Nel 1898, un secolo prima dei post polemici su Facebook e delle video denunce, un gruppo di donne del quartiere Sant’Elia prese carta e penna e scrisse alla Giunta Municipale di Como la prima di molte “lagnanze” invitando gli allora amministratori a “voler degnarsi di sistemare il pubblico lavatoio”.
Ecco, oggi in effetti potremmo limitarci a fare un copia e incolla, cambiare la data e fermarci qui. Già, perché l’avete mai visto il lavatoio di via Alciato? Un disastro. Chiuso, cadente, pieno di spazzatura, in totale degrado. Esattamente come molti degli altri lavatoi della città, a onor del vero.
LAVATOIO DI VIA ALCIATO: GALLERY
“E certo! Con tutti i problemi della città e dei suoi monumenti ora ci stiamo a preoccupare di un lavatoio!”, dirà sicuramente qualcuno. E non possiamo dargli tutti i torti, eh! Ma questo lavatoio è diverso dagli altri e lo potete capire solo voltandogli le spalle e guardando dall’altro lato della strada: c’è l’asilo Sant’Elia.
E chi potevo stuzzicare su questo argomento se non l’architetto Paolo Brambilla? Non solo perché è uno dei curatori della mostra in Pinacoteca dedicata proprio all’asilo, e neanche perché ha il suo studio proprio sopra il lavatoio incriminato, ma soprattutto perché l’anno scorso, insieme all’architetto Elisabetta Orsoni, ha regalato al Comune un progetto di recupero finito però a prendere polvere in qualche armadio.
“Ma – farà notare giustamente qualcuno con la memoria buona – l’anno scorso è stato “regalato” al Comune anche il progetto sul lavatoio realizzato dagli alunni della Magistri. Perché presentarne un altro?” “Senza voler giudicare il progetto di altri – spiega Brambilla – quella è un’esercitazione che prende in considerazione il lavatoio in sé, senza una vera conoscenza del dialogo sottile con il resto del quartiere. Ad esempio, nell’ipotizzarne un utilizzo come museo o studio medico, viene proposta la creazione di un corpo avanzato obliquo per mettere il lavatoio in linea con l’asilo senza capire che il Sant’Elia “storto” deve essere l’unica eccezione nel quartiere. Non puoi stortare il mondo per metterlo in linea con una cosa che è nata per essere l’unica storta, diversa dagli altri”.
E il vostro progetto in cosa è diverso?
“Per cominciare non si propone necessariamente di trovare cosa fare di quello spazio ma parte da come fare per recuperarne l’identità storica. Quindi semplicemente pulizia e eliminazione degli interventi successivi per riportarlo a quello che era negli anni Trenta, ripristino dell’impianto idraulico, illuminazione e sistemazione delle vetrate. Il lavatoio deve essere prima di tutto un lavatoio. Poi si potrà pensare a cosa fare in quello spazio ritrovato”.
E qui arriviamo a ciò che rende questo spazio potenzialmente speciale: l’asilo Sant’Elia, il suo vicino di casa con cui “instaura da ottant’anni un dialogo curioso e ancora intatto, anche se soffocato dal degrado” , dice Brambilla. Ecco, immaginatelo pulito, restaurato, chiuso da nuove vetrate e a disposizione per mostre temporanee, laboratori o eventi.
“Si va beh ma per tutto il resto dell’anno a cosa servirebbe?” chiederebbero i pragmatici. Per tutto il resto dell’anno dietro quelle vetrate “si potrebbero allestire delle quinte sceniche ben visibili dalla strada (come è stato fatto ad esempio a Lugano nella limonaia di villa Saroli) anche semplicemente con le gigantografie delle foto d’epoca e degli interni dell’asilo esposte ora in Pinacoteca”. Insomma, chi arriva qui per vedere l’asilo (e arrivano più visitatori di quanti possiate immaginare), troverebbe proprio di fronte una “finestra” per capire meglio cosa sta visitando solo dall’esterno, sarebbe una sorta di “porta” all’asilo stesso e all’intera città razionalista.
“Bellissimo. E chi paga?” (ancora le solite voci!)
Senza andare troppo lontano, un modello da imitare potrebbe essere quello del lavatoio di Olzino, a Cernobbio, abbandonato da anni e appena rinato grazie all’Associazione Face Coes. Roberto Valtancoli, presidente dell’Associazione e l’architetto Davide Adamo che ha seguito i lavori raccontano che “qui volevano abbattere tutto per fare un piccolo parcheggio ma siamo riusciti a salvarlo e a farlo tornare funzionante.
PRIMA DEI LAVORI
Ci sono voluti quasi tre anni di mercatini per raccogliere i fondi necessari per l’acquisto dei materiali a cui si sono aggiunti alcune ditte e professionisti che ci hanno aiutati gratuitamente e il contributo della Fondazione Banca del Monte di Lombardia, grazie al professor Pozzi dell’Insubria.
DURANTE I LAVORI
Ma soprattutto è stata fondamentale la manodopera dei volontari, come Alessandro. Siamo partiti in dieci e siamo arrivati alla fine in tre ma ce l’abbiamo fatta. Ora è pronto per ospitare iniziative diverse, magari legate al tema dell’acqua. E’ un modo per far rivivere questo posto come punto di incontro, come era ai tempi delle lavandaie, per non perderne il valore storico”.
FINE LAVORI
“E al Comune non è costato niente? “Niente”
Ecco, chissà che a Como non vengano ascoltate ancora una volta le “lagnanze” di chi chiede che il lavatoio venga riportato in vita. E chissà, soprattutto, se qualcuno deciderà di imitare i volontari di Olzino e iniziare a fare in prima persona. Il progetto c’è …