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Como, 4 voci per salvare il capolavoro del Razionalismo: “Asilo o museo. Ma il Sant’Elia deve rinascere”

Un capolavoro del Razionalismo abbandonato da anni al degrado da un lato. Ottanta bambini ospitati in una struttura inadeguata che, si scopre oggi, da temporanea diventerà probabilmente definitiva dall’altro. Queste sono le due facce dell’Asilo Sant’Elia tornato alla ribalta in questi giorni dopo la proposta di candidarlo a Luogo del Cuore FAI ma, soprattutto, dopo le ultime dichiarazioni del sindaco Alessandro Rapinese che in un articolo sul quotidiano La Provincia ha affermato che “per quanto mi riguarda quel luogo può essere solo un museo di se stesso. Fosse per il sindaco Rapinese, lì di bambini non ne tornano. In compenso ci vedo decine di migliaia di turisti e studiosi in un luogo che diventerebbe meta tra le più importanti della città riqualificando tutta la zona”.

Un’idea che, per ora, sembra essere solo nella mente del primo cittadino e che, anzi, cozza con quanto affermato dall’assessore ai Lavori Pubblici Maurizio Ciabattoni che, due anni fa, in consiglio Comunale aveva affermato che “l’obiettivo è la riqualificazione e l’adeguamento dell’edificio per restituirlo alla sua funzione originaria di asilo nel rispetto delle norme attuali e nella salvaguardia della struttura” con tanto di delibera, approvata nell’ambito del Bilancio Pob 2023-2025, nella quale è stato ribadito l’obiettivo di recupero come asilo.

Ma, se così non fosse, ecco che nella top ten delle scuole da chiudere comparirebbe anche il capolavoro di Terragni con una sostanziale differenza: a decretarne la chiusura non sarebbero i costi di ristrutturazione, necessaria a prescindere, né la denatalità, visti i bimbi stipati nelle aule di via Viganò, bensì proprio l’idea di farne un museo.

“Ma Terragni l’aveva pensato per essere vissuto dai bambini”, verrebbe da ribattere immaginandosi un’architettura perfetta sì, ma in un certo senso snaturata rispetto allo scopo per il quale era stata pensata. E proprio per capire meglio di cosa stiamo parlando, e con la speranza di stimolare un dibattito costruttivo sulle sorti di quello che non è un edificio scolastico qualsiasi, vale la pena ripercorrere brevemente le sue ultime vicende per poi dare la parola a chi, a diverso titolo, lo vive in prima persona.

I fatti
Progettato nel 1935 da Giuseppe Terragni, l’Asilo Sant’Elia ha ospitato bambini e maestre fino al 2019, quando fu chiuso per lavori di manutenzione con la promessa di riaprirlo entro un anno. Da lì per lui è iniziato un vero e proprio calvario tra segnalazioni di lavori totalmente inadeguati, poi bloccati dal Comune, una petizione che ha chiamato a raccolta il gotha dell’architettura per chiedere di far gestire da esperti il progetto di recupero, costi lievitati e, naturalmente, apertura rinviata a data da destinarsi. Il tutto con, sullo sfondo, un edificio fragile e prezioso letteralmente abbandonato a se stesso, nascosto da reti da cantiere e erbacce, trasformato in dormitorio improvvisato, vespasiano a cielo aperto, tavolozza per writers o discarica.

Uniche novità degne di nota, un accordo con il Politecnico di Milano che ha chiesto al Comune di poterlo utilizzare nell’ambito del Laboratorio di Progettazione Finale del terzo anno del corso di Laurea in Architettura e la raccolta firme per candidarlo a Luogo del Cuore FAI con l’obiettivo di raggiungere almeno 2.500 voti per poter ottenere un contributo economico per il progetto di restauro (la raccolta firme è ancora aperta sul sito FAI).

Attilio Terragni, architetto, pronipote di Giuseppe Terragni e responsabile dell’Archivio Terragni

Trovo bellissima l’idea di farne un museo, come fatto all’estero per edifici come la Pedrera di Gaudì o la Casa sulla Cascata di Wright, ma lo spazio deve essere perfetto, deve tornare a essere l’astrazione che era stata progettata e di cui, finora, si era sopportata l’imperfezione perché ospitava i bambini – è il suo pensiero – per farlo, però, non puoi affidarti a degli studenti del terzo anno di Architettura o all’Ufficio Tecnico del Comune e non puoi prescindere dai materiali custoditi nell’Archivio, che nessuno ha mai davvero considerato.

È un po’ come avere tra le mani una partitura di Bach molto impegnativa: per suonarla devi affidarti al più grande direttore d’orchestra al mondo. Ci è capitata in sorte una enorme fortuna, ora dobbiamo essere capaci di fare un passo indietro e lasciare a chi lo sa fare il compito di far suonare questo edificio come merita. E lo stesso vale per l’iniziativa del FAI, che spero davvero venga sottoscritta da tutti i comaschi, perché questa architettura deve essere davvero un orgoglio cittadino.

Paolo Brambilla, architetto e curatore della mostra permanente in Pinacoteca dedicata agli arredi dell’Asilo Sant’Elia

Luogo del Cuore dovrebbe essere un posto amato e rispettato. L’Asilo Sant’Elia è l’esempio più evidente dell’abbandono e della trascuratezza – sono le sue parole – chiuso cinque anni fa con un’evacuazione di massa dei bambini, delle maestre e delle cuoche, da allora è tutto congelato nel suo abbandono più totale, tutto è congelato a quel periodo, ricorda le foto degli edifici di Chernobyl, disegni alle pareti, cucina piena, mobili accatastati, recinzione devastata: è possibile che in 5 anni non si siano trovate delle risorse e del tempo per pulirlo, svuotandolo da tutto il ciarpame accumulato, mettendo al sicuro i mobili originali e ponendo le basi per quello che poi sarà necessario al fine del recupero dello stabile?

La mia speranza è che, vista l’importanza del monumento, ci sia un coinvolgimento sinergico di professionalità tra Politecnico, Soprintendenza, Archivio Terragni, Ordine degli Architetti e di tutti quelli che possono e devono contribuire all’esemplare recupero. Non basta salvaguardare le parti originali dell’Asilo, quello che va difeso è il pensiero di Terragni, la sua idea. Non possiamo permetterci di avere solo un monumento di se stesso, la mia speranza è che diventi un monumento vivibile e visitabile, e che sia possibile fare delle attività puntuali con i bambini. L’esempio migliore che conosco è l’Accademia dei Bambini presso la Fondazione Prada di Milano.

Valentina Grohovaz, dirigente IC Como Centro Città

Sono una filologa e, nonostante ancora oggi l’Asilo Sant’Elia rappresenti un esempio di architettura per l’infanzia estremamente avanzato, mi domando se la sua conservazione si coniughi davvero con la quotidianità della vita di un asilo – è il suo pensiero – la mia preoccupazione, però, è piuttosto cosa si intende fare per i bambini oggi ospitati dalla primaria di via Viganò, visto che è evidente che una convivenza tra asilo e scuola elementare non è praticabile secondo i principi della didattica contemporanea.

Durante le vacanze natalizie adegueremo i bagni, ma le aule sono piccole, la condivisione degli spazi comuni è complicata, i bambini delle elementari hanno lasciato il loro refettorio a quelli della materna e si sono spostati negli spazi della media Virgilio: questa convivenza ha sconvolto la vita a tre scuole e occorre trovare una soluzione. Due anni fa si era ragionato sugli spazi di via Palestro occupati dall’Università della Terza Età, ma sono necessari dei lavori e, soprattutto, una sede alternativa adeguata per questa associazione.

Elena Albonico, rappresentante dei genitori nel Consiglio d’Istituto dell’IC Como Centro Città

Le parole del sindaco non sono state del tutto inaspettate, dopo cinque anni era abbastanza ovvio che i bambini non sarebbero più tornati all’Asilo Sant’Elia e, piuttosto che lasciarlo in quelle condizioni, va anche bene che si pensi di farne un uso diverso – è anche il suo pensiero – ora però bisogna trovare una sistemazione adatta ai bimbi, che non possono continuare ad avere aule piccolissime, una palestra condivisa con gli alunni delle elementari, un’aula sullo stesso piano di quelle della primaria con tutte le ovvie difficoltà di convivenza e uno spazio esterno che è un recinto ricavato in un ex parcheggio. Abbiamo scritto a chiunque, Prefetto compreso, ma niente.

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