermarli a metà.

  2. Troppa gente parla senza sapere i fatti, e/o senza leggere cosa c’è scritto negli articoli che sono stati pubblicati. Il chiosco è di proprietà; costruito in muratura su richiesta del comune di Como con delle concessioni. molti hanno dimenticato e/o non sanno che tutti i chioschi di Como dal 2006 al 2022 hanno dovuto lavorare, pagare le tasse, l’occupazione suolo, ecc. Senza che venissero rinnovate le concessioni con la scusa della legge bolkestein con serie problematiche legate a tutto ciò. Occupazioni suolo pagate care e spesso senza neanche avere la cartella da parte del comune che, spesso non sapeva nemmeno fare i conti. Solo il continuare a pagare l’occupazione suolo a un comune che se ne fotte di te e che ogni volta che puoi lavorare e incassare ti contorna di bancarelle che vendono cibo e bevande, senza neanche un bagno funzionante a disposizione, è già un investimento. Senza una concessione uno può pensare di rinnovare il locale?Ora che le hanno rinnovate ai giardini le sospendono…
    Con il comune di Como da anni in tutti i settori è sempre stato un gran casino. Case comunali, strade pubbliche che per alcuni aspetti sono private e per altri sono pubbliche in base a come gira all’addetto del singolo ufficio. A concessioni rilasciate ad ambulanti per furgoncini e poi si piazzano con dei transatlantici e la polizia dov’è? potrei farci un libro. Io quando leggo certi commenti soprattutto quelli diretti sulla pagina di Como zero mi incazzo perché un po’ questi argomenti li ho trattati.

    1. Il chiosco è ovvio che sia stato installato a spese del concessionario e altrettanto ovvio che abbia pagato la concessione di suolo pubblico e le tasse. È la base, nulla di eccezionale.

      E son spese che al tempo ha fatto tenendo conto della scadenza della concessione, altrimenti sarebbe stato puro azzardo da parte sua.

      Le uniche spese di cui potrebbe giustamente chieder conto son quelle successive all’ultimo rinnovo, perché le avrà fatte immaginando di rimanerci altri 10 anni. Tutto quel che viene prima conta nulla.

      Poi sugli ambulanti ha ragione da vendere, ma è un aspetto che qua c’entra ben poco.

  3. “Decenni di investimenti”.

    Ma dove? Non facciamo le vittime: se fino a pochi mesi fa era in scadenza, gli investimenti precedenti erano stati fatti tenuto conto di quella scadenza.

    Troppo comodo tirarli fuori ora come pretesto.

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