C’è un nuovo contributo sul fronte dell’ampio dibattito creatosi dopo l’annuncio dell’amministrazione Rapinese che ha deciso la privatizzazione di tutti i nidi di Como. E’ ampia la riflessione offerta dall’ex dirigente comunale, ex sindacalista e attualmente presidente dell’Auser nonché componente del Csv Insubria, Massimo Patrignani. Lo scritto, pubblicato da Ecoinformazioni, è un contributo analitico che ripercorre la genesi del modello di gestione pubblico-privato e sviscera il tema dell’amministrazione condivisa. Eccolo:
Per la mia storia di ex dirigente comunale, di ex sindacalista della Funzione Pubblica Cgil, e la mia attuale posizione di presidente di un’associazione del terzo settore e di componente del Csv Insubria, sento l’esigenza di intervenire nel dibattito apertosi in merito al futuro degli asili nido a Como.
La riforma del terzo settore, croce e delizia del mondo del volontariato, ha sicuramente tra i suoi pregi l’articolo 55, che ha riconosciuto finalmente un rapporto con la pubblica amministrazione, non più di sudditanza ma paritario, ispirato ai concetti di co-programmazione e co-progettazione delle attività di interesse generale.
La Corte Costituzionale e diverse pronunce giurisprudenziali hanno chiarito senza ombra di dubbio che si tratta di una alternativa all’appalto di servizio, ma non di una “scappatoia” per eludere il Codice degli Appalti e le norme sulla concorrenza. Proprio per questo, è necessario che l’Amministrazione pubblica stabilisca “a monte”, con adeguate motivazioni, quali sono le attività da sottrarre al mercato e da gestire come previsto dall’articolo 55. Precise linee guida ministeriali hanno poi definito le modalità operative da utilizzare. Una di queste è la cosiddetta “Amministrazione condivisa”.
Il criterio da usare non è quello del mero risparmio economico, bensì quello dell’interesse generale, che è certamente determinato anche dall’aspetto economico ma, prima ancora, da considerazioni sull’utilità sociale del servizio pubblico e sull’analisi del bisogno.
La riforma c.d. “buona scuola” del governo Renzi (art. 1 comma 181, sottocomma e) ha giustamente inserito gli asili nido tra i servizi educativi, sottraendoli ai servizi sociali e creando una filiera educativa unica da 0 a 6 anni. Lo si deve alle rivendicazioni delle lavoratrici e dei lavoratori dei servizi per l’infanzia, e alle esperienze virtuose attuate negli anni 70/80 in molti comuni, tra i quali Como.
Ora Como – che peraltro si è dotata lo scorso anno di un regolamento per l’Amministrazione condivisa, che aspetta solo di essere applicato, purché in modo corretto – si muove in controtendenza, in nome sia di una logica miope di risparmio, sia di una furia privatizzatrice che non tiene conto del valore sociale della funzione educativa pubblica.
Nulla vieta al privato – profit o non profit – di offrire servizi educativi e/o di convenzionarsi con le amministrazioni pubbliche; questo però non deve in alcun modo penalizzare l’offerta pubblica: il diritto all’istruzione deve essere garantito ed esigibile per tutti, per precisa disposizione costituzionale!
L’amministrazione condivisa consente di gestire questa problematica in modo trasparente:
- Inprimo luogo l’amministrazione, nei suoi atti programmatori, DEVE decidere e motivare l’eventuale rinuncia alla gestione pubblica (in questa fase sarebbe auspicabile un ascolto dell’intera comunità, con adeguate forme partecipative);
- fatta questa scelta, DEVE ingaggiare il terzo settore attraverso la co-programmazione, per addivenire ad una lettura condivisa dei bisogni;
- all’esito della co-programmazione, si passa alla co-progettazione
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Se questi passaggi vengono elusi o trascurati viene mancare il presupposto dell’interesse generale e l’esternalizzazione tende a configurarsi come un appalto mascherato.
In termini concreti: solo una co-programmazione adeguata consente di concordare su qual è il bisogno, quali sono le risposte possibili, quali sono le risorse che ognuno mette in campo, quali sono i “paletti” non valicabili (fondamentale, da questo punto di vista, il vincolo sul regime contrattuale dei lavoratori, che non può essere diversificato/penalizzante, sia per motivi di uguaglianza formale sia per motivi di mera organizzazione dei servizi); solo una co-progettazione veramente condivisa (evitando bozze preconfezionate dalla PA come se si trattasse di un capitolato d’appalto) consente di non correre il rischio di ragionare solo in termini di risparmio economico.
Come si vede la questione è complessa, e nel dibattito aperto sono già emerse posizioni articolate, anche all’interno del terzo settore. Personalmente – quanto meno per la specifica questione nidi – sono contrario ad ogni ipotesi che porti alla dismissione di un patrimonio di professionalità e di strutture pubbliche che ha già subito fin troppi attacchi.
Con questo non intendo certo affermare che l’ambito educativo debba essere escluso dal rapporto con il terzo settore, e quindi. per concludere, vorrei dare uno sguardo al problema da un’angolatura diversa, quella di dirigente di un’associazione di volontariato che ha come focus principale gli anziani. È evidente che la popolazione invecchia (si parla di “inverno demografico”) e che servono sempre più risorse pubbliche per contrastare fragilità e solitudine delle persone anziane. Sarebbe un tragico errore, però, sottrarre risorse ai minori per finanziare gli anziani. Non è tempo di guerra tra generazioni, è tempo di guerra agli sprechi, all’evasione fiscale, alle disuguaglianze; è tempo di guerra alla guerra e alle spese militari!
Tra l’altro, nel dialogo tra generazioni possono nascere esperienze virtuose di coprogettazione: non mancano gli esempi di Comuni che, mantenendo la gestione pubblica dei propri asili nido, vi hanno introdotto il volontariato in funzioni di supporto che non sostituiscono lavoro pubblico e qualificato, ma lo integrano valorizzando impegno civico gratuito, dono del tempo e delle competenze. Coesione sociale vera, nella quale giovani e vecchi sono protagonisti attivi, non costi da ridurre! [Massimo Patrignani, Como]