E in Cina come si sta? Com’è vivere in questi giorni là dove tutto è iniziato e dove tutto sembra essere già finito? Ce l’ha raccontato Nicola Butti, comasco trapiantato da ormai 14 anni a Wuxi, città nei pressi di Shanghai dove è titolare di uno studio di design e visiting professor presso la Jiangnan University.
“Mi sento molto tranquillo. A maggio, nel bel mezzo dell’emergenza in Italia, la situazione qui era già sotto controllo e in questo momento ci sono circa 1200 casi su un miliardo e mezzo di persone, un numero decisamente basso – racconta – vivo normalmente, non ci sono restrizioni, i locali sono aperti e non c’è alcun obbligo di mascherina tranne in luoghi come stazioni, ospedali o uffici pubblici. Ma già prima la si indossava anche in caso di un banale raffreddore, è normale portarla con sé”.
Liberi tutti, quindi? Non esattamente. Perché mentre noi ci incasinavamo con Immuni e ci appellavamo al suo essere facoltativa paventando i rischi di una sorveglianza di massa, in Cina la domanda “volete voi essere tracciati per evitare che il contagio vi blocchi in casa da qui all’eternità?” non è neppure stata posta: “Fin da subito il Governo ha reagito in maniera chiara e univoca attuando un controllo totale su tutti gli spostamenti attraverso le applicazioni che chiunque usa per pagare i propri acquisti attraverso il cellulare – spiega Nicola – non è stato chiesto di scaricarla, semplicemente c’era già”.
Così, mentre puoi muoverti liberamente all’interno della tua zona, se vuoi uscire devi avere le carte in regola: “Posso farlo solo mostrando sul mio cellulare il codice verde che garantisce che, nei quattordici giorni precedenti, non mi sia trovato in una zona a rischio – dice – in Italia questa sarebbe giudicata una violazione della privacy intollerabile mentre qui è ormai prassi e, visti i risultati, ci si fida delle scelte del Governo. E poi c’è un forte orgoglio nazionale per il fatto di esserne usciti così presto”.
Facile con un partito unico, verrebbe da pensare, ma su questo il giudizio di Butti è molto lucido: “Certamente la capacità quasi ‘dittatoriale’ di prendere decisioni aiuta e il metodo cinese è sicuramente negativo su molti altri temi – chiarisce – ma quando qui sentono parlare di persone che in Italia ancora negano che il Covid esista rimangono sbalorditi perché si rischia quasi di arrivare a un eccesso di libertà personale che, alla fine, sfocia nel risultato opposto costringendo a chiudersi nuovamente in casa per contenere i contagi”.
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Di tornare a Como, quindi, per ora non se ne parla: “E’ la cosa che fa più male – confessa – ma se in Cina dovessero aumentare i contagi rischierei di rimanere bloccato in Italia per chissà quanto tempo. Qui ho mia moglie, che è cinese, e il mio lavoro. Meglio rinviare”.
2 Commenti
La libertà bisogna meritarsela ogni giorno. Fa rima con responsabilità, merce rara da noi.
Mandate Fontana , Gallera ed il Papeete in Cina per capire come se ne esce. Altro che cenoni , cerimonie , corsette e pseudo libertà richieste dai nostri menestrelli Lombardi.
Questi non capiscono che così facendo allungano all’infinito la pandemia.